Abbiamo capito che il DDL Sicurezza è solo un pezzo del quadro normativo e politico più ampio che, insieme al Decreto Cutro e al Patto Europeo per l’asilo e migrazione, prosegue il suo attacco diretto verso la libertà di movimento delle persone migranti.
All’interno di questo contesto, però, dobbiamo tenere in considerazione un ulteriore elemento per fare i prossimi passi. Da una parte il DDL Sicurezza rende chiunque “nemico dell’ordine pubblico” nel momento in cui dissente; dall’altra la discussione sulla manovra di bilancio, riducendo le politiche di welfare, andrà a peggiorare le condizioni sociali delle persone. Così facendo, andrà ad aumentare le forme di dissenso al taglio dei servizi, creando di fatto un circolo vizioso tagli-dissenso-repressione.
Al tempo stesso la manovra andrà a sostenere economicamente il progetto repressivo del DDL. Attraverso l’allocazione di maggiori risorse finanziarie in settori quali quello della guerra, dell’ordine pubblico, della difesa del territorio, il governo pare voler realizzare l’idea di “maggiore sicurezza” contenuta nel DDL, pensata esclusivamente in termini repressivi, punitivi e penali – e non in senso di sicurezza sociale. Una “sicurezza” volta a definire una geografia urbana che possa tenere lontana dal centro tutte quelle persone poste e mantenute in posizioni marginali e subalterne.
Volgendo uno sguardo a Padova: come la nuova manovra andrà a incidere sulla nostra città? Non è molto difficile immaginare le conseguenze che ci saranno rispetto alla ridefinizione dei fondi destinati a livello comunale, che inevitabilmente saranno ridotti.
Negli anni, attraverso le nostre attività di scuola di italiano e di sportello di supporto legale, siamo stat3 testimoni di un costante definanziamento di tutte quelle politiche sociali e progettualità relative all’ accoglienza. A tutto ciò si aggiunge il braccio repressivo delle forze dell’ordine razziste che, cavalcando l’onda del DDL, dal primo gennaio di quest’anno hanno intensificato i propri controlli sul territorio di Padova, arrivando a identificare 7mila persone. Di queste, 700 sono state sottoposte al controllo dell’ufficio di immigrazione del territorio, i cui accertamenti hanno condotto 35 persone a rapidi procedimenti di rimpatrio definitivo e altre 140 alla deportazione e detenzione nei CPR di Gorizia, Milano, Roma, Macomer, Bari, Potenza.
In questa vicenda cittadina vediamo esplicitata la logica contenuta nel DDL che, non a caso, parla proprio dei CPR introducendo il reato di rivolta. I CPR, ci teniamo a ribadirlo, sono strutture di tortura e di morte e le rivolte delle persone detenute al proprio interno costituiscono una forma di denuncia delle condizioni inumane e degradanti a cui esse sono costrette. Strutture che da un anno ormai sono state costruite dal governo italiano anche al di fuori del territorio nazionale, con il Protocollo Italia-Albania.
In risposta all’anniversario del protocollo, di natura evidentemente coloniale, si è creato il Network Against Migrant Detention. Una rete che racchiude realtà di vario tipo da tutta Italia e dall’Albania, unite contro la detenzione amministrativa di cui una delegazione era Tirana il 6 novembre per contestare l’accordo con una conferenza stampa. Adesso ci stiamo mobilitando per andare in tante e tanti a contestare questi centri direttamente in Albania l’1 e 2 dicembre, per cui vi invitiamo a seguire i prossimi aggiornamenti per organizzare insieme a questa carovana in Albania.
Ritornando al DDL, la connessione tra questo e il protocollo è ben chiara: all’accoglienza si è preferita la detenzione amministrativa. Il governo ha scelto di destinare milioni di euro alla realizzazione delle strutture, prima, e alle fallimentari operazioni di deportazione di persone migranti in base alla loro provenienza da paesi categorizzati come “sicuri”, dopo. Noi, come i tribunali che di recente si sono esposti in merito, insieme alle realtà territoriali albanesi con cui abbiamo realizzato questa rete, ci opponiamo al funzionamento di tali centri esternalizzati e vogliamo la loro chiusura.
Noi qui Padova non abbiamo un CPR. Ma siamo consapevoli delle condizioni di irregolarizzazione a cui sono sottoposte le persone in movimento ogni giorno. Per questo, crediamo che sia necessario creare dei momenti di presidio in città per capire cosa sta succedendo e come si sta traducendo l’orientamento di questo disegno all’interno del territorio. Non solo, vogliamo anche riaprire un discorso cittadino in merito a come si stanno ridefinendo le politiche di welfare in città, un tema che sappiamo possa riunire ognunə di noi intorno a un tavolo metaforico. Vogliamo creare dei momenti di confronto che non si facciano portatori di un’esperienza “specialistica” – quella della migrazione – che riconosciamo nelle realtà che da anni si occupano di essa; vogliamo che questo sia un percorso comune e collettivo.
Questo articolo è basato sull’intervento fatto da Open Your Borders all’assemblea cittadina contro il DDL Sicurezza, tenutasi giovedì 7 novembre.