Sono passate quasi due settimane da quel fatidico 29 ottobre. Nei paesi al sud del fiume Túria le strade sono ancora infangate, se non sotto un metro d’acqua. Le vittime accertate sono al momento 219, ma sono numeri probabilmente destinati a salire.
Dopo giorni in cui i paesi della zona sono rimasti senza rete elettrica, spesso senza la possibilità di ricevere chiamate, le autorità hanno finalmente rilasciato il numero di denunce per scomparsa attive: ottantanove. Questo numero, però, non corrisponde al totale di persone disperse. E in Spagna credono siano molte di più, perché è totalmente verosimile che sotto il fango, nelle macchine ancora bloccate per strada, nelle zone poco accessibili, ci siano dei cadaveri. La Fiera di Valencia è diventata un obitorio di urgenza che può accogliere fino a quattrocento corpi contemporaneamente, e il governo ha rilasciato l’avviso di allarme per epidemie: cibo scarso, condizioni non salutari, acqua stagnante, piena di fango e cadaveri —umani e non— che si decompongono.
Per fortuna, la solidarietà popolare è stata immediata, migliaia di volontari da tutte le regioni della Spagna si mobilitano ogni giorno per rimuovere fango e detriti all’Horta di Valencia e per organizzare raccolte di fondi e viveri da inviare alle zone colpite. Ma l’indignazione contro chi dovrebbe essere il responsabile di gestire una crisi del genere è ogni giorno più forte.
20.14h. È l’ora in cui la Generalitat Valenciana ha inviato l’allerta di Protezione Civile a tutti i cellulari della provincia di Valencia, anche se la Confederazione Idrologica del fiume Xúquer aveva già segnalato le prime alluvioni al sud di Valencia a mezzogiorno. La catastrofe era evitabile. L’Agenzia Spagnola di Meteorologia (AEMET) aveva avvertito già il 23 ottobre dell’arrivo di una dana (acronimo spagnolo/valenzano di “depressione isolata ad alti livelli”), un fenomeno meteorologico tipico del Mediterraneo dell’ovest in autunno, che riceve tradizionalmente il nome di “goccia fredda”.
Nell’uso comune, l’acronimo scientifico è entrato nel linguaggio quotidiano da quando il cambiamento climatico rende questi fenomeni sempre più intensi. In particolare, il termine viene utilizzato solo per indicare gli episodi di goccia fredda previsti come particolarmente devastanti. Sebbene una settimana prima era difficile predire la violenza della dana in arrivo, il pronostico si sarebbe rivelato peggiore, e allo stesso tempo più preciso, di giorno in giorno. Alle h 7.36 del 29 ottobre è arrivato il primo codice rosso dell’AEMET per il centro della provincia di Valencia, che è stato esteso a tutta la provincia alle h 9.48 Come livello più alto di allarme di rischio meteorologico, si consigliava a tutta la popolazione di non spostarsi se non strettamente necessario. Il codice rosso non è stato una sorpresa.
Malgrado il pericolo, le persone sono state costrette a recarsi nei loro posti di lavoro, confermando a pieno la regola che regge il modello capitalista, ossia che l’unico valore che ha una vita è il plusvalore che genera. Inoltre, alcune ditte hanno costretto i dipendenti a rimanere nel loro posto di lavoro dopo l’inizio dell’allerta della Protezione Civile, come è stato per Mercadona, una catena di supermercati proprietà del magnate valenciano Juan Roig, vincolato alla destra spagnola.
La cattiva gestione dell’alluvione è il risultato di una serie di scelte ideologiche da parte delle autorità, le quali preferiscono dare priorità al mantenimento del proprio potere politico piuttosto che alle vite di migliaia di persone. Per comprendere meglio questo passaggio, è necessario parlare della storia elettorale del País Valencià: tradizionalmente un feudo della destra rappresentata dal Partito Popolare, la regione è stata governata per due legislature da una coalizione di centrosinistra, fino alle elezioni di luglio 2023, in cui il PP ha formato un governo insieme alla destra neofascista di Vox. Da allora, Carlos Mazón, l’attuale presidente, ha cercato di smantellare le (poche) politiche progressiste del governo precedente.
In linea con le politiche della destra internazionale sul cambiamento climatico, una delle prime decisioni del nuovo governo è stata sciogliere l’Unità Valenzana di Emergenze (UVE), incaricata di coordinare la risposta agli eventi climatici estremi. La motivazione addotta è stata che l’unità rappresentava una spesa superflua e che, sebbene ancora in fase di implementazione, avrebbe reso più complessa la gestione delle emergenze. Contemporaneamente, il governo di Mazón ha destinato nuovi fondi alla tauromachia.
Non sapremo mai quale sarebbe stata la risposta all’emergenza se vi fosse stata l’UVE, ma è evidente che il governo valenzano è uno dei colpevoli di questa catastrofe. Mazón ha rifiutato l’aiuto delle altre comunità autonome nei primi giorni dopo il disastro, probabilmente per non ammettere che le istituzioni valenciane fossero sovraccariche e incapaci di gestire la situazione. Nel frattempo, alcuni criticavano il governo nazionale di Pedro Sánchez, una coalizione di centrosinistra, per non essersi impegnato abbastanza nella gestione dell’emergenza, evitando così le critiche e lasciando che il governo valenciano, appartenente al partito rivale, affrontasse da solo le conseguenze.
Inoltre, alcune voci critiche chiedono al governo di dichiarare lo Stato di Allarme per consentire al Ministero dell’Interno di gestire la tragedia, ma farlo significherebbe riconoscere implicitamente che l’attuale governo della Generalitat Valenciana non ha rispettato i propri obblighi costituzionali. Un caso tale richiama all’articolo 155 della Costituzione Spagnola, che se applicato in una comunità autonoma, permette al governo centrale di prendere qualsiasi misura necessaria per costringere il governo regionale a rispettare i suoi obblighi.
Quello che oggi pare evidente è che Mazón è isolato: aveva già perso il supporto del PP valenciano dopo l’uscita di Vox del governo regionale, e recentemente il leader nazionale del partito, Alberto Núñez Feijóo, ha affermato che non si opporrebbe a Sánchez se quest’ultimo dichiarasse lo Stato di Allarme. La priorità del PP è salvarsi dallo scandalo, e concentrare le critiche su di Mazón cancellerebbe la responsabilità collettiva del partito.
La responsabilità di Carlos Mazón nell’accaduto è innegabile. Il corteo per richiedere le sue dimissioni ha riunito 130.000 persone, che hanno riempito le strade di Valencia sabato 9 novembre. L’unità antisommossa che proteggeva il municipio ha caricato contro i manifestanti alla coda del corteo, e almeno una persona è stata trattenuta per aver lasciato l’impronta delle sue mani sporche di fango nella facciata della Generalitat.
Malgrado la repressione, la mobilitazione persiste sia come forma di affrontare il lutto collettivo sia per incanalare politicamente la rabbia. Il compito dei movimenti sociali, della sinistra valenzana e della sinistra spagnola deve essere quello di ricordare che Mazón non ha gestito l’alluvione in questo modo per incompetenza, ma perché appartiene a un’ideologia politica che nega la gravità degli effetti del cambiamento climatico. Va smascherato il fatto che dietro il negazionismo della destra c’è il sostegno incondizionato all’estrattivismo più becero e tutto questo va attaccato frontalmente e senza mediazioni.