L’esperienza del rock Vasco Rossi di Enrico Minardi

di Alberto della Rovere

Doppiozero libri ebook 2024 8 euro

Enrico Minardi, traduttore, docente di francese e di italiano presso Arizona State University, autore di numerosi studi dedicati alla letteratura di genere, ci offre, con L’esperienza del Rock Vasco Rossi, un approccio originale – e, per certi versi, inedito, in Italia – allo studio dell’esperienza del rock, restituita come esperienza di vita vissuta a partire dall’adolescenza, e dall’ascolto dei primi album di Vasco Rossi.

Il volume, “risultato del mio ventennale soggiorno negli Stati Uniti”, scrive l’autore, non emerge come biografia, o come disamina critica delle canzoni del (canonizzato) rocker-italiano-per-eccellenza, quanto si svela come una sorta di flusso autobiografico derivante dall’ascolto di certa musica, diventando una sorta di diario generazionale nel passaggio fra gli anni Settanta e Ottanta, mirabilmente sublimati nelle pagine di Pier Vittorio Tondelli, Gianni Celati, Enrico Palandri, Claudio Piersanti.

La prima parte del testo definisce la ratio per cui la cosiddetta popular culture risulta così importante, studiata nelle più disparate declinazioni negli States, e quanto poco frequentata, se non disprezzata, in Italia. Minardi affronta, con piglio disinvolto, Gramsci, Eco, Deleuze (e Guattari, con peculiare attenzione al tema del desiderio), Barthes, Melucci, sino a Spinoza e Fiske, intrecciandoli alla storia ed alla ricezione “del pop”. Il fine è quello di “interrogare la maniera con cui la tradizione umanistica (…) considera, e sistematicamente, svilisce, la cultura popular. Cercare di giustificare il fatto che il rock, che di essa fa parte, non è assimilabile ad un semplice passatempo, né è sinonimo di mera evasione, possedendo invece un senso che bisogna portare alla luce”.

Nella rivendicazione del linguaggio pop, rilevante è lo studio degli eventi – e dalla repressione archetipica, a partire dall’atteggiamento istituzionalizzato di PCI e CGIL – del ’77 bolognese, spartiacque verso una “fase di decisa disillusione e di conseguente distacco” dalla partecipazione politica (non di rado, ideologica e ideologizzata, degli anni Settanta).

In questa prima parte diventa fondamentale il riferimento a Weekend postmoderno di Pier Vittorio Tondelli, capace di allargare i confini della cultura in direzione del pop, sino a includerla, a pieno titolo, nella letteratura (Enrico Palandri, da Pier. Tondelli e la generazione Laterza, 2005). Tondelli, associando giovinezza e musica rock – chi scrive, non può dimenticarne gli interventi per la rivista Rockstar – apre una via nuova per la considerazione della cultura popular e giovanile “come possibile campo alternativo per quelle energie così drammaticamente represse e dissipate”.

La seconda parte del testo devia verso una forma di scrittura autobiografica, una sorta di originale Bildungsroman dal punto di vista del fruitore di musica. Approccio decisamente innovativo e che risulta quasi una risposta alle numerose autobiografie di musicisti rock; penso ai lavori di Mauro Pagani, Franco Mussida o Franco Fabbri.

Il rock viene identificato come il primato del desiderio e della (irriducibile) naturalezza del corpo, veicolato dal riff delle canzoni a partire dall’esperienza del live; poi, con gli anni, non senza (avvertiti) sensi di colpa, ricondotto alla (supposta) “normalità” a fronte dei compromessi (indotti?) dell’età adulta. In queste pagine Minardi rievoca, non evitando una certa ironia, la sua iniziazione all’ascolto della musica rock collaborando a una emittente locale emiliana, sino all’incontro – in un “processo di proiezione-identificazione” – con la figura di Vasco Rossi. Minardi richiama la stagione della scoperta della musica, sino alla sua personale esperienza di batterista, tributando a Vasco Rossi la “chance che (…) ha dato al rock per vivere nel mio paese”. Nell’affrontare la musica, il look e i testi della prima produzione di VR, l’unica per l’autore degna di considerazione, sino all’album Bollicine (1983), Minardi trova un decisivo contributo dalle memorie di Sergio Silvestri, collaboratore di Rossi e suo sodale al tempo di Punto Radio. Assai felici sono le pagine dedicate all’incontro con Silvestri ed al viaggio, in treno, compiuto da Minardi lungo le stazioni della provincia di Modena, i cui suoni e colori rimandano al peregrinare di celatiana memoria. Fondamentale, per Minardi, è la componente teatrale, evidente nella prima parte di carriera di VR, debitore di certe esperienze di Enzo Jannacci.

Nelle Conclusioni, non senza amarezza, Minardi ribadisce come, in Italia, le giovani generazioni – al tempo identificate nel movimento – non abbiano più avuto spazio come voce propositiva, a partire dalla repressione della fine degli anni Settanta. In quel contesto Vasco Rossi, prima di piegarsi alla norma del linguaggio commerciale (a partire dal brano Vita spericolata), ha permesso al rock – e al desiderio – di rivendicare l’importanza della “giovinezza”. Con spirito leopardiano, così Minardi chiude il suo lavoro, riassumendone il timbro: “Per fortuna, c’è chi non ha mai voluto (né forse potuto), rinunciare alla potenza del rock, né mai stornarsi dal richiamo insistente del riff. La giovinezza non smette di rivolgerci il suo appello, ignorarlo è il peccato più grande”.

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