Il festival di Sherwood è ormai agli sgoccioli e con lui anche gli incontri del progetto Librattiva. Giovedì 4 luglio ha avuto luogo il sesto appuntamento del “festival nel festival” e abbiamo avuto la possibilità di ascoltare Virginia Cafaro per la presentazione del suo libro Manifesto pisolini, Guida femminista sul diritto al riposo edito da Le Plurali, con la conduzione di Luisa Longobucco.
Virginia Cafaro è nata a Milano, sarda d’origine, scrive online di femminismo e intersezionalità dal 2014, ha partecipato come autrice alla scrittura di Anche questo è femminismo (Tlon, 2021) e nel 2023 ha pubblicato una fanzine su porcellini d’India e l’importanza del riposo (What Guinea Pigs Can Teach Us About Life) per Microcosm Publishing.
Il libro affronta il tema del riposo (non inteso solo come l’atto di dormire, ma come concetto più ampio) in una società capitalista in cui la produttività è all’ordine del giorno, guardandolo sia da un punto di vista sociologico che di vissuto personale e famigliare. E partendo proprio da una scelta di Virginia – che per un periodo di vita è riuscita a ritagliarsi del tempo per sé e per coltivare le proprie passioni solo privandosi del sonno la notte – ci si chiede se questo possa essere considerato un atto rivoluzionario che vada contro a dinamiche capitaliste. Guardandolo come pratica personale è di sicuro un baluardo nel percorso di riappropriazione del proprio tempo. Può diventare una strategia che ci porta a capire che il tempo per fare le cose che preferiamo, come il sonno e lo svago, deve essere messo al primo posto. Tuttavia essendo una scelta individuale rimane sul piano del singolo e non porta alle istanze della lotta per riappropriarci dei nostri diritti durante le ore di veglia, non necessariamente quelle diurne perché è un discorso che si estende a tutti i lavoratori anche quelli notturni. Rimane comunque un passo importante nel percorso di consapevolezza.
Il tempo viene analizzato con una prospettiva di classe e genere. Tale scelta si giustifica in quanto la classe dominante controlla quella lavoratrice con il tempo. Siamo di fronte al fenomeno della cronofagia ovvero l’appropriazione del tempo delle persone da parte del capitalismo. Se poi ci spostiamo sul versante del genere vi sono interessanti considerazioni da fare sugli schemi messi in atto nella gestione del tempo. In primis vi è un’aspettativa sulle persone socializzate come donne che dedichino il loro tempo al lavoro di cura e di riproduzione, indubbiamente in maggior misura rispetto a quello che ci si aspetta dalle persone socializzate come uomini. In secundis quest’ultimi, in particolare se cis-gender, sono interamente assoggettati alla produttività e si sottraggono a un tempo dedicato alla cura e alla gestione delle emozioni provocando grandissima sofferenza sul piano personale.
Alla base c’è una matrice comune “la cultura dell’oberazione” che porta a dover sempre essere produttivi da un punto di vista lavorativo e redditizio. Anche nel tempo libero bisogna essere performanti. Il riposo è accettato solo se necessario al lavoro e spesso si tratta solo di quello fisico per poter rendere meglio nell’ambito lavorativo. Il lavoro si appropria anche del tempo libero, a prescindere poi dal genere in cui le persone si riconoscono, viene richiesto di essere sempre performanti e non poter vivere il tempo del riposo e dell’ozio come meglio vorrebbero.
In Manifesto Pisolini si mette in evidenza come anche gli strumenti digitali riescano a toglierci il tempo del riposo. Chi di noi non si è ritrovato nel loop del “bed time procrastination” ovvero ritardare il tempo del sonno per scrollare i feed dei vari social? Al contrario di quanto avviene con la lettura di un libro o di un giornale che ad un certo punto finisce, i social hanno imput infiniti. I social sin dal principio sono stati presentati come aggregatori sociali quando in realtà vi sono delle aziende ed imprese alle spalle che creano contenuti. Di conseguenza l’architettura dei vari social è quella di un prodotto da vendere sul mercato e negli anni sono diventati così tanto immersivi per chi li frequenta da creare in certi casi dipendenza. Anche se portano svago e riposo alla fine il fulcro è quella di un’azienda che dai nostri dati e dai nostri click sui post sponsorizzati guadagna. E siccome tutti al giorno d’oggi li usiamo è importante saperli analizzare e capirli, in particolare visto il tema trattato, di come abbiano influenzato la nostra visione del riposo. Sì può parlare di riposo quando scrolliamo su Instagram per ore e ore? Se da un lato ci rilassa lo scrolling e quindi si può ravvisare una dinamica di relax, dall’altro stiamo comunque facendo un lavoro gratuito per Meta che dalle nostre visualizzazioni e like guadagna.
È necessario creare una consapevolezza collettiva di cosa sia il riposo. Proteggere i tempi altrui è un grande passo verso questa consapevolezza. Tutti siamo vittime del senso di colpa che ci attanaglia quando non siamo produttivi e forse su noi stessi facciamo fatica a concederci del tempo di svago e riposo. Diviene più facile riconoscere negli altri una stanchezza e ci viene naturale aiutarli a validare i sentimenti di stanchezza e aiutarle. Un altro passo fondamentale è condividere e parlare del proprio senso di colpa. L’autrice racconta di quanto siano straordinari i momenti di condivisione su questo tema a cui ha assistito durante il tour di presentazione del suo saggio. In particolare di quanto sia straordinario come le persone cambino espressione del viso quando altre le rassicurano che hanno diritto a riposarsi e non essere produttive perennemente.
Gli ambienti dell’attivismo spesso non sono privi di una dinamica del tempo atta alla produttività. L’agenda politica, le vertenze e le emergenze a volte rischiano di togliere tempo del riposo. Diviene difficile conciliare attività con una forte impronta etica con il bisogno di riposo. In un’ottica transfemminista bisogna validare la sensazione di stanchezza, parlarne tra militanti e condividere la frustrazione. Questo perché insieme si può trovare una soluzione collettivamente, proteggendo chi è più stanco per poi permettergli di poter fare attivismo al massimo della forma possibile; o cercare di creare dei tempi più distesi. Deve comunque divenire un nodo centrale nell’attività dei movimenti.
Il concetto del riposo non deve essere comunque un monolite calato dall’alto, ma deve essere ampio, creativo, aperto al dibattito e altruista. Ampio, per tenere conto di tutti i tempi che le persone necessitano perché a seconda degli stadi della vita e delle esigenze possono cambiare. Creativo perché la cultura del profitto è molto pervasiva e si insinua in tutti gli ambiti della nostra vita e spesso è necessaria la creatività per riappropriarsi degli spazi e dei tempi del riposo. Aperto al dibattito in quanto il concetto del riposo deve essere discusso raccogliendo tutte le esperienze di vite. Altruista perché bisogna donare il riposo agli altri e proteggerlo.