La Scuola delle certificazioni

Di Marika Martina per ComDonChisciotte.org

Se ascoltassimo degli insegnanti parlare tra loro, ci renderemmo subito conto che più che docenti assomigliano a programmatori: parlano utilizzando sigle, fanno riferimento a delle procedure da seguire, si nutrono di tabelle di valutazione e griglie di osservazione e scrutano il funzionamento degli alunni (sì, è così che si definisce in gergo tecnico il modo in cui apprende, interagisce e si muove nel contesto scolastico un ragazzo).
Nella scuola bisogna provvedere all’apprendimento degli H, è necessario capire il funzionamento degli alunni con BES, ovviamente distinguendoli tra NAI e alunni con DSA, seguire la procedura di osservazione, relazionare il tutto a neuropsichiatri, psicologi ed educatori. Ah sì, dimenticavo, anche ai genitori.

Da un po’ di anni a questa parte, stare al passo con le trappole micidiali della scuola dell’obbligo in Italia è diventato molto difficile e pensare di affidare i nostri figli all’istituzione che dovrebbe istruirli (non educarli) dando loro gli strumenti per districarsi in una realtà sempre più complessa senza avere una presenza costate nel loro percorso è pressoché impossibile. Il buon vecchio leggere, scrivere e fare di conto è stato sostituito dall’educazione ecologica, quella all’affettività e dalle manifestazioni di omaggio a personaggi già storici (nuovi santi del calendario di Stato): Giulio Regeni e Giulia Cecchettin.

Oltre a questo aspetto di marginalizzazione dello studio della grammatica italiana, del potenziamento del lessico e della memoria, dell’esercitazione in problemi e calcoli matematici, i bambini a scuola devono rispettare degli standard di crescita, ovvero chi fatica a stare al passo e non è in linea con gli altri diventa motivo di sospetto DSA da parte degli insegnanti. La famiglia viene convocata e il dirigente informato. Ai genitori si prospetta un possibile disagio del figlio a causa di difficoltà riscontrate nella quasi totalità delle discipline, stentata la lettura, calcoli solo fatti a mano, memoria di breve durata e scrittura quasi illeggibile. Cosa vogliamo fare? Non vogliamo mica permettere che il ragazzo si senta diverso dagli altri? Che noti l’abisso di differenza tra le sue capacità e quelle del resto dei compagni di classe? Mettiamolo in lista presso l’ASL di riferimento e appena sarà il suo turno somministriamogli dei test valutativi delle abilità cognitive che farà a crocette nello studio di un neuropsichiatra o di uno psicologo.

A questo punto, valutiamo le risposte, confrontiamole con i range di riferimento et voilà, come osservato dagli educatori, il bambino mostra i sintomi chiari dei DSA.
Cosa sono questi DSA?

DSA è un acronimo che sta per Disturbi Specifici dell’Apprendimento, riconosciuti di natura neurobiologica e persistenti per tutta la vita (Si veda le Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con DSA allegati al DM del 12 luglio 2011) che devono essere scovati al più presto permettendo al bambino di usufruire di misure compensative (come avere sotto mano i riassunti del capitolo durante la verifica, una verifica diversificata a crocette o risposta multipla o completamento con proposte, svolgimento di un’interrogazione guidata se la verifica va male…) e dispensative (fare i calcoli a mente durante la verifica di matematica, imparare date e formule a memoria, fare tutti i compiti…).

Ecco fatto, così sì che il nostro piccolo Marco non si sentirà più a disagio per la sua “diversità”! Perché chiaramente non noterà di avere verifiche diverse rispetto a quelle degli altri, di avere dieci fogli sul banco al posto di due e di essere facilitato nel portare a casa una sufficienza.

Ma poi, siamo proprio sicuri che non sarebbe servito a nulla un po’ di lavoro in più a casa? Spronare Marco a migliorare, ad impegnarsi, stargli dietro prima di lasciarlo andare sulle sue gambe (e sulle stampelle che neuropsichiatri, psicologi e insegnanti gli hanno messo)? Magari Marco aveva solo bisogno di una guida?

Non so se lo sapremo mai perché i fattori ambientali per la ricerca ufficiale sui DSA sono stati completamente esclusi come possibilità. Per intenderci, il fatto che un bambino possa vivere esperienze traumatiche come un divorzio o che viva in una famiglia nella quale entrambi i genitori lavorano per molte ore fuori casa senza una presenza costante e rassicurante nelle ore pomeridiane o al contrario che sia sottoposto a grandi pressioni e su di lui ci siano grandi aspettative o ancora che viva in un contesto culturale svantaggiato o che faccia eccessivo uso di dispositivi elettronici non sono assolutamente fattori che hanno partecipato alla genesi delle sue difficoltà nell’apprendimento.

Infatti, i bisogni dei ragazzi con DSA sono tutelati dalla legge 170 del 2010 per garantire la piena inclusione anche di chi fatica nell’ambiente della scuola.
Sorge spontanea a questo punto una domanda: se i DSA sono congeniti quale differenza c’è con le disabilità vere e proprie? Perché, se esisteva già la legge 104 del 1992 è stata introdotta un’altra legge?

La versione più accreditata è quella che sostiene che la disabilità riguarda un ampio spettro di condizioni, congenite o acquisite, che influiscono su molteplici aspetti della vita quotidiana; mentre i DSA, riguardano specificatamente abilità scolastiche.

Quindi se mi cimento nell’arte dell’intaglio del legno posso impegnarmi e sapere che, se lavoro sodo posso migliorare e anche essere apprezzato come scultore; invece, se mi cimento nella scrittura si capisce subito se posso continuare e migliorare oppure se per me non c’è speranza e devo avere dei facilitatori ogni qual volta io voglia scrivere una lettera.

La legge 104, inoltre, garantisce la presenza di un insegnante di sostegno (un massimo di 6 ore per un comma 1; e un massimo di 18 ore per un comma 3) che affiancherà l’alunno nel percorso di studi; mentre la legge 170 prevede solamente i facilitatori di cui sopra. Di conseguenza sorge spontaneo chiedersi cosa questi fragili ragazzi con DSA possono aspettarsi dal mondo fuori dalla scuola: come leggeranno i contratti di lavoro, le bollette da pagare e le lettere della banca senza un insegnante che ne agevoli la lettura e comprensione del testo? Che supporto da lo Stato a persone con disturbi di natura neurobiologica non tutelati dalla legge 104? Nessuno.

Viene quasi malignamente da pensare che le certificazioni di DSA in gran parte, certamente non tutte, riescano da una parte ad agevolare il lavoro degli insegnanti che così oltre alla preparazione della verifica diversificata non hanno l’incombenza di dover riflettere su come incentivare, spronare e aiutare l’allievo in questione nell’orario scolastico; mentre ai genitori permettono di allontanare da se stessi ogni responsabilità sul percorso scolastico del figlio: se la causa è genetica posso prendermela solo con il destino.

Intanto le percentuali di bambini e adolescenti con DSA nelle scuole italiane sono in crescita di anno in anno superando l’8% e la risposta da parte delle istituzioni mira solamente ad offrire uno scivolo per superare senza intoppi la scuola dell’obbligo aumentando la percentuale di successo degli alunni nelle scuole dello Stato.

Come assorbirà il mondo del lavoro questi ragazzi fragili a cui è stata impedito ogni fallimento? A cui si è negato di vivere un insuccesso e che non hanno mai imparato a rialzarsi dopo una caduta? Che non hanno mai avuto la necessità di trovare una soluzione creativa per superare i propri limiti?

La scuola che stiamo accettando sia come insegnanti sia come genitori consenzienti sia come cittadini disinteressati si configura sempre più come un social network: solo pollici alzati e cuori, fact-checking per eliminare il pluralismo, sorrisi e cartelloni. Ma offline aumentano la depressione, i disturbi psicologici e alimentari e la depressione.

Di Marika Martina per ComDonChisciotte.org

08.09.2025

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