A Manfredi, al cantore di qualcosa

Venerdì eravamo fuori dall’aula studio, in un momento di pausa dai doveri universitari e, nella chiacchiera, si è finito a parlare di ringraziamenti nelle tesi. Ci è venuto allora in mente di un nostro compagno che, l’anno precedente, concludeva quell’opera che racchiude, anche simbolicamente, gli importanti anni di vita che sono l’università, con una citazione di Gianfranco Manfredi: nella voglia più totale, nel discorso trasparente. Per coincidenza, qualche giorno prima, avevo consigliato a una compagna lì presente, di ascoltare proprio quel cantautore. E allora, nel calore del momento, ne parliamo. Dopo poco, cediamo il passo alla pressione accademica e ci alziamo per rientrare. Preso in mano il telefono, leggo una mail che cita proprio Manfredi. In un primo momento la casualità mi diverte, ma mi accorgo poi dell’oggetto: “In ricordo di Gianfranco Manfredi”.

Gianfranco Manfredi, che ci ha lasciato venerdì 24 gennaio 2025, è stato molto di più che un cantautore della Milano degli anni ‘70: ha recitato, sceneggiato, scritto sia libri che fumetti. È stato più di tutto un pensatore, nel senso più proprio del termine, capace di non smettere di porre in discussione sé stesso e il mondo. Ma per parlare di questo ci sono decine, se non centinaia, di persone molto più competenti di me. Ciò di cui mi sento capace, e forse umilmente in dovere, di esprimere, è quello che è significato e continua a significare per me (e spero anche per tante altre persone). 

Marc Bloch, uno dei pilastri della storiografia per come la conosciamo oggi, definisce questa disciplina come la “scienza dell’uomo nel tempo”. Complesso è però andare oltre, o meglio dentro, ciò che le persone fanno, per indagare cosa e quali siano state le loro ragioni, i loro sentimenti, ciò che in fondo, forse, le ha rese umane e capaci di agire, nel bene e nel male.  Ancor più difficile di cogliere tutta questa complessità è quella di trasmetterla all’esterno, spiegare quel caos interiore che attraversa ogni essere umano e che lo muove. Spesso, i libri con cui cerchiamo di scoprire e conoscere il mondo, sono in grado di raccontarci il come, non il cosa. 

Manfredi, invece, proprio in questo ha una grande forza. Immensa è infatti la sua capacità di trasmettere nella sua profondità e articolazione un mondo che è indecifrabile se osservato da fuori con presunzione di oggettività. La sinistra radicale del lungo ‘68 italiano è per molte persone incomprensibile. Lo era per tante allora, figuriamoci oggi, soprattutto agli occhi di quella generazione che, per ragioni anagrafiche, non ha vissuto movimenti e mobilitazioni di massa dal basso. Manfredi è però in grado, con suggestioni e stimoli, di raccontare molto più di quello che dice. La sua grandezza è quella di far emergere quello che non è stato solo un frastagliato e animoso schieramento politico, ma prima di tutto un’umanità, percepibile e complessa, che sogna e lotta per un mondo nuovo, che ha le sue contraddizioni, i suoi limiti, ma anche e soprattutto le sue enormi speranze. 

La potenza di quell’insieme di speranze stava nella sua novità, nel suo essere profondamente e intrinsecamente tortuosa. Non era un’utopia determinata, una grande narrazione, un mondo ideale, ma una realtà concreta e plausibile, risultato dello sforzo collettivo costante. Uno spazio di possibilità che non smette mai di essere tale, descriverei forse arditamente, con una formulazione tanto usata in questi mesi. Ma chi ha detto che non c’è, la sua canzone che più porto nel cuore (io e tante altre persone, come il mio compagno ormai laureato), penso parli proprio di questo, del luogo in cui sta quel qualcosa che ha mosso lui e tante altre persone, forse lo stesso qualcosa che ne muove tante ancora oggi. È così in grado di descrivere quello che è un non-luogo, uno spazio di piccole e grandi cose, cura, amore, rabbia, che è ovunque e da nessuna parte. Questo qualcosa emerge in tutte le sue canzoni di quegli anni, anche quando parla di pestaggi, di ricordi amari, di Parco Lambro, anche quando esprime delusioni e disillusioni, trasmette sempre quella scintilla che ha acceso così tanti incendi. 

Per questo Manfredi continua e continuerà a scaldare cuori e coscienze, perché fa emergere la crudezza del basso, quel basso in cui puoi scoprire le sottili incrinature, che non puoi studiare all’università.

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