Sono un chirurgo e non sono mai stato così preoccupato per la mia professione

Di Richard T. Bosshardt

Faccio il chirurgo da 38 anni. Tre di questi li ho trascorsi come chirurgo generale nella Marina, il resto come chirurgo plastico in uno studio privato. Non sono mai stato così allarmato per lo stato della mia professione come oggi.

Le mie preoccupazioni erano iniziate circa 25 anni fa. Stavo collaborando con un chirurgo di recente formazione alla ricostruzione bilaterale di un seno, un intervento che utilizza lembi di tessuto prelevati dall’addome della paziente. Si tratta di un intervento importante e lungo e apprezzai il fatto che il giovane chirurgo si fosse offerto per richiudere il sito addominale di donazione. Con mio grande orrore, però, aveva iniziato a cucire la parete addominale praticando con l’ago “morsi” eccessivamente ampi, utilizzando una sutura di calibro eccessivo e deformando visibilmente la parete addominale mentre tendeva queste suture.

Dopo aver osservato incredulo per alcuni minuti, lo avevo ringraziato, dicendo che potevo farcela senza aiuto. In seguito il giovane chirurgo si era guadagnato la reputazione di trattare i tessuti in modo approssimativo e di essere una persona difficile da affiancare. Non era stata una sorpresa quando aveva lasciato il nostro ospedale dopo meno di un anno.

Tutti i colleghi con cui ho parlato hanno notato la stessa cosa: un numero allarmante di laureati specializzati in chirurgia è impreparato per la pratica professionale. Il problema è solo peggiorato. Di recente, ad esempio, ho lavorato con un altro giovane chirurgo su una paziente affetta da cancro al seno e sono rimasta scioccato nello scoprire che non aveva mai eseguito una dissezione dei linfonodi ascellari, un’operazione comune per rimuovere i linfonodi dall’ascella di una paziente affetta da cancro. Come può un chirurgo aver completato cinque anni di formazione senza aver imparato a farlo?

Uno dei miei colleghi dirige un centro di specializzazione in chirurgia presso un istituto medico d’élite e, da quasi 20, anni svolge il ruolo di esaminatore nella commissione d’esame, supervisionando la certificazione dei giovani chirurghi. In questo periodo ha notato due cambiamenti. In primo luogo, molti candidati alla certificazione completano i loro interventi lentamente, impiegando, ad esempio, sette ore per un’operazione che dovrebbe richiederne al massimo quattro. Il problema è così diffuso che alcune compagnie assicurative hanno posto un tetto al rimborso dell’anestesia per i casi che richiedono troppo tempo, anche se è il chirurgo, e non l’anestesista, a determinare la durata dell’intervento.

In secondo luogo, e in relazione a ciò, il mio collega ha notato un aumento delle complicazioni post-operatorie dei pazienti. Questo ha senso, dal momento che la durata dell’intervento è uno dei fattori determinanti del tasso di complicanze chirurgiche. Inoltre, ha lamentato che troppi programmi di formazione non riescono a fornire agli specializzandi un’adeguata esperienza chirurgica. Ciò ha diverse cause possibili: ci possono essere troppe posizioni di specializzazione per i casi disponibili, alcuni corsi permettono agli specializzandi di elencare come parte della loro esperienza chirurgica procedure che [non hanno praticato e che] hanno solo osservato e le ore di lavoro per i medici in formazione sono state ridotte, dando loro meno tempo per imparare.

Un altro motivo per cui la qualità dei chirurghi e della chirurgia è diminuita è l’ingresso della DEI nelle nostre istituzioni mediche ed educative. Ho parlato con direttori di programmi di specializzazione che dicono di aver paura di correggere, trattenere o escludere gli specializzandi con prestazioni insufficienti appartenenti a una minoranza, per paura di essere rimproverati, accusati di parzialità o addirittura di perdere il posto di lavoro.

L’American College of Surgeons (ACS) continua a spingere le iniziative DEI, ignorando o censurando chiunque non sia d’accordo. Ad esempio, l’ACS ha attivato corsi di recupero per i chirurghi laureati attraverso programmi di “mentorship”. Una sfida: trovare un numero sufficiente di chirurghi esperti con la giusta identità etnica, razziale o di genere che fungano da mentori.

Un tempo ci si aspettava che un chirurgo che avesse completato con successo un intero corso di specializzazione fosse in grado di operare in modo indipendente e senza supervisione. Sempre più spesso non è più così. Sono preoccupato per il futuro della mia professione e anche per me stesso, il giorno in cui entrerò nel mondo della chirurgia come paziente.

Di Richard T. Bosshardt

Richard T. Bosshardt è un chirurgo plastico certificato dall’albo e un senior fellow di Do No Harm.

26.02.2025

Fonte: https://www.city-journal.org/article/surgery-safe-american-college-of-surgeon

Traduzione a cura della Redazione di ComeDonChisciotte.org

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