Di Luigi Contadini ed Elena Lamberti
A poche settimane dall’improvvisa scomparsa di Francesco Benozzo, docente di Filologia e linguistica romanza dell’Università di Bologna, la sera del 22 marzo 2025, a soli 56 anni, vogliamo qui ricordarlo con affetto come colleghi ma soprattutto come amici, per la sua generosità e autenticità, la sua coerenza e il suo amore per la libertà.
Una straordinaria traiettoria creativa e vitale la sua, dove poesia, etnofilologia, etica e musica risultano indissolubilmente intrecciate. Poeta e saggista prolifico e geniale, tra gli ultimi suoi libri spicca Homo poeta (La Vela, 2024), forse il suo libro più rappresentativo perché condensa in quasi cento pagine un distillato di molteplici suoi studi ed esperienze avvenute nel corso degli anni ed espresse in un gran numero di pubblicazioni. La figura dell’homo poeta, che Francesco qui introduce per la prima volta, si rivela un’intuizione geniale tramite la quale egli può indagare ancora più a fondo sulle radici primordiali dell’umanità e della parola, riflettendo sul rischio della dispersione delle sue più intime risorse nella falsità e nella violenza della civiltà contemporanea.
“La parola è stata creata da quello che possiamo definire Homo poeta, almeno tre milioni e mezzo di anni fa”; “Non creammo le parole; traducemmo il mondo intorno a noi. Il mondo fu i propri nomi; i nomi del mondo furono il mondo. Ecco perché Homo poeta precedette Homo loquens. Ecco perché fummo poeti prima di essere capaci di parlare”; “La poesia e la parola possono ancora salvare il mondo dal suo inesorabile e oggi conclamato declino” (Homo poeta, 2024).
Tutto in lui portava ad una idea di autenticità e di coerenza con cui continuamente si confrontava spingendosi molto in là non solo rispetto alle convenzioni, ma anche riguardo a forme tradizionali di protesta. Rifuggiva dai cliché e da tutto ciò che è banale e scontato, in questo senso essergli amico era anche impegnativo, ma era la sua grande vitalità e la sua simpatia travolgente che rimanevano impresse in chi lo frequentava. La sua idea libertà coinvolgeva la dimensione intima e profonda dell’essere umano, testimoniata con le parole e con il corpo lungo il difficile cammino della dissidenza. Capace di scelte sorprendenti, sempre disinteressate, era alla continua ricerca di una comunione con le forze naturali e primigenie di cui fidarsi e a cui abbandonarsi.
Va qui ricordata la sua coerenza e la sua determinazione nel denunciare lo “stato di eccezione” già descritto dal filosofo Giorgio Agamben, che lo ha portato a schierarsi contro i soprusi dell’epoca delle restrizioni, fino a rifiutare il green pass e pagando, per questo, il prezzo della grottesca sospensione per circa otto mesi da tutte le attività accademiche, dalla frequentazione degli spazi universitari e dall’intero stipendio, un’esclusione senza precedenti nella storia della Repubblica: “La mia è coerenza: non posso insegnare ai miei studenti l’arte del dubbio e poi piegarmi. Considero il Green Pass una normativa barbarica” (Memorie di un filologo complottista, La Vela, 2021). È stato fondatore, con Luca Marini, del CIEB – Comitato Internazionale per l’Etica della Biomedicina – e dell’OSS – Osservatorio contro la Sorveglianza di Stato; è stato fondatore, inoltre, insieme a Luca Marini e a Olga Milanese, del Gran Giurì per le violazioni dei diritti umani commesse durante la pandemia.
Eppure, le sue molteplici attività conducevano inesorabilmente alla poesia: Francesco era ed è (e così si considerava), soprattutto poeta in senso ampio, integrale e integro, poiché la poesia andava a coinvolgere direttamente il corpo nella sua complessità, il suo modo di essere, le sue scelte e l’orientamento etico. L’attività di cantore e di suonatore di arpa celtica in giro per il mondo (ha suonato in alcuni dei più importanti teatri italiani ed europei e nei maggiori festival internazionali di musica etnica e world) testimonia la sua visione della poesia che è corpo in azione, così come il suono e il canto sono gesti poetici per eccellenza.
La poesia è stata, per Francesco, soprattutto un percorso di vita che lo ha portato ad essere candidato al Nobel per la Letteratura su proposta del Pen Club spagnolo, ininterrottamente dal 2015. The Ridge and the Song. Sailing the Archipelago of Poetry (Forum, 2022) è il manifesto della sua ricerca poetica, mentre tra le sue opere, uscite per Kolibris, vanno ricordate Onirico geologico e Felci in rivolta (Kolibris, 2014), La capanna del naufrago (2017), Stóra Dímun. Poema camminato (2019), Poema dal limite del mondo (2019), Máelvarstal. Poema della creazione dei mondi, Autoktonia. Poema del suicidio (2021), Sciamanica. Poemi dai confini dei mondi (2023).
Come si evince fin dai titoli, la poesia di Francesco è una poesia rivelatrice di origini, origini del mondo, istanti della sua formazione; i suoi sono poemi che mettono in crisi costante la presenza e la necessità dell’uomo sulla terra e, allo stesso tempo, sono poemi che parlano delle origini della parola stessa. Come è stato ricordato da diversi critici, questo tipo di poesia ha la capacità di rappresentare la parola nel momento in cui per la prima volta nomina il mondo, è parola originaria in tutti i sensi, sia perché ogni parola, nella sua essenza, evoca le origini, sia perché viene colta nel suo momento inaugurale e rivelatore. Con queste motivazioni, nel 2022 Francesco ha vinto il premio internazionale “Poeti dalla frontiera” e nel 2023, in Sicilia, il premio “Genius Loci”.
Francesco ha avuto anche molti altri riconoscimenti. Tra i tanti: una menzione speciale della critica ai Folk Awards di Edimburgo (2003), una finale al Premio Tenco (2010) il bollino di Best World Roots Album assegnato dalla rivista statunitense “RootsWorld” (2010), la vittoria (per ben due volte) del Premio nazionale Giovanna Daffini per la musica (2013, 2015), la prestigiosa “Honorary Fellowship” concessagli dalla Poetry Foundation di Chicago (2019). È stato, inoltre, insignito del titolo di Bardo Honorário dalla Assembleia da Tradição Lusitana (Portogallo) nel 2017.
Francesco si dichiarava “intellettuale anarchico” impegnato nella diffusione delle idee espresse attraverso quello che chiamava “Quarto umanesimo, fondato su principi libertari e anti-autoritari”. La sua è stata una figura scomoda e non facile, ma sempre generosa, sia come docente sia come editore di importanti riviste filologiche (Quaderni di semantica; Philology), nelle quali ha accolto più di un detrattore a testimonianza di una generosità intellettuale rara e onesta. È stato proprio l’amore immenso per la libertà che l’ha portato, specialmente in questi ultimi anni, a manifestare un dissenso costante nei confronti delle diverse forme di coercizione messe in atto da quello che lui chiamava “il dispositivo di soggiogamento, il potere nelle sue subdole e brutali articolazioni”. Piccolo manuale di diserzione quotidiana (La Vela, 2025) è la sua ultima pubblicazione nella quale riflette sulla “diserzione come stile di vita” a protezione della libertà che egli considerava innata, patrimonio di ogni essere umano.
“La libertà non è affrancamento da qualcosa, ma è condizione primeva”; “Il disertore è anche in questo senso un poeta: per un poeta «Io sono» non significa «Io sono diverso da», ma significa «Io sono il cosmo»”; “La diserzione, in quanto forma originaria dell’essere umano e dell’essere umani, è una pratica quotidiana e non saltuaria, è un modo di vivere e non la reazione a un sopruso”; “Al disertore non interessa la pena di morte prevista per lui dalla legge, né la morte procuratagli da chi non può comprenderlo: nel seguire il proprio istinto di libertà, egli è consapevole del fatto che la pena di morte esiste per tutti dal momento in cui si nasce e che ciò che più conta non è quanto tempo si vive ma vivere realmente”; “Disertare non è una strategia di risposta a un rancore o a una disillusione, ma un concreto atto poetico di libertà” (Piccolo manuale di diserzione quotidiana, 2025).
Come filologo-linguista, è stato il creatore dell’etnofilologia, termine da lui stesso coniato sulla scia degli studi di Mario Alinei (ed è grazie a Francesco che la preziosa biblioteca di Alinei è arrivata all’Università di Bologna), un campo nel quale lo studio dei documenti letterari non può essere separato da quello etnico-culturale, filosofico, comunicativo e performativo. Francesco è noto per avere formulato la teoria, rivoluzionaria e controversa, che il linguaggio umano è nato già tre milioni di anni fa, con gli australopitechi, e non con l’homo sapiens circa ottantamila anni fa, secondo la teoria accreditata ufficialmente (Speaking Australopithecus. A New Theory on the Origins of Human language, Edizioni dell’Orso, 2017, scritto insieme all’antropologo belga Marcel Otte).
Nell’insieme, ha pubblicato oltre ottocento opere, tra saggi e volumi, soprattutto nel campo della filologia romanza e dell’etnofilologia, ma con diverse incursioni nel mondo della musica, dai bardi gallesi a David Bowie e non solo (Lambrusco e Champagne è un delizioso volumetto nel quale racconta, con Fabio Bonvicini, come al “medico dei matti”, Antonio Galloni, “venne in mente di fare del Lambrusco, il vino dell’Emilia”. Corsiero Editori, 2020).
L’ultima grande passione di Francesco è stata, in realtà, un ritorno alle origini delle sue ricerche: Lo sciamanesimo. Origini, tradizioni, prospettive (La Vela, 2024) è “un volumetto di sintesi concepito come introduzione al mondo delle pratiche sciamaniche tradizionali e con lo scopo di liberare lo sciamanesimo tanto dai numerosi fraintendimenti accademici cui è stato sottoposto, quanto dalle deformazioni new age con le quali oggi è superficialmente identificato”.
“Quando percepivamo tutte le forme di vita come generantisi da se stesse e in se stesse, in un’incessante, spontanea, femminile arborescenza, c’erano donne che si occupavano di narrare questa arborescenza, di danzarla, di onorarla. La sciamana preistorica non era un’intermediaria tra il naturale e il soprannaturale, dal momento che questa fuorviante distinzione – così come quella tra natura e cultura e tra corpo e mente – sarebbe nata molto tempo dopo […]. La sciamana preistorica danzava il vento, raccontava gli animali progenitori, propiziava la cacciagione diventando essa stessa renna, alce, cervo, pesce, accarezzava i bambini che venivano al mondo, chiudeva gli occhi ai morti che avrebbero attraversato nuove soglie dello spazio immanente e circostante, sognava sogni che sognavano se stessi: visioni di alberi, radici, ossa e nuvole sotto le stelle. Non era diversa dalle altre donne delle piccole comunità nomadi, non esercitava alcun potere, non possedeva conoscenze differenti. Era un semplice tramite che si lasciava percorrere da ogni cosa esistente” (Lo sciamanesimo. Origini, tradizioni, prospettive, 2024).
Al Dipartimento di Lingue, Letterature e Culture Moderne, Francesco aveva appena inaugurato un nuovo Seminario di Filologia romanza e di Storia medievale, insieme ai colleghi Giovanni Borriero e Sylvie Duval, già molto popolare tra gli studenti, che ha sempre seguito con grandissima generosità.
Rivolgendo un pensiero ai suoi studenti, agli amici e alle persone che lo hanno amato e apprezzato (anche senza conoscerlo direttamente), rinnoviamo il nostro saluto a Francesco Benozzo, collega e amico, al quale ci legavano affetto e stima, pur nelle differenze di visione e di azione. O, forse, proprio per quelle.
Luigi Contadini, Elena Lamberti – Alma Mater Studiorum Università degli Studi di Bologna
11.04.2025