Sabato 8 luglio a Sherwood Festival Chiara Buratti di ASC Venezia e Luca Dall’Agnol di Adl Cobas Padova hanno dialogato con Sara Gainsforth (Ricercatrice indipendente e giornalista freelance) e Federica Pasini (“Mi Riconosci?”) nel talk “A chi appartiene davvero la città? Impatto della turistificazione, trasformazioni urbane, forme di riappropriazione”.
La discussione è partita dall’emergenza abitativa, che è un problema noto nella regione veneto. Nonostante l’ingente patrimonio pubblico ivi presente, i capitali privati si son nel tempo infiltrati all’interno dei piani urbanistici e residenziali della Regione. Le (s)vendite e le privatizzazioni divengono così la colonna portante del mercato immobiliare nelle grandi città venete.
Osservando il mutamento di un mercato un tempo molto più regolamentato notiamo così una forte tendenza all’esternalizzazione. Figlia di una anacronistica visione welfaristica quasi smithiana, si delega al privato il compito di provvedere a un servizio essenziale come la casa. In questo contesto -già di per sé lesivo del diritto all’abitare di migliaia di persone- si fa strada con prepotenza l’abuso di piattaforme per gli affitti brevi come Airbnb le quali garantiscono enormi margini di profitto incentivando così la speculazione immobiliare.
Sarah Gainsforth ci spiega come le politiche abitative del paese han conosciuto la fine negli anni 90’. Da lì in poi solo mercato. Il PNRR e la conseguenza allocazione delle risorse è una cartina di tornasole dello stato delle politiche per la casa in Italia: il ruolo dello Stato è ridotto al mero supporto al privato.
Ma se lo stato potrebbe potenzialmente avere i mezzi per garantire il diritto all’abitare, il mercato immobiliare invece non sopravvivrebbe senza l’enorme uso di sussidi pubblici. L’offerta abitativa per i fondi speculativi ha mutato il panorama del diritto all’abitare. E quali saranno quei settori in cui effettivamente il privato coi suoi sussidi pubblici è in grado di rispondere? Studentati di lusso e RSA per persone facoltose.
«Il che risulta davvero imbarazzane, specialmente in virtù del fatto che il libero mercato non solo crea una enorme stratificazione del benessere abitativo, ma non è nemmeno in grado di fare l’unica cosa che, forse, potrebbe esser capace di ottenere: l’offerta di servizi abitativi. Lo vediamo nelle grandi città, dove tutte le amministrazioni locali hanno, in qualche misura, dovuto far i conti con questa faccenda. Intanto, i piani di vendita iniziati negli anni 90’ non sono mai terminati».
Luca dell’Agnol di ADL Cobas ci parla poi dell’effettiva insostenibilità del modello turistico.
La turistificazione è infatti problematica anche per l’indotto lavorativo che ne consegue. I dati sono chiari: il 40% dei lavoratori e lavoratrici del turismo vive in condizioni di povertà e con contratti precari. Pratiche come l’abuso dell’apprendistato o il sotto mansionamento sono comunissime nel settore turistico, aggravate anche dalla peculiare stagionalità che rende difficoltoso sviluppare strutture sindacali.
Analogo problema riguarda il settore dei lavoratori della cultura, di cui Federica Pasini fa da portavoce.
Il problema dello stato attuale della cultura in Italia è la narrazione che la vede subordinata, mera espressione della museificazione delle città italiane. Anche in questo caso però vige il doppio problema della mancanza di un libero mercato: il settore culturale è infatti tenuto in piedi grandi a ingenti investimenti statali che sovente mantengono e restaurano il patrimonio culturale del paese. Al contrario, la “valorizzazione” e il profitto sono esternalizzati, pur sfruttando commesse e bandi pubblici.
Ovviamente ciò causa una forte contrazione degli stipendi di lavoratori e lavoratrici. I CCNL più abusati sono difatti il contratto multiservizi e quello dei servizi fiduciari, concedendo all’imprenditore di turno di mantenere una manodopera fortemente specializzate e iper-formata con salari da fame, contratti scaduti e non più negoziati.
A fare da sovrastruttura ideologica a questo modello è la narrazione del turismo come “Petrolio d’Italia”, come se l’indotto del turismo portasse soldi a cittadini e cittadine e non a pochi privati.
Chiara Buratti ricorda come i soggetti di cui si parla sono quelli che attraversano i territori, ci lavorano ma poi non possono viverlo. Per quanto riguarda Venezia sono tutti lavoratori che producono ricchezza in città ma che poi non possono vivere quel territorio, devono vivere in altri luoghi. Anche i contratti collettivi nazionali firmati dai sindacati sono inumani, 5,80 euro l’ora, 7 euro. «Sono contratti pienamente legali ed è disumano. In un territorio come il nostro una delle questioni più lampanti è questa dell’abitare, avere l’accesso a una casa pubblica, al mercato privato».
Quando è nata l’Assemblea Sociale per la Casa era la fine degli anni ‘90, perché queste contraddizioni messe in luce fino adesso erano già lampanti per giovani e non che dopo gli studi volevano rimanere a Venezia, ma anche veneziani. «Ora ti giri e vedi una casa su quattro non abitata, una vastità di possibilità e di spazio ma senza che sia utilizzato. Rispetto all’aggressione del patrimonio pubblico il focus maggiore è stato l’abbandono degli investimenti sul pubblico, cercando di costruire spazi di autonomia per rimanere in questi territori».
Una delle questioni è stata anche dell’occupazione abitativa, organizzarsi, avere un tetto sopra la testa. «Pensiamo ai lavoratori della cultura, ma anche di altri servizi, sono tutti parcellizzati, non è la grande fabbrica in cui ci si può incontrare e organizzare, invece in questi casi vediamo un isolamento delle posizioni, 5 cameriere lì, 2 facchini qui. Capire cosa si può fare sulla casa non è così facile, molte persone con cui parliamo non arrivano allo sfratto non ci riescono perché si vergognano». Sullo sfratto esecutivo la soluzione prospettata è una divisione del nucleo famigliare, minori con la madre e padre lasciato solo, a proposito del governo che difende la famiglia naturale. «Viviamo la contraddizione di dialogare con la grande economia, quest’anno abbiamo collaborato con il padiglione Germania della Biennale, vuol dire prendere quella ricchezza che per noi è fondamentale e metterla a disposizione per percorsi che nascono dal basso».
Sarah Gainsforth riporta le sue impressioni del giro del quartiere di case occupate e popolari a Venezia. «Ho percepito l’edilizia residenziale pubblica come vero antidoto alla gentrificazione. Si può riflettere sulla gestione del pubblico, su quale pubblico vogliamo, ovviamente non riferito a questo pubblico che finanzia il settore privato. C’è un processo di rivalutazione del pubblico; il discorso sul degrado, attraverso la non finanziarizzazione, è stato fatto un discorso sul piano culturale. Bisogna ribaltare questo discorso. I movimenti e le organizzazioni locali si mettono in rete, fanno proposte molto puntuali».
Nonostante la crisi abitativa degli ultimi anni, c’è un intensificarsi dell’intelligenza collettiva, dell’analisi, strumenti da mettere in campo per riqualificare il pubblico. È vero che i processi avvengono sempre più rapidamente, se pensiamo gli airbnb che sono recente ma in dieci anni hanno stravolto i centri storici. «C’è un cambio anche nella visione dell’opinione pubblica, fino al 2019 eravamo in pochi a dire che il turismo non portava ricchezza, adesso si cominciano a leggere cose sulla stampa mainstream, ma anche tra la gente. Anche il tema degli studentati su cui lavoro da più di un anno, ho voluto capire come funziona. Provavo a proporre articoli sulla stampa prima dello scoppio della protesta degli studenti e non venivano accettato, e ora nel giro di pochi mesi è diventato patrimonio comune. Per fortuna gli studenti hanno fatto avanzare il dibattito ed è destinato a crescere, la questione abitativa non può che peggiorare fino a che non verranno messe in atto politiche abitative, è importante mettere in atto una consapevolezza. Il fatto che sembri una colpa individuale è l’effetto delle politiche iniziate negli anni 90, con l’atomizzazione, l’individualizzazione. Riuscire a ricostruire un discorso politico è necessario, dopo l’illusione proprietaria».
Luca dall’Agnol ricorda come la lotta alla turistificazione non è lotta al turismo, ma al fatto che i cittadini non sono più soggetti delle politiche ma i turisti sono oggetto delle politiche pubbliche finalizzate alla ricchezza privata. A partire dalle lavoratrici dei comparti coinvolti nel turismo, i cittadini, gli affittuari, gli inquilini delle case popolare, le persone che si battono contro la cementificazione, da qui bisogna partire. «A Padova stiamo provando a partire dal nodo della cultura, stiamo cercando convergenze tra i vari comparti. Anche a Venezia si sta provando a costruire un percorso simile. Ci stiamo trovando con Mi riconosci, che ha la stessa impostazione rispetto a questo tipo di campagne a livello territoriale che mettono al centro le lavoratrici e il tema dei salari. Ma anche il rapporto cultura turismo».
Federica Pasini spiega come Mi riconosci sia nata come sacca di resistenza contro l’ideologia del turismo. «Cerchiamo di spiegare alle persone le condizioni che portano al lavoro povero e allo sfruttamento, spiegando che non sono accettabili. Cerchiamo di spingere lavoratrici e lavoratori a rivendicare i proprio diritti e a spiegare che ci sono degli strumenti che dal basso possono migliorare le condizioni lavorative, cerchiamo di indirizzarli verso dei sindacati e organizzarli il più possibile perché è l’unico modo per essere numericamente rilevanti e cambiare le cose. Portiamo avanti l’interlocuzione con la politica parallelamente alle spinte più dal basso. Per cui è necessario fare rete, rendersi conto che siamo tutte nella stessa barca e che è necessaria l’organizzazione. Attraverso eventi pubblici e social network cerchiamo di sensibilizzare l’opinione pubblica e le colleghe. Abbiamo fatto proposte per provare a cambiare il sistema e siamo sempre alla ricerca di attiviste nuove. Nel mondo della cultura siamo molto parcellizzati e precari, spesso non ci si rende conto delle condizioni di sfruttamento in cui si vive».
C’è anche il sistema del volontariato sostitutivo che inquina il mercato del lavoro, molte persone sono convinte che possa essere una strada per aprirsi verso il mondo del lavoro ma così non è. «Non abbiamo ancora la percezione della cultura come bene comune, come servizio pubblico, finché non si prova sulla propria pelle non si capisce fino in fondo cosa vuol dire leggere un libro in biblioteca, entrare in un museo gratuitamente, non si capisce il valore della cultura perché si associa al profitto. Tutti i comparti pubblici soffrono della precarizzazione, della privatizzazione per questo è necessario».