Agire locale e pensare globale per una sanità pubblica fuori dal mercato

di Alice Cauduro*

Nel 1978 l’istituzione del Servizio sanitario nazionale (SSN) ha rappresentato una delle conquiste più significative della storia italiana, affermando che la Repubblica tutela la salute attraverso il SSN “senza distinzioni di condizioni individuali o sociali e secondo le modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio”[1]; così il principio universalistico dell’accesso alle cure ha attuato e superato la stessa Costituzione[2] segnando la volontà di garantire (almeno) le prestazioni essenziali, incondizionatamente e a tutti, attraverso il finanziamento con la fiscalità generale.

La progressiva erosione del modello universalistico garantito dal SSN è precedente e indipendente dall’attuale emergenza sanitaria, si discute da tempo sui tagli alle risorse economiche destinate alla sanità pubblica (giustificati da una presunta insostenibilità economica); sulla scelta del modello aziendalistico e sullo stato di abbandono della medicina territoriale (tra depotenziamento dell’assistenza domiciliare e smantellando di presidi territoriali); sull’accentuato processo di regionalizzazione lontano dai bisogno delle persone (fino al più recente programma di regionalismo differenziato); sulla spinta alla sanità privata (attraverso forme di collaborazione pubblico-privato, come la finanza di progetto); sulla diffusione dell’offerta di fondi sanitari integrativi (verso modelli assicurativi, come anche il welfare aziendale).

Lo smantellamento di fatto del modello universalistico del SSN affonda le sue radici ideologiche nelle politiche degli ultimi trent’anni che hanno sostenuto l’ondata di privatizzazioni, esternalizzazioni, liberalizzazioni, e nell’arretramento del ruolo pubblico, più in generale, nella gestione dei servizi pubblici. Si sono aggiunte poi la riforma costituzionale del Titolo V, che ha modificato il riparto di competenze tra Stato e Regioni anche in materia di salute e le regole economiche europee, dalla tutela della concorrenza e libera circolazione delle merci nel mercato interno, ai vincoli del pareggio di bilancio.

Così, a Costituzione e legislazione invariate, i principi istitutivi del SSN hanno nel tempo perso effettività. L’enorme valore del SSN appare ancora più evidente oggi in tempi emergenziali, ma è evidente che la sua fragilità è conseguenza anche delle politiche neoliberiste nazionali, europee, internazionali e del loro impatto sulla sanità pubblica.

A livello sovranazionale è assente (e necessario) un sistema sanitario globale in grado di garantire il diritto universale alla salute (si pensi alla negazione dei farmaci essenziali a causa delle logiche di mercato nel settore farmaceutico).

A livello europeo l’Unione, che tutela la concorrenza e il mercato interno, ha mantenuto la competenza degli Stati membri nella scelta dei rispettivi modelli sanitari nazionali (come delle politiche fiscali e delle scelte di finanza pubblica), ma servirebbe una struttura sociale europea in grado di operare con un’organizzazione molto diversa da quella attualmente realizzabile con i poteri assegnati all’Unione europea dal Trattato sul funzionamento (la garanzia di “un livello elevato di protezione della salute umana”[3] e “azioni di sostegno, coordinamento e completamento delle azioni degli Stati membri”[4]).

A livello nazionale, l’Italia ha preso la direzione della frantumazione regionale del sistema sanitario nazionale (con 20 sistemi regionali differenziati, che di fatto non garantiscono l’eguaglianza dei livelli essenziali assistenziali sul territorio nazionale) e della compressione dell’universalismo nella fruizione dei servizi essenziali (esasperata dal federalismo sanitario). I tagli alle risorse del SSN hanno spinto al ricorso ai privati in grado di fornire prestazioni sanitarie in tempi rapidi e a costi inferiori al ticket imposto sulle prestazioni pubbliche, compromettendo evidentemente l’attuazione del principio universalistico.

Per giustificare i tagli alla sanità si sostiene la necessità di una gestione efficiente del SSN (con la discutibile definizione dei c. d. costi standard), eppure proprio situazioni di emergenza come quella attuale dimostrano che la garanzia universalistica dell’accesso alle cure richiede una gestione inefficiente (secondo l’efficienza del mercato); ciò non equivale a sostenere l’incentivo di sprechi, ma si tratta di garantire il servizio tenendo conto delle emergenze (si pensi all’acquisto di mascherine, respiratori, ai posti letto per le terapie intensive, poco utilizzati in tempi di gestione ordinaria).

Per guardare oltre l’emergenza è necessario considerare diversi aspetti, per un servizio sanitario pubblico eguale e di qualità, che possa garantire l’universalismo dell’accesso alle cure.

L’azione locale e il pensiero globale per un modello di salute universale si intrecciano.

Per estromettere il mercato dalla sanità, per una sanità pubblica senza profitto, con erogazione gratuita delle prestazioni (almeno di quelle essenziali) che assicuri la copertura universale secondo logiche solidaristiche e di eguaglianza, sono necessari: un recupero delle strutture pubbliche a tempo pieno, senza possibilità di destinazione all’attività privata e il divieto delle prestazioni intra moenia; una produzione pubblica di materiale protettivo, specialistico e diagnostico; una ricerca e produzione pubblica farmaceutica assieme all’utilizzo delle licenze obbligatorie come limitazione dei brevetti; una retribuzione adeguata e condizioni di lavoro sicure e dignitose per il personale sanitario; il rifiuto di ogni forma di partenariato pubblico-privato e di assicurazione sanitaria, anche integrativa, in quanto strumenti che aprono le porte alla sanità privata.

È necessario valorizzare e potenziare la medicina territoriale e l’assistenza domiciliare mettendo al centro i bisogni delle persone, sempre garantendo livelli essenziali assistenziali uniformi sul territorio nazionale; realizzare il principio di partecipazione al servizio (già principio ispiratore della legge del 1978); contrastare il federalismo sanitario che impedisce l’effettiva garanzia dei livelli essenziali di assistenza su tutto il territorio nazionale.

Indispensabile, è poi un progetto di sanità europea che possa essere il paradigma del superamento delle logiche di mercato e delle regole su debito e austerità, secondo un’allocazione delle risorse orientata alle priorità costituzionali degli Stati membri per la tutela dei diritti delle persone.

Infine queste azioni debbono inserirsi in una lotta globale per il diritto universale alla salute, per la garanzia del diritto fondamentale alla salute incompatibile con il mercato. L’universalismo sanitario presuppone una sola sanità per tutti: una sanità pubblica globale e fuori dal mercato.

 

*Alice Cauduro è autrice di L’accesso al farmaco, Memorie del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino, Ledizioni, Milano, 2017

 

[1] Legge 23 dicembre 1978, n. 833, art. 1.

[2] Costituzione italiana, art. 32 comma 1.

[3] Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, art. 168.

[4] Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, art. 6.

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