Alla fine, Marx potrebbe anche aver ragione

Patrick Armstrong
strategic-culture.org

Prima di Marx, il socialismo era una sorta di pio desiderio volontario, uscito senza dubbio dalle fantasie dei Protestanti sul modo di vivere nel Cristianesimo primitivo, dove tutto sarebbe stato messo in comune e condiviso. C’erano stati alcuni tentativi di costruire comunità socialiste cristiane, ma la maggior parte di esse aveva avuto una fine infelice, particolarmente infelice quella degli Anabattisti di Munster. Anche le comunità socialiste secolari, i tentativi di Robert Owens, ad esempio, non avevano avuto molto successo, anche se erano terminate in modo più pacifico.

Marx asseriva di aver reso scientifico il socialismo, credeva cioè di aver scoperto il meccanismo guida della società attraverso i secoli: aveva concluso che il socialismo era l’inevitabile fase successiva dell’evoluzione. Insieme ad Engels aveva descritto la teoria nel Manifesto Comunista del 1848 e aveva passato il resto della vita ad elaborarne i dettagli. La lotta di classe, i mezzi di produzione, il trionfo della borghesia nei tempi moderni, la teoria del valore del lavoro (il plusvalore, più la borghesia ha successo, più crea la sua stessa distruzione): “Ciò che la borghesia produce, soprattutto, sono i suoi stessi becchini. La sua caduta e la vittoria del proletariato sono ugualmente inevitabili.” È una teoria completa della storia e della società. La forza trainante per l’avvento dell’era socialista è l’impoverimento del proletariato, perchè i proprietari dei mezzi di produzione spremono sempre più plusvalore dalla classe dei lavoratori, diventando sempre più potenti e più ricchi mentre le condizioni dei lavoratori peggiorano:

Il lavoratore moderno, al contrario, invece di sollevarsi con il processo industriale, affonda sempre più in profondità, al di sotto le condizioni dell’esistenza della sua stessa classe. Diventa un povero e il pauperismo si sviluppa più rapidamente della popolazione e della ricchezza.

Allo stesso modo, sempre più capitalisti, un tempo ricchi, vengono rovinati e spinti nelle file dei lavoratori impauperiti (“Un capitalista ne uccide sempre molti“) fino a quando, e i dettagli non vengono mai realmente descritti, ci sono così pochi ricchi e così tanti poveri che:

La centralizzazione dei mezzi di produzione e la socializzazione del lavoro raggiungono alla fine il punto in cui questi diventano incompatibili con la loro scorza capitalista. Questo tegumento si frantuma. Suona la campana per la proprietà privata capitalista. Gli espropriatori vengono espropriati.

La fase finale non necessariamente deve essere violenta: alla fine, ci sono così pochi super ricchi che, sia che vengano impiccati ai lampioni o mandati in pensione come l’ultimo imperatore della Cina, non fa molta differenza nel grande schema degli eventi.

Marx credeva di aver scoperto le leggi, i processi, i meccanismi che guidavano la storia e la società: il modo in cui le cose sono e saranno e come dovrà essere: scientifico. Dopo Marx, il socialismo non è più qualcosa da desiderare, qualcosa che un ricco e benevolo padrone potrebbe creare se glielo chiedessimo educatamente, un appello alla coscienza cristiana, ma è  l’essenza stessa del modo in cui sono le cose e come devono svilupparsi. Il socialismo è interconnesso con la storia.

Ma, subito, c’è una contraddizione: se è scientifico, niente che voi o io possiamo fare lo farà arrivare più o meno in fretta, quindi non ha senso iscriversi ai partiti socialisti; alle leggi del moto di Newton non importa se voi o io creiamo una società per fare proseliti a loro favore. Ma, se è importante lavorare per l’avvento del socialismo (e lo stesso Marx, ne era stato coinvolto in almeno un’occasione) allora non è inevitabile e, quindi, non è scientifico. Questo ha creato due correnti nel marxismo: lo spontaneismo (si verificherà a tempo debito) e il volontarismo (deve essere fatto accadere).

L’aspettativa scientifica che A porta a B e B a C era andata in crisi alla fine del 1800. Eduard Bernstein sosteneva che gli eventi non stavano seguendo il percorso che Marx aveva previsto mezzo secolo prima: la proprietà del capitale non si concentrava in sempre meno mani, le condizioni dei lavoratori non peggioravano. In una parola, gli sviluppi politici, il potere politico della classe operaia, stavano cambiando le leggi di Marx. Da questo conflitto fra teoria e osservazione era nata l’idea di quella che oggi chiamiamo socialdemocrazia. I socialisti dovrebbero lavorare all’interno del sistema per ridurre l’orario di lavoro, rompere i monopoli, eliminare il lavoro minorile, aumentare i salari, sostenere i sindacati e così via: in termini marxisti, usare il potere politico per costringere i padroni a rinunciare ad una parte significativa del plusvalore. La socialdemocrazia potrebbe essere armonizzata con il concetto di libera impresa, descrivendola come un livellamento del campo di gioco. Se l’essenza del libero mercato è la concorrenza, allora potremmo convenire che le richieste dei lavoratori debbano competere liberamente con quelle del capitale in condizioni di parità; se è desiderabile la concorrenza in uscita, allora deve esserlo anche in ingresso. L’economia mista: il dinamismo del libero mercato che impedisce la stagnazione e [lo svilupparsi della] burocrazia tipica del socialismo, il potere dei lavoratori che si oppone all’oppressione dei deboli e un governo che fa da garante di questo equilibrio.

Lenin odiava le conclusioni di Bernstein (“revisionismo“) e in Che cosa si deve fare? aveva seguito un indirizzo diverso: poche persone, informate e disciplinate, avrebbero dovuto guidare lo sviluppo. E questo aveva portato all’URSS e alla sua flaccida fine, il “socialismo sviluppato” di Breznev. (Tra parentesi: Breznev sembra proprio la riproduzione umana in tempi moderni del re filosofo di Platone). Interessante osservare, tuttavia, che sia il Bernsteinismo che il Leninismo erano approcci volontaristici: il futuro si crea oggi con atti di volontà. Alla faccia del socialismo scientifico.

L’economia mista ha funzionato abbastanza bene e abbastanza a lungo e le socialdemocrazie in Europa hanno garantito elevati standard di vita e di giustizia sociale a tutti i livelli. Perfino gli Stati Uniti, con tutto il loro odio per il “socialismo,” hanno offerto un buon tenore di vita al loro “proletariato,” grazie al potere dei sindacati e al voto di maggioranza.

Piuttosto che vivere miseramente di un lavoro inteso come materia prima, proprio come i protagonisti di The Ragged-Trousered Philanthropists [I filantropi con i pantaloni stracciati], un lavoratore in Occidente può comprarsi la casa e sostenere una famiglia. Nel complesso, la maggioranza potrebbe concordare sul fatto che si era raggiunto un buon equilibrio e che le previsioni di Marx erano state smentite. Il crollo dell’URSS e dei suoi satelliti aveva messo il chiodo definitivo alla sua bara. I marxisti si erano trasformati in bizzarri lunatici che urlavano agli angoli della strada che il comunismo non poteva aver fallito perché non era mai stato veramente messo alla prova!!!

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Ma quello succedeva allora e oggi è oggi. La causa scatenante di queste mie considerazioni è stato questo titolo: “Secondo una ricerca, i tre Americani più facoltosi detengono più ricchezza del 50% più povero della popolazione.” La cosa è assolutamente stupefacente: tre persone potrebbero comprarsi 160 milioni di Americani: pagare i loro affitti e i loro mutui, ripulire i loro conti correnti, appropriarsi delle loro assicurazioni sanitarie, svuotare i loro piani pensionistici, gettare i loro vestiti nei cassonetti dell’Esercito della Salvezza, ammucchiare le loro carabattole sui marciapiedi e prendersi anche i loro denti d’oro. Per quanto riguarda l’acquisto dell’altra metà [degli Americani], l’unica domanda è: quanti altri miliardari ci vorrebbero: cento, duecento? Quanto tempo prima che i tre possano comprarsi i due terzi della popolazione? (La scorsa settimana, ci è stato detto, uno dei tre ha messo altri sei miliardi in cassaforte, l’equivalente di dodici delle più moderne navi da crociera Princess o la metà di una portaerei americana). Prima di sapere dei tre grandi, avevo letto in questo articolo del 2014: “I ricercatori hanno quindi concluso che la politica degli Stati Uniti è determinata più dai gruppi che promuovono interessi particolari che dai politici che rappresentano in modo adeguato la volontà della popolazione, compresa la classe a basso reddito.” I due titoli non sono, per usare un eufemismo, assolutamente antitetici.

Parlando invece dei soli milionari, apprendiamo che “l’ex-amministratore delegato di Boeing, Dennis Muilenburg, ha lasciato la società con stock options ed altri beni per un valore di circa 80 milioni di dollari, ma non ha ricevuto la liquidazione per la sua fuoriuscita dall’azienda, attualmente in cattive acque, ha rivelato Boeing venerdì scorso.” Un’azienda all’avanguardia, probabilmente distrutta durante il suo mandato, e lui ha in tasca più soldi di quanti voi, io o tutti i lettori di questo pezzo vedranno mai. Nel frattempo, negli Stati Uniti i salari medi non sono cambiati molto negli ultimi 40 anni.

I ricchi diventano sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri.

Cos’è successo? Beh, in poche parole, i ricchi hanno arraffato il potere politico, hanno assunto il controllo del governo e hanno iniziato a barare sul campo da gioco. Ovunque possono esercitare il loro potere, lo fanno: aumentano i salari dei dirigenti, aumentano le tasse universitarie, i parlamentari diventano sempre più ricchi, le burocrazie si espandono, i governi salvano il capitale. Niente di tutto ciò è nuovo o insolito, ovviamente; avidità + potere = più avidità è un’equazione per tutti i tempi e tutti i luoghi. Ma, da qualche parte, l’Occidente ha perso quelle forze compensative che bilanciavano l’avidità dei capi con l’avidità del sindacato. Lo vediamo in tutto l’Occidente: super ricchi, enormi stipendi per i dirigenti, benefit infiniti per alcuni, austerità per tutti gli altri. In modo più drammatico, ovviamente, negli Stati Uniti, perché sono il leader dell’Occidente e i “primi utilizzatori.” I socialisti e le istituzioni avevano fatto da contrappeso e avevano creato un equilibrio in cui tutti avevano ottenuto qualcosa. Ora, quel contrappeso è scomparso.

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Quindi, in un certo senso, è successo quello che Marx aveva previsto 170 anni fa. Molto più tardi di quanto si aspettasse e in modo molto diverso. La sua teoria sosteneva che i proprietari dei mezzi di produzione, i Carnegie, i Vanderbilt, i Rockefeller, avrebbero governato il mondo. Ma dei tre Americani che, ci viene detto, possono comprarsi metà della popolazione, uno è un investitore, un altro uno sviluppatore di software e il terzo è l’inventore di un negozio di vendita per corrispondenza. Dove sono i mezzi di produzione? Beh, un’altra ironia, sono stati venduti alla Cina.

Quindi, i super ricchi in Occidente possiedono i beni immateriali;

I comunisti in Oriente possiedono i mezzi di produzione.

Non proprio quello che si aspettava Marx.

Eppure: tre persone ricche come mezza nazione? I legislatori che fanno ciò che viene detto loro da chi ha i soldi? È un po’ come il capitalismo della fase avanzata di cui parlava Marx, pochi, pochissimi super ricchi e un gran numero di miserabili.

Come direbbe oggi Marx, gli oppioidi sono l’oppio dei popoli.

Quindi, cosa succederà dopo? Il COVID-19 sta brutalmente portando alla luce il fatto che queste società occidentali, in realtà, non sono molto efficienti. È significativo il fatto che tre quarti dei casi di COVID-19 si trovino nei paesi della NATO.  Solo sei mesi fa, avrebbero dovuto essere i più preparati. Le guerre senza fine continuano all’infinito, i debiti si accumulano, i divari di ricchezza crescono, le politiche di austerità continuano. La propaganda dell’eccezionalismo occidentale è sempre forte ma, ad ogni fallimento, si indebolisce e diventa sempre meno convincente.

Il mondo sta cambiando e Karl Marx non sembra obsoleto come 50 anni fa.

Patrick Armstrong

Fonte: strategic-culture.org
Link: https://www.strategic-culture.org/news/2020/04/26/maybe-karl-marx-was-right-after-all/
26.04.2020

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