È morto il 9 ottobre a 65 anni Massimo Campanini, docente di storia del Medio Oriente e di pensiero islamico, grande studioso di filosofia e teologia islamica e divulgatore. Lo voglio ricordare proponendo questa traduzione di un’intervista, molto schietta e personale, fatta da un amico e collega, Mohammed Hashas, che proprio ieri è stata pubblicata su Reset Dialogues. Un tributo è d’obbligo anche su Globalproject, perché Campanini ha sempre accettato con piacere di contribuire a questo progetto, fornendoci analisi utili sul Medio Oriente e condividendo i suoi contatti, che sono stati e continueranno ad essere altrettanto importanti nel nostro tentativo di raccontare alcune dinamiche di questa regione.
Prima parte: background e studio dell’Islam e dei musulmani
Chi è il professor Massimo Campanini?
Penso di essere un libero pensatore, solitamente antagonista delle posizioni consolidate e mainstream, sia nel pensiero che nella politica. Non mi sento a mio agio con la società occidentale dove vivo perché penso che sia fondata sull’ipocrisia e su falsi pregiudizi. Il principale di questi è la convinzione che noi europei ed americani (perlopiù bianchi, ovviamente, [che in America si identificano con, NdT ] i WASP [White Anglo-Saxon Protestant, NdT]) siamo i depositari di verità assolute ed universali, eterne e fuori dalla storia – siamo così gli artefici della fine della nostra storia. Europei ed americani sono popoli biblici eletti (ricordatevi dei Padri Pellegrini) e Dio si è incarnato per noi; abbiamo quindi la responsabilità di civilizzare il mondo. Sin dalla mia prima giovinezza non ero a mio agio con questa prospettiva. Sfortunatamente, gli occidentali predicano la pace, ma spesso dichiarano guerra. Non è un caso che uno degli eroi della mia giovinezza fosse Giordano Bruno, un pensatore “eretico” bruciato dall’Inquisizione romana.
Come sei arrivato allo studio dell’Islam e delle società musulmane?
Ho iniziato a studiare l’Islam e l’arabo nel 1980 (dopo Giordano Bruno). Stavo attraversando un periodo di crisi intellettuale, trovandomi insoddisfatto di me stesso e della mia visione del mondo, nonché della mia collocazione sociale. Ero sotto l’ombra del scientismo all’epoca ed ero in rivolta contro l’istruzione che avevo ricevuto e i suoi paradigmi dominanti. Non per caso, dopo un viaggio in Egitto, ho scoperto il Corano e ho iniziato a leggerlo nella traduzione e commentario di Alessandro Bausani. Il continuo studio del Corano mi ha portato ad elaborare quello che per me era una idea più razionale di Dio e della teologia, lontana da ogni antropomorfizzazione, fideismo e cieca obbedienza. Il mio ingresso nello studio dell’Islam è stato quindi filosofico-teologico e solo più tardi ho dedicato parte dei mie studi alla storia contemporanea dei paesi arabi. Non per niente, il mio primo libro (1986) riguardava un commentario (ed una traduzione) filosofico-mu’tazilita della sura al-kahf [la caverna] del Corano.
Questi studi ti hanno portato a scoprire il mondo islamico? C’è qualche storia particolare che vuoi raccontare?
Non sono un viaggiatore, almeno non nel corpo, piuttosto nella mente. In ogni caso, ho visitato molte volte alcuni paesi arabi come l’Egitto, la Tunisia ed il Marocco, e solo una volta lo Yemen. Oltre al Nord Africa, ho visitato Istanbul. Mi fa piacere ricordare due aneddoti intimi, entrambi successi al Cairo. Le volte (l’ho fatto dozzine di volte in realtà) in cui sono entrato alla moschea Ibn Tulun, ho sempre provato un respiro di grandezza, ma anche di pace ed armonia: una grande e profonda esperienza spirituale. Il mio viaggio preferito è stato camminare su è giù attraverso il quartiere di al-Gamaliyya, percorrendo corso al-Muizz li-Din Allah verso la moschea al-Azhar, Bab Zuwayla e la Cittadella attraverso Darb al-Ahmar: rumore, odori, colori – tutto per me era affascinante e lo è ancora. E la gente, molto povera ma piena di dignità (nessun falso mendicante), e le voci dei muezzin di notte… Neghib Mahfuz era un maestro nel descrivere tutto questo.
Appartieni a qualche tradizione di studi orientali, o preferisci essere “libero” dalle diverse influenze?
Ovviamente ho studiato la tradizione accademica orientalistica e ho imparato molto da essa dal punto di vista metodologico, ma credo di essere sempre stato abbastanza “libero”. Sono convinto che, se vuoi capire l’”altro”, devi provare a pensare come l’altro pensa. Di conseguenza, ho preferito vedere l’Islam attraverso gli occhi dei musulmani e non quelli degli orientalisti (à la Edward Said), almeno per quanto potessi.
Quali sono stati gli studiosi italiani, europei e non europei che ti hanno influenzato nelle tue scelte ed attitudine in questo ambito di studi?
Senza dubbio Alessandro Bausani (morto nel 1988), Hasan Hanafi (nato nel 1935) e Nasr Abu Zayd (morto nel 2010). Li ho conosciuti personalmente e gli ho spesso reso visita a casa. Bausani mi ha insegnato a guardare all’Islam con un’attitudine simpateticamente ma scientificamente consapevole. L’approccio fenomenologico di Hanafi hanno modificato definitivamente le mie idee sulla religione ma anche sulla politica. L’apertura mentale di Abu Zayd mi hanno aiutato a migliorare i miei metodi di lettura del Corano. I libri di Muhammad Iqbal (morto nel 1938) e Fazlur Rahman (morto nel 1988) mi hanno sicuramente influenzato, anche se indirettamente.
Esiste una tradizione italiana di studi islamici? È forte o debole? Qual è l’attuale stato dell’arte? Soddisfacente secondo te?
Sì, ci sono stati e ci sono studiosi italiani molto importanti, anche se spesso elitisti. Gli arabisti ed islamologhi del XX secolo hanno dato un enorme contributo alla letteratura, ma non sono stati riconosciuti a livello internazionale – a parte alcune rare eccezioni – e la situazione oggi non è molto diversa. Ovviamente, è quasi impossibile essere letti e considerati a livello mondiale se si scrive in italiano, ma c’è anche da considerare un problema di parrocchialismo in Italia.
Che ruolo svolgono gli studiosi italiani dell’Islam nel dibattito pubblico sull’Islam e i musulmani in Italia ed in Europa? Oppure, se il loro ruolo è invisibile, come pensi dovrebbe essere?
Il loro ruolo è molto limitato perché, da un lato, gli studiosi seri in Italia non amano molto lo spazio pubblico (il giornalismo velenoso ha la meglio), e, dall’altra, poiché molti preferiscono restare chiusi nelle loro torri d’avorio. Secondo la mia esperienza, in Italia c’è poco spazio per posizioni veramente impegnate. Il mondo libero è libero solo fino ad un certo punto.
C’è uno scambio forte tra gli accademici italiani dell’Islam e il mondo arabo-islamico? Questo è cambiato nel tempo? Da quali fattori dipende? Puoi spiegare?
Sfortunatamente no, lo scambio non è sufficiente, per le ragioni già menzionate [intermediazione linguistica, un’attitudine da torre d’avorio, attitudini centriste ecc.]
Ci sono aree ed epoche di studio che pensi l’accademia abbia ignorato finora nel tuo campo in particolare?
Nello scorso secolo gli studi arabo-islamici erano perlopiù letterari e linguistici, e soprattutto classici, con grande spazio dato al sufismo. Oggigiorno la situazione è cambiata. Molti giovani studiosi coraggiosi stanno studiando storia contemporanea, geopolitica, sociologia, economia e così via. La filosofia rimane, tuttavia, un ambito di studi ristretto, soprattutto il pensiero contemporaneo – di solito dimenticato nella nostra accademia.
Ci sono stati particolari fattori storici, socio-politici o economici che hanno influenzato tale studio, sia negativamente che positivamente?
È paradossale, ma per niente strano, che gli studi arabo-islamici siano fioriti sotto il fascismo per scopi coloniali. Dopo la seconda guerra mondiale, erano circoscritti ad un’élite molto ristretta di specialisti e a lungo non hanno goduto di attenzione pubblica. Ricordo che, quando ho insegnato storia e istituzioni del mondo islamico all’Università di Urbino alla fine degli anni ’90, le mie classi a volte erano letteralmente vuote. Dopo l’11 settembre le classi si sono riempite (insegnavo a Milano all’epoca), ma quanto era sincero il loro interesse? A dire la verità, l’interesse del grande pubblico per l’Islam è fortemente condizionato da circostanze esterne contingenti e oggi la propaganda xenofobica e islamofobica non aiuta a far crescere quest’ambito. Ribadisco: l’Italia è un paese parrocchiale.
Seconda parte: eventi e personalità influenti nell’ambito di studi
Ricordiamo ora alcuni eventi moderni e contemporanei, ed alcuni personaggi di cui potresti dire qualcosa. In altre parole, ci sono stati eventi che hanno influenzato le tue scelte di studio e il tuo ambito di studi? Eventi come la rivoluzione islamica in Iran, la questione del velo, il caso della fatwa contro Salman Rushdie, la caduta del muro di Berlino, gli attacchi terroristici dell’11 settembre del 2001, l’invasione dell’Iraq, o qualsiasi altro eventi significativo per il tuo background o ambito di studi.
Come ho detto, ho iniziato lo studio dell’Islam per motivi teologico-filosofici. Il mio interesse più grande è sempre stato focalizzato su questo filone. Tuttavia, negli anni ’80 e ’90, la lotta per la liberazione del terzo mondo dall’imperialismo europeo e americano mi ha fortemente motivato a studiare storia contemporanea. Oserei dire che sono stato tra i primi in Italia – e non solo in Italia – a studiare, ad esempio, il socialismo in relazione all’Islam politico (i Fratelli Musulmani). Ovviamente, quasi nessuno ha letto i miei scritti di quegli anni. Oggi quindi rido tra me e me quando leggo che alcuni grandi studiosi (stranieri) vengono acclamati per le stesse idee che io ha discusso oltre trent’anni fa senza alcuna considerazione internazionale. In sintesi, la politica ha sempre spinto il mio lavoro, e sicuramente la rivoluzione iraniana è stata uno spartiacque, come anche le guerre arabo-israeliane o le guerre del Golfo.
Quali sono le persone, i movimenti o gli attori politici che pensi siano di grande importanza per l’influenza che hanno avuto sul tuo ambito di studi?
Dal punto di vista della filosofia e degli studi coranici, ho già ricordato il mio debito verso persone come Hasan Hanfi e Fazlur Rahman. Quanto alla storia contemporanea, sono stato e lo sono tutt’ora un sincero “nasserista”. Socialismo e religione sono ancora al centro della mia ricerca. La lotta per la liberazione – intellettuale e politica – è ancora la strada da percorrere.
Terza parte: il futuro
Il mondo arabo in particolare, e il più ampio Medio Oriente in generale, appare in tumulto, soprattutto dopo la cosiddetta Primavera Araba del 2011. Quali aspirazioni e paure porta questo momento storico da una prospettiva accademica? Influenza il modo in cui questa regione viene studiata? E il modo in cui viene insegnata a non-specialisti e a giovani studenti?
Credo che gli studi arabo-islamici siano essenziali per capire le dinamiche storiche presenti. Studi accademici ed un’informazione dei mass-media veramente corretta sarebbero fondamentali per evitare quello scontro di civiltà che gli occidentali sono comunque pronti ad alimentare. Il Medio Oriente è una zona geopolitica cruciale. I fenomeni terroristici potrebbero essere demistificati se correttamente interpretati. Sfortunatamente, almeno in Italia, non c’è un impegno politico e pubblico diretto a migliorare la conoscenza dell’Islam. I mass-media (e a volte l’accademia, alas!), dipingono l’Islam esclusivamente come un’ideologia violenta. L’individuo medio è scarsamente informato dei progressi intellettuali e spirituali dell’Islam. Si tratta ovviamente di una scelta deliberata: la creazione di un nemico è normale nella civiltà occidentale. Prima il comunismo, poi l’Islam e i “neri”, e probabilmente nel futuro prossimo la Cina. Alle giovani generazioni bisogna insegnare ad ampliare gli orizzonti. Il mondo non finisce a New York. Piuttosto, Gerusalemme dovrebbe essere internazionalizzata.
Lasciami chiudere facendo riferimento ad alcuni dei tuoi ultimi lavori accademici. Hai recentemente inaugurato lo studio del Corano come testo filosofico in Philosophical Perspectives on Modern Qur’anic Exegesis (2016) e in Islam, religione dell’occidente (2016). Il primo lavoro è orientato filosoficamente, anche se alcuni studiosi non si troverebbero d’accordo con l’idea di una “teologia filosofica” o di una “filosofia teologica”, mentre il secondo è un lavoro comparativo della teologia e della storia di Gesù Cristo e di Muhammad. Questi testi sintetizzano l’interesse che hai espresso per il pensiero islamico e i musulmani. Non è mio intento forzare qualche “dialogo intellettuale” nella tua vasta opera, ma pensi che la filosofia e la teologia siano separabili nella tradizione islamica? O pensi che fossero separate nel periodo formativo della tradizione intellettuale e questo non sia stato perso, e quindi oggi venga riscoperto? Oppure, basandoti sulla tua critica della letteratura “occidentale” e del pensiero mainstream (e della politica), pensi che rivisitare il significato della filosofia sia necessario in quest’epoca di crisi (filosofica, teologica, politica, tecnologica, delle relazioni umane etc…)? Credi che queste domande trovino una qualche risposta nel secondo libro sopracitato? Pensi che la tradizione islamica appartenga all’occidente o, retrospettivamente, che l’occidente appartenga alla tradizione islamica, se lo scambio filosofico del passato (ovvero greco-arabo) viene letto storicamente e non politicamente?
Sono domande intriganti. Provo a rispondere brevemente: 1) tutto dipende dal significato che diamo alla parola “teologia”. Se con “teologia” indichiamo la tradizionale ‘ilm al-kalam, indubbiamente la teologia e la filosofia (falsafa) erano nettamente separate nell’epoca classica dell’Islam. Ma se con “teologia” indichiamo la riflessione teoretica sul divino, pensatori come Abu Hamid al-Ghazali (morto nel 1111) o Fakhr al-Din al-Razi (morto nel 1209) era filosofi-teologi. 2) La cultura islamica ha subito una profonda crisi a partire dall’VIII dell’egira/XIV secolo d.C., quando la filosofia è stata “dimenticata”. Ma non è stata colpa della teologia, piuttosto della giurisprudenza (fiqh) che ha fagocitato le scienze speculative, enfatizzando la stretta normatività e la chiusura dell’ijtihad. A dire il vero, Averroè non ha avuto discepoli fino a tempi moderni. Quegli studiosi (e ce ne sono molti, sia orientalisti che musulmani) che hanno celebrato il post-avincennismo esoterico o l’ambiguo sufismo filosofico (Ibn ‘Arabi ad esempio) come lo zenit del pensiero islamico rendono un cattivo servizio alla cultura islamica enfatizzando un “pensiero di oscurità” (nei termini di Ibn ‘Arabi). 3) Credo che l’attuale cultura islamica abbia bisogno di tornare indietro al mu’tazilismo e allo spirito creativo di questo. Anche su questioni teologiche sensibili come la creazione del Corano. Gli intellettuali musulmani hanno bisogno di adottare nuove metodologie di lavoro, prendendo il meglio dall’orientalismo, se è necessario. E lo è. 4) L’Islam appartiene all’Occidente perché, al di là delle comuni radici abramitiche e del monoteismo, hanno condiviso lo stesso contesto storico. Nella tardo-antichità, nel cosiddetto Medioevo e nelle epoche coloniali e post-coloniali: l’Islam era ed è una civiltà mediterraneo-occidentale. Ricorda che il Cristianesimo è nato come religione “orientale”!! Parliamo spesso della dialettica Atene-Gerusalemme, ma c’è un terzo vertice, ovvero Mecca, oppure il Cairo o Cordoba se preferisci. Ovviamente, molti elementi fondamentali sono diversi. Nasr Abu Zayd era perfettamente consapevole che, ad esempio, l’Islam non può accettare la divinità di Gesù Cristo, mentre il Cristianesimo non può accettare che Muhammad abbia “abrogato” i Vangeli. Gesù e Muhammad hanno espresso sostanzialmente lo stesso messaggio religioso, tuttavia la loro etica era diversa. Inoltre, mentre nel Cristianesimo il Logos è Gesù, nell’Islam il Logos è il Corano. Tuttavia, le persone vivono in società e le società sono molto più flessibili delle ideologie religiose. Il punto è che l’Islam è l’”altro” dell’Europa e l’Europa è l’”altro” dell’Islam: sono sorelle in lite continua. La famosa storiella medievale ed illuministica dei tre anelli (da Boccaccio a Lessing) è indicativa e rappresenta la situazione reale.
Dove sta l’ottimismo o il pessimismo, se allo studioso è dato sperare e parlare come un cittadino-intellettuale?
Di natura sono pessimista. Tuttavia, ho l’ottimismo della volontà e la fede nella conoscenza e nelle scienze (umane, non naturali). Come hanno detto Enzo Paci ed Umberto Eco, la verità non è un apparato o un sistema da realizzare, né un risultato definitivo, ma un oggetto da ricercare. Dobbiamo cercare la verità, chiedere la verità senza arrivare ad essa, poiché solo la teleologia mantiene aperti gli orizzonti.