
di Valentina Bennati
comedonchisciotte.org
Cinque anni fa si accesero i riflettori sul Covid-19, uno tsunami che, dopo i primi casi in Cina, ha travolto il mondo. Per evitare il dilagare della dichiarata pandemia i Governi di vari Paesi obbligarono le persone a non uscire di casa, furono chiusi negozi, bar, ristoranti, scuole e le città iniziarono progressivamente a fermarsi.
In realtà, con effetti minimi o nulli sulla salute; piuttosto, enormi costi economici e sociali, secondo una metanalisi pubblicata dalla John Hopkins University nel gennaio 2022 per nulla pubblicizzata dai media.
Diversamente da quanto detto, e cioè che il lockdown totale era necessario “per riuscire a contenere il più possibile l’avanzata del coronavirus e tutelare così la salute di tutti i cittadini”, c’è chi, invece, sostiene il contrario, e cioè che l’effetto combinato di aria fresca e luce naturale del sole è importantissimo per il nostro benessere.
Volendo approfondire la tematica, ho provato a effettuare una ricerca scoprendo che il trattamento all’aria aperta si è rivelato già in passato fondamentale per risolvere situazioni particolarmente compromesse. Perfino è stato utilizzato con successo durante l’epidemia di influenza spagnola H1N1 del 1918-1919 che è considerata la pandemia più devastante mai documentata per il numero di vite che ha causato.
I registri dell’epoca di un ospedale all’aperto di Boston, Massachusetts, evidenziano che era possibile impedire la diffusione del virus e che pazienti e personale furono risparmiati dal peggio proprio attraverso una combinazione di aria fresca, luce solare e scrupolosi standard di igiene.
Fu sostanzialmente questo che ridusse i decessi tra i pazienti e le infezioni tra il personale medico.
Ma, innanzitutto, un po’ di storia.
Tra i primi sostenitori di quello che, in seguito, sarebbe diventato noto come ‘il metodo all’aria aperta’ ci fu il medico inglese John Coakley Lettsom che espose i bambini affetti da tubercolosi all’aria di mare e al sole presso il Royal Sea Bathing Hospital nel Kent, in Inghilterra, nel 1791.
Dopo di lui un altro medico, sempre inglese, George Bodington, riuscì a curare la tubercolosi polmonare con una combinazione di aria fresca, esercizio fisico leggero all’aria aperta, una dieta nutriente varia e il minimo di medicinali. Fu proprietario di un sanatorio per la tubercolosi a Sutton Coldfield, vicino Birmingham e nel 1840 pubblicò il resoconto dei suoi primi sei casi: un solo paziente tra questi era morto; tutti gli altri, invece, erano guariti o comunque migliorati notevolmente. In quel periodo la tubercolosi era considerata incurabile, Bodington, dunque, dimostrò il contrario e sottolineò che era indispensabile evitare di confinare i pazienti in stanze calde e poco ventilate, altrimenti avrebbero respirato continuamente area viziata contaminata dai loro stessi effluvi malati.
Secondo Bodington “L’applicazione di aria fredda e pura sulla superficie interna dei polmoni è il sedativo più potente che si possa usare e favorisce la guarigione delle cavità e delle ulcere polmonari più di qualsiasi altro mezzo che possa essere impiegato”. Aveva a lungo osservato le persone che trascorrevano il loro tempo all’aperto, come contadini e i pastori, e aveva notato che erano solitamente immuni alla tubercolosi, mentre si ammalavano soprattutto le persone che trascorrevano il loro tempo in casa.
Purtroppo, la nota rivista scientifica The Lancet pubblicò una recensione sarcastica del suo saggio e del suo metodo e il medico fu costretto ad abbandonare la struttura che aveva adibito come sanatorio finendo per dedicarsi esclusivamente alla cura dei malati mentali.
Le sue idee furono riprese dopo la metà dell’800 da Florence Nightingale (considerata la fondatrice dell’assistenza infermieristica moderna) che, di nuovo, tornò a scrivere della necessità della luce solare e dell’aria fresca per la guarigione dei pazienti ospedalieri.
I tempi, tuttavia, non erano ancora maturi. Fu solo in Germania che il metodo dell’aria aperta divenne noto, in particolare al Nordrach-Kolonie, nella Foresta Nera. Qui fu costruito, nel 1888, un sanatorio che all’epoca diventò famosissimo e punto di riferimento per tutti gli altri luoghi di risanamento all’aria aperta.
A inizio del 900, nel 1908, in Gran Bretagna ce n’erano almeno 90 attivi e tutti erano imitazioni di Nordrach. Anche in Germania sorsero molti sanatori all’aperto e, nel 1907, in Inghilterra, nel villaggio di Baschurch, nello Shropshire, nacque anche il primo ospedale ortopedico all’aperto. Infatti, erano state raccolte prove che il trattamento all’aria aperta giovava a tutta la salute in generale.
Durante la Prima Guerra Mondiale l’uso della terapia all’aria aperta si estese, dunque, ben oltre le condizioni tubercolari su larga scala. Furono, così, costruiti ospedali temporanei all’aria aperta per accogliere le vittime del fronte occidentale. Ad esempio, in uno dei campi da cricket della Cambridge University fu adibito il First Western General Hospital, un ospedale tendato con 1240 posti letto: accolse soldati malati e feriti che furono curati con successo, sia quelli affetti da polmonite, sia quelli con gravi ferite infette. Le infermiere e i medici avvertivano il freddo lavorando, ma i malati avevano letti comodi con molte coperte e borse di acqua calda.
Nel frattempo, conferme della validità del metodo arrivavano anche dalla Francia, infatti il chirurgo militare tenente colonnello Sir Berkeley Moynihan nel 1916 scriveva: “Nel trattamento di tutte le ferite da arma da fuoco in cui i processi settici sono in corso e la temperatura varia di diversi gradi, un immenso vantaggio deriverà dal collocare i pazienti all’aperto. Mentre ero in Francia ho sviluppato una grande ammirazione per gli ospedali tendati. C’è un grande movimento di aria, calore e comfort; quando arriva una giornata di sole, il lato della tenda può essere sollevato il paziente gode del vantaggio del trattamento all’aria aperta”.
Ecco che nel 1918, quando la pandemia del virus influenzale che già aveva terrorizzato l’Europa con il nome di ‘Spagnola’ prese piede anche negli Stati Uniti, a qualcuno sembrò naturale costruire ospedali all’aperto in varie zone. In particolare, a Boston, dove i malati erano troppo numerosi perché gli ospedali locali potessero accoglierli, la Guardia di Stato del Massachusetts fece costruire il Camp Brooks Open Air Hospital a Corey Hill, a Brooklyn, vicino alla città.
L’ospedale era composto da varie tende, il sito adeguatamente drenato e fornito di acqua corrente e fognature e edifici mobili furono allestiti per il personale medico e gli infermieri. In un mese la struttura accolse 351 malati, un terzo dei quali con diagnosi di polmonite: la maggior parte guarirono.
Il trattamento prevedeva “il massimo di sole e aria fresca giorno e notte” (di notte ovviamente i pazienti venivano tenuti al caldo nei loro letti con borse di acqua calda e coperte extra), inoltre vennero adottate misure per prevenire il diffondersi delle infezioni tra il personale sanitario: medici e infermieri dovevano indossare mascherine improvvisate composte da cinque strati di garza su una struttura metallica che copriva naso e bocca (era realizzata con un comune colino per il sugo sagomato per adattarsi al viso); avevano l’obbligo di sostituire la garza ogni due ore e anche di utilizzare un copricapo, guanti e camice. Infine, l’istruzione più importante era quella relativa al lavaggio delle mani che doveva avvenire sempre prima e dopo il contatto con i pazienti e prima di mangiare.
Un articolo apparso su Jama nel 1918 evidenziò che: “Sono stati usati alcuni medicinali per alleviare i sintomi dei pazienti e aiutarne la guarigione, ma questi erano considerati meno importanti di pasti regolari calore e tanta aria fresca e luce solare”.
Finita la guerra, negli anni successivi, gli effetti curativi dell’aria fresca e della luce solare furono studiati e approfonditi il fisiologo Sir Leonard Hill che ne parlò favorevolmente riguardo alla tubercolosi e nel 1919 scrisse sul British Medical Journal che “il modo migliore per combattere l’infezione influenzale è respirare profondamente aria fresca e dormire all’aperto”.
Ora, non si può affermare con certezza che i pazienti del Camp Brooks o di altri ospedali all’aperto siano guariti dalla Spagnola grazie ai livelli elevati di ventilazione naturale oppure per merito delle radiazioni ultraviolette o di entrambi i fattori.
Di certo, lavori scientifici successivi hanno evidenziato che la radiazione ultravioletta è in grado di inattivare il virus dell’influenza e altri patogeni virali e che la luce solare può uccidere i batteri. Inoltre, ci sono molte prove recenti che testimoniano il grande apporto che la luce naturale può dare alla salute.
Ad esempio, chi è stato colpito da infarto ha maggiori possibilità di guarire, se la degenza avviene in reparto illuminato dal sole, e uno studio ha mostrato che i pazienti nei reparti ospedalieri esposti a una maggiore intensità di luce solare hanno sperimentato meno stress percepito e meno dolore e hanno assunto il 22% in meno di farmaci analgesici all’ora.
Anche i disturbi psichiatrici rispondono meglio alla presenza di sole durante la degenza ospedaliera, stesso discorso si può fare per i neonati prematuri con ittero.
E ancora: uno studio ventennale su 29.518 donne ha scoperto che il beneficio più considerevole dell’esposizione regolare alla luce solare è la riduzione del rischio di morire di malattie cardiache e che coloro che hanno un’adeguata esposizione al sole hanno molte meno probabilità di essere colpiti da svariate patologie; mentre un altro ampio studio ha evidenziato che livelli sierici più elevati della principale forma circolante di vitamina D3 (che produciamo durante l’esposizione della pelle al sole) sono associabili a tassi di incidenza sostanzialmente inferiori di tumori del colon, del seno, della prostata e di altri tipi di cancro.
Sono solo alcuni esempi, in realtà sono davvero tantissimi e documentati i benefici della luce solare, non ultimo il corretto funzionamento del ritmo circadiano da cui il nostro corpo dipende per riposare e ripararsi.
Concludendo, anche se negli ultimi anni durante il periodo più duro della gestione Covid ci siamo sentiti dire quanto fosse importante chiudersi in casa ed evitare di uscire, stare all’aria aperta e permettere al nostro organismo di assorbire la luce naturale del sole è importantissimo per la nostra salute (anche ogni estate ci sentiamo ripetere quanto sia importante cospargersi la pelle di filtri solari prima di esporsi al sole e, ciononostante, i tassi di cancro alla pelle continuano ad aumentare poiché, evidentemente, le cause di questa patologia sono molteplici e ancora volutamente poco esplorate).
Il problema vero è che, oltre ad avere un così profondo beneficio su così tanti aspetti della salute umana, la luce solare è gratuita, dunque non brevettabile, e anche questo è un fattore che va ulteriormente contro gli interessi delle grandi industrie farmaceutiche (anche contro gli interessi delle ditte che producono creme solari che investono sempre grandi somme di denaro in pubblicità e, ovviamente, poi quei media molto difficilmente veicoleranno informazioni che vanno nella direzione opposta).
Pensiamoci … se mai ci dovessimo ritrovare a essere proiettati in nuovi e pesanti lockdown.
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