Che ci siano conflitti di interessi (CdI) tra gli autori dei RCT (studi clinici randomizzati) sui vaccini antiCovid-19 è talmente evidente che tutti sembrano non vederli; un po’ come i vestiti nuovi dell’imperatore. Essendo questi CdI inevitabili, ci aspetteremmo che almeno gli esperti che per conto delle agenzie regolatorie analizzano i dati, al fine di concedere ai prodotti l’autorizzazione all’uso, siano esenti da CdI. Sembra che non sia così, per lo meno negli USA e in Gran Bretagna, come riporta un articolo del BMJ. L’autore, un giornalista investigativo, ha analizzato i possibili CdI dei membri del comitato per i vaccini anti-Covid-19 della FDA negli USA e del Joint Committee on Vaccination and Immunisation (JCVI) in Gran Bretagna.
In quest’ultimo paese non è stato possibile ripetere l’esercizio per gli esperti della Medicines and Healthcare Products Regulatory Agency (MHRA), l’agenzia che ha rilasciato l’autorizzazione per i vaccini
anti-Covid-19, dato che questa non rende pubblici i suoi documenti e verbali; alla faccia della trasparenza.
Da notare che sia la FDA che il JCVI richiedono agli esperti di dichiarare il loro CdI solamente per gli ultimi
12 mesi.
La maggioranza degli esperti, 20 su 21 nella FDA e 18 su 19 nel JCVI, non aveva nulla da dichiarare. Ma il presidente del JCVI dirige un istituto di ricerca che riceve finanziamenti senza restrizioni da Pfizer per studi sulla polmonite, finanziamenti dichiarati nelle pubblicazioni derivanti da queste ricerche. Analogamente, un altro esperto del JCVI che dichiara di non avere CdI è ricercatore principale in uno dei siti dove si studia il vaccino Astra Zeneca, oltre ad aver ricevuto finanziamenti da GlaxoSmithKline (GSK) per altre ricerche, come si può facilmente verificare dagli articoli pubblicati. Questo stesso esperto è stato per anni presidente di un’associazione medica i cui congressi annuali erano finanziati da ditte produttrici di vaccini.
Interessante il caso di un esperto olandese membro del JCVI. Non dichiara, come tale, CdI, ma nelle sue pubblicazioni dichiara di aver ricevuto onorari da Astra Zeneca, Pfizer e GSK. Ha anche ricevuto finanziamenti da molte altre ditte per altre ricerche, tra cui una per un nuovo vaccino antinfluenzale. In una lettera al BMJ in relazione a questo articolo, ammette di aver avuto dei CdI e di aver finalmente informato il JCVI di quelli relativi ai vaccini; ma non degli altri, che ritiene non rilevanti per questa consulenza. Nella lettera al BMJ rivela anche molti altri CdI che non erano risultati dall’investigazione.
Per quanto riguarda la FDA, l’autore ha consultato il database Open Payments, collegato al Sunshine Act USA. Il presidente del comitato che ha autorizzato i vaccini anti-Covid-19 aveva ricevuto nel 2019 oltre 24mila dollari dall’industria farmaceutica. Un altro membro del comitato ne aveva ricevuti 30mila, un terzo 25mila e un quarto 5.500. Quest’ultimo aveva anche dichiarato, per un articolo pubblicato nel 2020, di essere titolare di numerosi brevetti per procedimenti utili a creare nuovi adiuvanti per vaccini. In una lettera al BMJ ha rivelato di aver dichiarato questi CdI alla FDA, che però li aveva ritenuti non rilevanti.
Per chiudere in bellezza, l’autore dell’articolo del BMJ ha scoperto che anche il capo redattore del New England Journal of Medicine (NEJM) era membro del comitato FDA che aveva autorizzato i vaccini Pfizer, Moderna e Johnson&Johnson. Il NEJM aveva poi pubblicato i risultati dei RCT di fase 3 per i vaccini Pfizer e Moderna, e i risultati preliminari del RCT Johnson&Johnson. Richiesto dall’autore dell’articolo di commentare questo fatto, il capo redattore del NEJM ha risposto di non vederci alcun problema. Non aveva, infatti, CdI finanziari con le tre industrie e aveva addirittura rifiutato gli onorari che gli spettavano come membro del comitato FDA. Inoltre, riteneva che il coinvolgimento di redattori scientifici in questioni come questa rappresentasse un punto di forza, e non una debolezza, per una rivista medica. Sarà anche vero; certo è che il NEJM ha sicuramente tratto grandi benefici dalla pubblicazione dei RCT, probabilmente favorita dalla presenza del capo redattore nel comitato FDA.
In conclusione, le regole adottate da queste ed altre agenzie per la dichiarazione e la rivelazione dei CdI sono tra loro diverse, si riferiscono a periodi troppo brevi, e lasciano spazio a interpretazioni soggettive che creano alla fine grande confusione. Sarebbe bello se ci fosse un’unica regola universale: si dichiara e si rivela tutto, senza limiti temporali. Spetterà poi al cittadino decidere cosa rappresenti o no un CdI.