La mattina di venerdì scorso è andato in scena a Torino un episodio a dir poco inquietante, l’ennesimo che coinvolge attiviste e attivisti politici. Tre gruppi facenti parte di Extinction Rebellion hanno occupato le sedi delle principali aziende mediatiche del capoluogo piemontese, dalla RAI a La Stampa e La Repubblica. L’azione aveva uno scopo simbolico: sedute/i in silenzio, con alcuni cartelli in mano, hanno portato un messaggio al mondo mediatico, che non può avere un ruolo neutrale nella narrazione della crisi climatica. I cartelli recitavano: “Crisi climatica. I governi sono responsabili. Aiutateci a raccontare chi sono i criminali”.
Un tema – quello della non neutralità dei media – che è già stato sollevato dal The Guardian in un noto editoriale pubblicato nell’ottobre 2019, quando veniva esplicitato che sul tema della catastrofe ecologica in atto il giornalismo non potesse più non prendere posizione posizione “neutrale”. Una sollecitazione che è evidentemente caduta nel vuoto, almeno nel contesto del circuito mediatico italiano.
Nella sede della RAI di via Cavalli, però, non tutto è andato come previsto. Cinque attivisti sono stati bloccati con la forza, uno di essi è stato buttato a terra e minacciato con una pistola da un agente della sicurezza privata. Nonostante gli attivisti fossero tutti a volto scoperto e nonostante si siano immediatamente seduti a terra quando fermati dalle guardie, l’essere entrati velocemente ha fatto perdere il controllo della situazione in pochi secondi.
Un gesto grave e allo stesso tempo inquietante, verificatosi nel contesto di una manifestazione pacifica. «Pensiamo che sia necessario dare una lettura più ampia di quello che è successo questa mattina» commenta infatti Roberto, l’attivista coinvolto nell’episodio, che inserisce l’episodio nel clima di tensione ad hoc che è stato creato dall’alto proprio come tentativo di delegittimare e isolare i movimenti sociali.