B.

di Alessandro Villari

Benny

Avevo sempre pensato che al funerale di Babbo Natale ci sarebbero state molte più persone. Non dico folle oceaniche – non dopo che il Vecchio era caduto in disgrazia, con le sue idee (e pratiche) sovversive – ma insomma, almeno da riempire una piazza.

Ma evidentemente la macchina della propaganda ha fatto bene il suo lavoro negli ultimi anni, dipingendolo come uno svitato nel migliore dei casi, un terrorista nella maggior parte delle occasioni.

Metteteci poi che ci sono bambini che non hanno mai neppure ricevuto un regalo a Natale. Un regalo vero, intendo, che non sia carbone. Con tutto che l’arrivo del carbone è atteso con trepidazione in molte case. Almeno da quando, uno dopo l’altro, i principali governi del pianeta hanno abolito ogni forma di sussidio per i poveri – sempre di più ogni anno che passa – stringendo accordi commerciali con il Polo Nord perché a Natale, invece dei doni, consegni combustibile alle famiglie bisognose.

Il mio, di governo, aveva consegnato al Polo Nord anche liste di proscrizione, sempre più lunghe, con i nomi di “veri cattivi”, che non dovevano ricevere regali: lavoratori che avevano scioperato, studenti critici, chiunque produceva, diffondeva o leggeva stampa non allineata, per un periodo anche chi organizzava rave party.

Mi ricordo ancora il Natale in cui per la prima volta ci arrivò il carbone. Papà aveva un buon lavoro in una multinazionale che – vedi il caso – produceva giocattoli per conto del Polo Nord. Quando scoppiò la guerra, l’azienda decise che era più redditizio fabbricare armi invece dei regali. La maggior parte dei lavoratori, compreso mio padre, si oppose; organizzarono picchetti e manifestazioni. Alla fine furono licenziati.

Così non eravamo sicuri se il carbone quell’anno fosse arrivato perché eravamo poveri o perché papà aveva scioperato. Mio fratello, che era molto piccolo, chiese a mia madre se eravamo diventati cattivi perché eravamo poveri. Provateci voi a rispondere.

Anno dopo anno, da allora a ogni Natale ricevemmo sempre e soltanto un grosso pacco contenente carbone. A cambiare era soltanto la carta che lo avvolgeva, sempre diversa: lucida, opaca, sgargiante, liscia, crespa. Era quella il vero regalo per noi: con mio fratello ce la contendevamo fino a consumarla.

Fu una di quelle confezioni a cambiarmi la vita.

L’elfo Tasoom

Anche se era molto che era debilitato – dopo l’incidente con la slitta non si è mai davvero ripreso – la morte del Vecchio mi ha colto impreparato. D’altra parte, mi dico, come ci si può preparare alla morte di Babbo Natale?

Io penso che a dargli il colpo finale sia stata la decisione di lasciare il Polo Nord. Non che avesse davvero scelta – anzi, secondo molti avrebbe dovuto farlo prima: se era rimasto tanto a lungo, era soprattutto per il legame con la fabbrica di regali, o almeno con quel poco che ne era rimasto.

Una volta ci era riuscito, a impedire la delocalizzazione di gran parte della produzione. Avevamo occupato la fabbrica! Ma in fondo lo sapevamo che era questione di tempo, e alla fine Joe Bambino, il genero che aveva assunto la direzione della fabbrica dopo l’incidente, era riuscito nel suo scopo: da anni il Polo Nord si occupava principalmente di imballaggi e consegne, mentre il grosso della produzione era appaltato a un consorzio di multinazionali. E guai a ribellarsi!

Che poi, i regali veri e propri erano sempre di meno. Negli ultimi tempi, la maggior parte dei pacchi contenevano carbone per i poveri e per i “non conformi”.

A migliaia erano gli elfi rimasti senza lavoro. Sperduti, molti erano caduti nell’alcolismo. Una piccola minoranza si era organizzata in cooperativa e cercava di sopravvivere nella nicchia dei regali etici – roba che in pochi potevano permettersi peraltro. Ancora di meno quelli che erano rimasti attivi sindacalmente, cercando di organizzare i pochi che ancora lavoravano. Anche per loro, Babbo Natale era rimasto al Polo Nord.

Poi era scoppiata la guerra.

Il vecchio avrebbe voluto che il Polo Nord si spendesse attivamente per contrastarla, organizzando diserzioni e ribellioni di massa in tutti i paesi coinvolti, su entrambi i fronti. Guerra alla guerra! era lo slogan che avrebbe voluto vedere su milioni e milioni di manifesti e volantini, da distribuire allo stesso modo in cui si distribuivano i regali.

Ovviamente Bambino non era d’accordo, ma all’inizio se non altro aveva proclamato la neutralità del Polo Nord. Non sarebbe durata a lungo.

Si dice che la sera in cui Babbo Natale seppe dell’intenzione di suo genero di riconvertire la fabbrica per produrre armi, l’eco del litigio tra i due giunse fino a Tromsø. La misura era colma. Quella notte stessa, il Vecchio prese renne e slitta e se ne andò, non prima di averci lasciato istruzioni per organizzare un ultimo atto di “diserzione militante”, come la chiamava lui.

Quei volantini li stampammo per davvero. Di nascosto, sulla facciata interna delle carte da regalo. Li ricevettero quasi un miliardo di famiglie e a leggerli furono quattro volte tanti – la più grande diffusione della storia dell’umanità. Il testo l’aveva scritto il Vecchio in persona: una lettera di Babbo Natale in piena regola! Non solo denunciava la guerra, i governi che la facevano e gli interessi che li guidavano; ma incoraggiava il pensiero critico, il rifiuto dell’autorità, la disobbedienza; esortava a pensare una società diversa e a organizzarsi per renderla possibile; era una scintilla nel buio.

Naturalmente dopo quell’azione fummo tutti licenziati e anche l’ultimo reparto dell’antica fabbrica di regali venne chiuso. Neppure un elfo o un folletto oggi lavora più al Polo Nord, e dalle linee di produzione adesso escono soltanto missili, bombe, droni. Le macchine che li fabbricano sono manovrate dagli orchi.
Noi raggiungemmo Babbo Natale al Polo Sud, per preservare quella scintilla che avevamo acceso e aiutarla a diventare fiamma.

Joe

Finalmente è morto. Il mio unico rimpianto è di non essere stato io a ucciderlo, alla fine.

Non ha mai capito, mi ha sempre ostacolato, ha tenuto questa azienda – sì, non c’è nulla di cui vergognarsi a definirla un’azienda – ancorata al passato quando il futuro era a portata di mano da decenni. Ora che ci siamo liberati dalla sua zavorra, non torneremo più indietro.

Dicono che sorridesse, quando l’hanno trovato. Che avrà avuto da ridere lo sa soltanto lui, quel vecchio maledetto. Anzi, adesso non lo sa più nessuno.

Tasoom

È tutto pronto. La slitta è stata caricata per l’ultima volta. Per l’ultima volta le renne porteranno in cielo Babbo Natale. Queste renne, almeno. Sono meccaniche, ne abbiamo già pronte delle altre.

Ecco che partono, prima trottando e poi al galoppo, sempre più veloci. La prima coppia solleva le zampe dal suolo, ora anche la seconda e poi la terza. Infine anche i pattini sono per aria. La slitta prende quota rapidamente, sempre più piccola all’orizzonte.

Gli umani ormai non la distinguono più. Ma noi elfi abbiamo la vista buona. Specialmente Cuthalion, che con movimenti meticolosi incocca una freccia all’arco, ne incendia la punta e quasi senza prendere la mira la scocca verso l’alto. Pensa se sbaglia, mi ritrovo a ridacchiare sotto i baffi.

Ma non sbaglia. Pochi secondi di attesa, il respiro trattenuto e tutti gli sguardi all’insù, e la slitta esplode come un gigantesco fuoco d’artificio che illumina a giorno la notte polare.

Una pioggia di scintille scende come un tramonto sopra le nostre teste, ma invece di distribuirsi uniformemente nella piazza antistante la Nuova Fabbrica, si concentra in un unico punto, avvolge una persona in particolare.

Benny

Non ci posso credere, sta succedendo a me. È vero, sono qui da più di tempo di quasi tutti gli altri umani, ma credetemi, è un fulmine a ciel sereno.

Non riesco davvero a spiegare la sensazione di questo pulviscolo scintillante che mi circonda, mi penetra, diventa parte della mia essenza. È iniziato come un prurito – oddio, non sarà mica allergia? Ma quasi subito è subentrato una specie di formicolio diffuso in tutti i tessuti, dalla nuca alla punta dei piedi. Un formicolio piacevole, come quando vi levate delle scarpe strette dopo averle indossate tutto il giorno. A poco a poco è come se sentissi la mia tempra diventare più forte, e questo mi provoca un’ebbrezza che non ho mai sperimentato prima nemmeno lontanamente.

Fisicamente sono ancora uguale, credo. Niente barba, niente pancia. Meno male! E la voce – Ho ho ho! – no, per fortuna è rimasta uguale anche quella.

Ma aspettate un attimo. Come devo farmi chiamare? Non ci avevo mai pensato. Non posso mica essere Babbo Natale. Babbə? Oppure Babbu? Semmai Mamma Natale, ma sembra il nome di una trattoria. E poi, mamma io? Non scherziamo.

«Ehi B., congratulazioni! Ora diamoci una mossa però, ce n’è di lavoro da fare…»

B.: suona bene! E Tasoom ha ragione: c’è una fabbrica di regali nuova di zecca da inaugurare, qui al Polo Sud.

***

Quell’anno, per la prima volta da oltre un decennio, ai bambini di tutto il mondo furono spediti doni, gratuitamente. Secondo le stime ufficiali, la contraerea dal Polo Nord e dalle potenze belligeranti riuscì ad abbatterne solo il dieci per cento.

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