Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. I gruppi di potere politici-economico-finanziari potevano delegare alla cialtronesca classe politica italica, di governo e d’opposizione, la gestione di una massa di denaro così imponente come i 200 miliardi di euro del Recovery? Ovviamente no. Ed ecco che l’operazione Draghi, in ballo da diverso tempo, e da diverso tempo annunciata, è arrivata a compimento.
Del resto negli ultimi trent’anni le fasi che hanno caratterizzato i passaggi fondamentali, le vere e proprie svolte, delle politiche sociali ed economiche, sono state gestite da premier diretta espressione del mondo della finanza. Fu così con Ciampi, cioè colui che nel 1981 fu l’artefice del famoso “divorzio” tra Banca d’Italia e “Tesoro”, da cui ebbe inizio la fase neoliberista nostrana. Lo stesso Ciampi all’inizio degli anni Novanta, da Presidente del Consiglio, dopo il terremoto politico di Tangentopoli, proseguì l’opera con l’accordo sul costo del lavoro, altra pietra miliare delle politiche antisociali nel nostro Paese. Successivamente fu la volta della compagine targata Dini, dopo la crisi del primo esecutivo berlusconiano, a dare vita alla prima significativa “riforma previdenziale”, altra tappa rilevante, anticipo di ciò che sarebbe accaduto tredici anni dopo con la legge Fornero, una delle perle del duo “Monti-Napolitano”, come fu chiamato allora il governo che gestì con lacrime e sangue la crisi del 2008.
Ora che con la pandemia stiamo vivendo uno dei periodi più drammatici del secondo dopoguerra non era possibile delegare alle forze politiche attuali un compito così delicato. Per questo anche il fisiologico ritorno alle urne che presumibilmente avrebbe visto di nuovo al governo il cosiddetto “centro-destra”, è stato accantonato dal Presidente della Repubblica, fedele esecutore delle direttive che provenivano dal mondo economico-finanziario continentale e nazionale. Una linea a cui si sono adeguati tutti i soggetti politici, dopo che l’emissario fiorentino di Confindustria e affini, si è preso il compito di dare il là al crisi di governo. È bene rimarcare come ancora una volta il Quirinale, era già accaduto con Napolitano, abbia giocato un ruolo strettamente politico. Un “presidenzialismo ombra” già presente da tempo nello scenario istituzionale, che affonda le radici nella sterzata cossighiana, e per certi aspetti nello stesso Sandro Pertini, anche se allora nelle sue uscite primeggiava la visione del vecchio partigiano socialista. Dunque una nuova tappa dello svuotamento del’ istituzione parlamentare e di tutti i pilastri che hanno retto per una lunga stagione la democrazia parlamentare liberale, ormai al tramonto.
Per quanto riguarda i soggetti tradizionali in campo, lasciando da parte qualunque considerazione sulla sinistra partitica, anche perché sostanzialmente scomparsa da tempo, giunge a conclusione la triste parabola del maggior sindacato italiano. Il consenso del segretario generale della Cgil all’arrivo di Draghi, può sorprendere relativamente, ma è stato fatto senza alcuna dignità politica. È curioso come i due maggiori leader del mondo sindacale degli ultimi vent’anni, verso i quali, in momenti diversi, erano state riposte le illusorie aspettative di una grossa parte dell’opinione pubblica di sinistra, speranzosa di aver trovato il Lula italico, abbiano poi preso una deriva piuttosto misera. Cofferati, ormai uscito di scena, dopo l’oceanica manifestazione del Circo Massimo, finì a fare il sindaco-sceriffo a Bologna. Landini per molti anni segretario del più importante sindacato metalmeccanico, e per un periodo dentro un percorso di movimento, fino alla giornata romana dell’ottobre 2011, è rifluito in una logica sempre più compromissoria, fino a sedersi sulla poltrona di segretario generale della Cgil, sposare in pieno le logiche concertative e iscriversi in questi giorni al partito di SuperMario.
Ciò che ci aspetta è già stato esplicitato dalle prime uscite del futuro presidente del consiglio, colui che disse sostanzialmente scordatevi il welfare. Cosa significhi dare priorità a “fisco, pubblica amministrazione e giustizia civile” ce lo possiamo immaginare. Ma la partita grossa è la gestione del Recovery, che verrà riscritto, mettendo al primo piano le esigenze del mondo industriale e finanziario, dando vita alle relative “riforme” . Lo stesso presunto “New Deal” ambientale viaggerà sui binari improntati al dogma della “crescita”, ignorando la lezione che la pandemia ci sta impartendo, con la messa a nudo di un modello sociale, economico e ambientale insostenibile e iniquo. Il problema sarà la tenuta sociale in un contesto di forte impoverimento, come stanno indicando tutti i dati. Il famoso “welfare all’italiana o familiare” si sta prosciugando. La perdita dei posti di lavoro è sotto gli occhi di tutti e soprattutto sta venendo meno quel mercato del lavoro in nero, vera e propria risorsa che ha ovviato, con buona pace dei dati ufficiali, il deficit occupazionale.
Certamente Draghi non è uno stupido reazionario, per cui nella gestione delle risorse economiche non potrà non tenere conto della necessità di prevenire qualunque accenno di insofferenza collettiva, puntando ad un minimo di stabilità. Così nella distribuzione c’è da aspettarsi che qualche briciola arrivi anche nella bocca dei settori della popolazione più esposti al terremoto sociale in atto. Peraltro a fronte di un contesto internazionale pre-Covid dove le rivolte sociali hanno caratterizzato un po’ ovunque la scena globale, il Vecchio Continente si è posto come una eccezione negativa, salvo l’esperienza dei gilet gialli in Francia.
Dunque lo scenario che si prospetta è poco incoraggiante, con un consenso pressoché unanime nei confronti della nascita del nuovo governo. I pochi soggetti della comunicazione sociale antisistemica online, sono circondati dal mare dell’informazione mainstream cartacea, televisiva e digitale. Un consenso che almeno nella prima fase sembra contagiare anche buona parte dell’opinione pubblica che ripone nuovamente il proprio destino nella figura dell’uomo forte, dell’uomo della Provvidenza.
In un contesto simile, in cui sul piano partitico, si rischia ancora una volta che il possibile futuro malcontento sociale venga egemonizzato dalla destra fascista con la collocazione del partito della Meloni all’opposizione, che ruolo potrà giocare la cosiddetta “area di movimento”, dove purtroppo vige il difetto storico della frammentazione? Naturalmente molto è legato alla durata della pandemia, al processo di vaccinazione, dove è superfluo sottolinearlo, si gioca una partita rilevante, con tutta la battaglia sui brevetti, rispetto ai quali il governo che si appresta a nascere sarà un fedele garante. In ogni caso sarà importante cercare di porsi come punto di riferimento per tutto il disagio sociale, proporre percorsi collettivi di autorganizzazione, di mutualismo che già si sono espressi in questi mesi di crisi pandemica. Pratiche alternative di solidarietà e autonomia sociale. Unico antidoto all’isolamento e alla disperazione.
Intanto benvenuti nel Draghistan.