Nessuna sorpresa alle elezioni presidenziali che si sono tenute domenica 4 febbraio nel Paese: l’autosospeso Presidente Bukele non solo ha sconfitto nettamente gli avversari politici ma ha anche dato il colpo di grazia a quel poco che rimaneva della debole democrazia salvadoregna. La rielezione di Bukele, ottenuta nonostante il divieto al secondo mandato sancito nella Costituzione, è una vittoria così schiacciante da aver fatto sparire dal panorama politico tutta l’opposizione, da destra a sinistra, a cui ha lasciato solo 2 dei 60 seggi in Parlamento, secondo quanto dichiarato dallo stesso vincitore.
Sì perché a diverse ore dalla chiusura dei seggi, i dati ufficiali non sono ancora arrivati: il sistema telematico di conteggio preliminare delle schede si è infatti bloccato più volte e solo dopo quasi 24 ore ha raggiunto il 70% delle schede scrutinate con il partito di Bukele che al momento ha sommato quasi un milione e settecento mila voti mentre la seconda forza politica, il FMLN, è attualmente ferma a centoquaranta mila preferenze. Ma su questi dati parziali, e più in generale sull’intero processo elettorale, pesano fortissimi dubbi e perplessità.
Fin da subito infatti sono apparse nei social diverse denunce di irregolarità e di difficoltà nelle operazioni di voto con, in molti casi, militanti di Nuevas Ideas (il partito di Bukele), che hanno ostacolato attivamente tali operazioni. A questo si aggiungono le difficoltà di ottemperare al diritto di voto e la propaganda – vietata dalla Costituzione – svolta dai militanti di Nuevas Ideas fuori dai seggi elettorali sotto lo sguardo consenziente delle forze armate.
Tolleranza che le forze armate non hanno però avuto nei confronti di chi, come lo scrittore Carlos Bucio Borja, ha denunciato l’incostituzionalità della candidatura di Bukele fuori da un seggio, arrestando immediatamente il contestatore. Le “stranezze” del processo elettorale salvadoregno non sono finite qui: la APES (Asociación de Periodistas de El Salvador) ha denunciato 173 aggressioni a giornalisti durante il periodo elettorale, la maggior parte delle quali avvenute prima e dopo l’apertura dei seggi.
Nonostante tutte le denunce di irregolarità e nonostante il ritardo nella pubblicazione dei dati ufficiali definitivi, Bukele non ci ha messo molto a presentarsi a palazzo presidenziale annunciando trionfalmente la sua vittoria e la conquista da parte del suo partito di 58 dei 60 seggi disponibili in Parlamento davanti a una piazza gremita di suoi sostenitori festanti. Dati ufficiali che nemmeno nel corso della giornata successiva sono arrivati, con il sito del Tribunal Supremo Electoral costantemente fuori servizio e l’ammissione dello stesso TSE di dover ricorrere al “conteggio manuale” a causa del disservizio nel sistema.
Dubbi, perplessità e denunce non sembrano essere arrivate a diversi Capi o rappresentanti di Stato che si sono affrettati a congratularsi con il vincitore per la sua rielezione, felicitandosi per la buona riuscita dell’esercizio democratico del voto e auspicando un rafforzamento dell’amicizia e della collaborazione tra i vari Stati. Se non stupiscono le congratulazioni del Segretario di Stato americano Antony Blinken, lasciano un po’ più perplessi le congratulazioni dei Presidenti Laurentino Cortizo di Panama, di Xiomara Castro dell’Honduras, del nuovo Presidente guatemalteco Bernardo Arévalo e infine della ministra degli Esteri messicana Alicia Bárcena.
Di diverso avviso Juanita Goebertus, direttrice della divisione delle Americhe di Human Rights Watch la quale ha segnalato che la rielezione di Bukele è avvenuta in un contesto di distruzione dello stato di diritto, di violazione generalizzata dei diritti umani attraverso lo strumento dello stato di emergenza prorogato per più di venti volte, di riforme elettorali ad hoc per favorire il suo partito e di attacchi e aggressioni ai media indipendenti e alla società civile. Nella sua denuncia, Goebertus ha ricordato come nel suo primo mandato Bukele ha smantellato «i freni e i contrappesi necessari a qualsiasi democrazia».
Tra i vari oltraggi alla Costituzione salvadoregna vi è anche quello cruciale riguardante la sua ricandidatura, vietata ma calpestata con arroganza con l’autosospensione dalla carica di Presidente avvenuta sei mesi prima del comizio elettorale e con la nomina della sua segretaria personale a Presidente temporaneo.
Una fotografia chiara del Paese reale e di quello che sarà in futuro è quella del Bloque de Resistencia y Rebeldía Popular: « Il tentativo del clan al potere di prolungare il suo dominio arriva in un contesto di deterioramento delle condizioni di vita della popolazione […]. Durante lo stato di emergenza, divenuto permanente (dura da due anni) e in corso durante la campagna elettorale, migliaia di persone sono state imprigionate senza aver commesso alcun reato. Per queste persone e le loro famiglie, la cosiddetta lotta contro le pandillas si è trasformata in una tragedia. Il regime vìola sistematicamente i diritti umani, continua a perseguitare gli oppositori politici, i dirigenti popolari e giornalisti. Inoltre non dà conto sull’uso delle risorse pubbliche e protegge la corruzione».
Il piccolo Stato centro americano sta diventando un “pericoloso” laboratorio di superamento della democrazia per come la conosciamo e rientra in modo esemplare nel meccanismo di riassestamento capitalista, dove lo stato di guerra (di crisi o di emergenza) è funzionale alla concentrazione dei poteri nelle mani de los de arriba e alla restrizione dei diritti in nome di una supposta pace e stabilità che significa solo profitti per i detentori del potere. E per questo basta un “salvatore”, la democrazia non è più necessaria.