Il decreto legge approvato dal Consiglio dei Ministri il 21 ottobre 2024 segna un ulteriore passo verso l’inasprimento delle politiche migratorie italiane, rendendo il concetto di “Paesi sicuri” uno strumento cardine di esclusione e repressione. In un quadro che vede il governo Meloni determinato a perseguire una linea di rigore sull’immigrazione, l’introduzione di questa norma si configura come un attacco diretto alle garanzie giuridiche e ai diritti fondamentali, limitando la possibilità per i migranti di contestare efficacemente i provvedimenti di espulsione e respingimento.
Il decreto, elevando a norma primaria la lista dei Paesi sicuri, non solo riduce l’autonomia della magistratura, ma di fatto cancella ogni margine di discrezionalità nell’applicazione delle tutele previste dalla Convenzione di Ginevra. È evidente che il governo intende comprimere le libertà individuali e bypassare le regole del diritto internazionale, affidandosi a una lista di Paesi la cui sicurezza è, nella migliore delle ipotesi, discutibile. L’inclusione di Stati come Tunisia, Egitto e Bangladesh, già oggetto di ripetute critiche da parte dei giudici italiani e delle istituzioni europee, rappresenta un chiaro segnale di disprezzo verso i principi basilari della protezione internazionale. Ignorare le sentenze che dichiarano questi Paesi insicuri significa accettare implicitamente il rischio di esporre migliaia di persone a trattamenti inumani e degradanti, in palese violazione del principio di non-refoulement (non-respingimento).
Il contesto in cui viene adottato questo provvedimento non può essere sottovalutato. Da un lato, le derive autoritarie di un sistema che, attraverso accordi come quello con l’Albania, tenta di esportare il problema migratorio fuori dai confini nazionali, privando i migranti delle protezioni garantite dal diritto italiano ed europeo. La recente decisione del Tribunale di Roma, che ha bloccato il trattenimento di migranti provenienti da Paesi non sicuri in Albania, mette in luce non solo la palese illegittimità di tali operazioni, ma anche il cinismo di un governo che non esita a esternalizzare le responsabilità su Paesi terzi, ignorando il fatto che queste persone fuggono da contesti di violenza, discriminazione e miseria.
Le misure contenute nel decreto vanno inoltre inserite in una strategia più ampia che mira a criminalizzare le attività delle ONG che operano nel Mediterraneo. Il disegno di legge sulla sicurezza, attualmente in discussione, prevede un inasprimento delle pene per le organizzazioni che soccorrono i migranti in mare, confermando l’intenzione del governo di attuare politiche repressive nei confronti non solo dei migranti, ma anche di chi cerca di difenderne i diritti. Le operazioni di salvataggio vengono sistematicamente etichettate come un incentivo all’immigrazione illegale, quando invece rappresentano un presidio di legalità e umanità, l’ultima barriera contro l’indifferenza di uno Stato che ha scelto di abdicare al proprio ruolo di garante dei diritti umani.
Il governo Meloni, in nome della sicurezza nazionale, sta di fatto erodendo i fondamenti stessi del nostro Stato di diritto. La compressione delle garanzie giuridiche, la limitazione dell’operato della magistratura e la delegittimazione delle organizzazioni umanitarie rappresentano i tratti di una politica che cerca di ridurre l’immigrazione a una questione di ordine pubblico, ignorando le ragioni profonde che spingono migliaia di persone a rischiare la vita per raggiungere l’Europa. Non si tratta di garantire la sicurezza, ma di alimentare un clima di paura e di diffidenza, in cui lo Stato si arroga il diritto di decidere chi merita protezione e chi invece deve essere respinto, senza alcuna possibilità di appello.