Cosenza – Le lotte femministe tra diritto d’aborto e diritto alla salute

Intervista a Vittoria Morrone[1], tra le fondatrici del collettivo femminista Fem.in, che ci ha raccontato come reagisce il collettivo in risposta all’inaccessibilità dell’aborto a Cosenza e delle proteste che sono state fatte a partire dal periodo pandemico.

Per quanto riguarda la sanità, a Cosenza si è dimesso l’unico medico non obiettore rendendo l’aborto sicuro inaccessibile per chi vive in questo territorio. Come il collettivo Fem.in ha risposto a quella che di fatto è la negazione di un diritto?

Noi su questa tematica ci siamo formate nel 2019, quando è nato il collettivo, perché la prima cosa che risaltava all’occhio, anche su una valutazione di quella che è la condizione delle lotte di genere a livello nazionale, anche in merito a rivendicazioni chiare e specifiche. Ad esempio abbiamo seguito molto la campagna per l’ottenimento della pillola abortiva che è stata fatta a Torino e Roma. Quando ci siamo guardate intorno e abbiamo scoperto che la pillola abortiva non era disponibile nel principale ospedale di Cosenza, che è uno dei più grandi d’Italia, chiaramente la priorità è stata quella.

Da lì abbiamo iniziato a comprendere qual era il sistema che non permetteva a conti fatti l’accesso a questo tipo di servizio. Abbiamo fatto una raccolta firme, dei presidi sotto l’ASP – Azienda Sanitaria Provinciale – e ad un certo punto questo metodo contraccettivo è stato introdotto. Dopodiché abbiamo sempre saputo che c’è sempre stato un solo medico a svolgere quest’attività, che a luglio del 2022 è diventato obiettore di coscienza.

In quel momento ci sono state due settimane in cui il servizio non è stato disponibile. Noi abbiamo cercato di dare altre indicazioni alle persone che ci contattavano, di spostarle in altre città o province in alcuni casi. Poi l’azienda ospedaliera ha fatto questa manifestazione d’interesse per un medico non obiettore da impiegare per sei mesi con un contratto precario, due volte a settimane, che ovviamente non riesce a rispondere alle esigenze di una provincia di questo tipo.

Abbiamo fatto diverse mobilitazioni, tra cui incatenamenti all’azienda ospedaliera, mail bombing, una grande attività mediatica in cui abbiamo cercato di sollevare la questione e abbiamo preso contatti con la persona che è stata nominata per attuare il servizio, che tra l’altro ad agosto è andata in ferie per due settimane, lasciando il servizio in sospeso. A Cosenza, come in altre città, succede una cosa particolare: quando l’azienda ospedaliera fa delle assunzioni anche di medici non obiettori, appena mettono piede dentro l’azienda ospedaliera e prendono servizio, diventano obiettori. E questo chiaramente è un problema che andrebbe affrontato da un punto di vista normativo, nel senso che andrebbe garantita una percentuale di medici non obiettori che riesca a garantire il servizio in tutte le condizioni possibili, perché se una persona vuole abortire a Natale, ad esempio, diventa letteralmente un’impresa.

Noi sulla questione stiamo continuando a “stalkerare” la direzione dell’ASP di Cosenza e dell’azienda ospedaliera perché a livello territoriale la prima barriera, quindi prima ancora di richiedere quello che è un servizio all’interno dell’ospedale, sono i consultori, dove ci sono tantissimi ginecologi e tantissime ginecologhe che si rifiutano di fare un certificato. Questa sarebbe una cosa che si dovrebbe affrontare anche su un piano prettamente legale, perché nel momento in cui si certifica la volontà di una donna di abortire non c’è un servizio in grado di adempiere questa volontà. In altre parole: non potresti essere obiettore di coscienza in una condizione del genere, ma questo tipo di obiezione la vediamo in assistenti sociali, infermieri, OSS, tutto il personale sanitario che non vuole dedicarsi a questo tipo di servizio.

Abbiamo un primario di ginecologia che è testimone di Geova, e che è chiaramente stato nominato dalla politica e dall’azienda ospedaliera proprio per garantire alcuni tipi di diritti e altri no. Quindi è molto focalizzato sul percorso nascita; ed escono continuamente articoli, scritti probabilmente da lui stesso, in cui viene mitizzato questo medico bravissimo quando alla fine non garantisce alcuni servizi perché non è suo interesse farlo.

Noi abbiamo dedicato un numero di telefono attivo h24 per chiunque abbia bisogno anche solo di informazioni, o più nel concreto di essere accompagnata in tutto il percorso. Spesso compriamo le pillole del giorno dopo per ragazze minorenni, che in farmacia trovano difficoltà a reperire, e in generale facciamo formazione sotto questo punto di vista ed educazione sui diritti. Perché se non c’è un supporto continuativo, per una persona che va in una situazione di bisogno e di emergenza è facile sentirsi respinta, andare nel panico e cercare un altro tipo di soluzione. Qui a Cosenza, questo servizio anni fa era affidato alle cliniche private, poi è stato vietato e la questione è tornata al pubblico, che sappiamo cosa fa di questi diritti.

La situazione diventerà più grave con il nuovo governo, anche perché sono destinate a crescere le associazioni pro-vita che già tentano di ostacolare il servizio, e soprattutto nei piccoli presidi ospedalieri la cosa è più forte e radicata. Il loro obiettivo è quello di colpevolizzare la donna che lo fa.

Andrebbe fatto anche un discorso, ma questo a livello nazionale, sui sette giorni di riflessione imposti obbligatoriamente, che in situazioni di emergenza potrebbero essere evitati. Invece in tutta la Calabria su questo c’è intransigenza assoluta, che spesso porta la donna all’ultimo giorno possibile per abortire. Tutto questo è gravissimo, quindi noi cerchiamo di fare rete con le altre province. A Reggio Calabria, ad esempio c’è una situazione molto grave da questo punto di vista.

Sulla questione consultori finisco con un esempio. Un consultorio della provincia di Cosenza, che era aperto sulla carta, ha visto talmente tante persone andare in pensione in poco tempo che non garantiva più nessun tipo di servizio. Li c’è stata una lotta che ha ottenuto una vittoria parziale, perché un piano di rientro che non permette di assumere e che offre alla fine contratti precari non è una soluzione ottimale per molti medici e mediche che vorrebbero impegnarsi in questo.

Per quanto riguarda il periodo pandemico, come si è mosso il vostro collettivo riguardo al diritto alla salute e alla cura nel territorio cosentino?

Noi siamo sempre partite da un’esigenza fattiva perché viviamo in un territorio in cui determinati discorsi non vengono per niente recepiti. Quindi abbiamo cercato di essere sempre super aderenti a quelle che erano le problematiche del territorio. A partire da questo, alla fine della prima ondata della pandemia abbiamo visto catene di grandi negozi riaprire, a differenza invece dei consultori, che rimanevano chiusi per il solo fatto che mancavano le mascherine. Noi abbiamo deciso di occupare un consultorio, quello principale a Cosenza, e chiedere il conto di questa situazione.

Da lì si è aperta anche una discussione interna nel nostro collettivo che ci ha fatto riflettere sul fatto che non volessimo essere viste come settoriali, occuparci solo della questione dei consultori quando tutto il resto della sanità è in condizioni precarie e non dignitose. Quindi abbiamo deciso di estendere tutto il campo, per esempio abbiamo parlato anche di rete oncologica, una cosa che nella provincia di Cosenza è assolutamente carente. C’è una legge, ma non viene applicata, anche in ambito della prevenzione.

È cominciata così una lunga serie di battaglie, l’8 marzo del 2020, durante la pandemia, abbiamo deciso di non fare la manifestazione in piazza e di occupare uno dei presidi sanitari dell’ASP di Cosenza. Siamo state tre giorni sul tetto per avere un incontro con il commissario della sanità dell’epoca. Abbiamo occupato la sede amministrativa dell’ASP per quindici giorni e abbiamo cercato in tutti modi di alzare il livello mediatico della questione per costringere le istituzioni ad ascoltare e a vergognarsi di quello che finora era stato fatto.

Parliamo di un territorio dove i problemi principali sono emergenza-urgenza, prevenzione, assistenza territoriale. È una regione dove negli ultimi dieci anni sono stati chiusi diciotto ospedali ed è chiaro che da un punto di vista politico ed intersezionale a noi la questione della salute sta molto a cuore. Stiamo parlando di una regione che ha una popolazione prevalentemente anziana, quindi bisognosa di cure e che quasi sempre è obbligata a rivolgersi alla sanità privata.

La sanità privata, nella nostra narrazione, ma anche all’esterno è diventata il nemico numero 1 perché oltre a controllare la sanità, controlla tutta la politica regionale. Molti dei consiglieri regionali possiedono cliniche private che affollano il territorio. Nella provincia di Cosenza ci sono quasi 150 cliniche private, tra RSA, laboratori di analisi e altro, un numero esorbitante.

Questa contraddizione doveva essere fatta emergere in maniera forte. Tant’è che durante la campagna elettorale per eleggere l’ultimo presidente della regione attualmente in carica – Roberto Occhiuto, che fa parte dello stesso partito che dieci anni fa aveva chiuso i diciotto ospedali – quest’ultimo ha dovuto dire che questi ospedali sarebbero stati riaperti, che si sarebbe dedicato spazio e risorse finanziarie all’assistenza territoriale. Noi siamo ancora in attesa che questo avvenga e per il momento stiamo cercando di concentrarci su quello che sarà dei fondi del Pnrr, che parla del tipo di organizzazione sanitaria che dovrebbe avvenire qui in Calabria, ma allo stesso tempo non parla di assunzioni, non parla di tutta una serie di cose che invece sono importantissime.

E arriviamo alla manifestazione che avete fatto il 16 novembre in difesa del diritto d’aborto, nella quale avete occupato il cortile dell’ospedale dell’Annunziata. Che ci dici in proposito?

Come dicevo, la questione sanitaria in Calabria è sempre più spinosa, soprattutto per quanto riguarda il diritto all’aborto sicuro e gratuito. A Cosenza, nel luglio 2022 l’unico medico che effettuava questo servizio è diventato obiettore di coscienza, lasciando scoperto un settore che ha delle precise scadenze da dover seguire e che non posso essere rimandate. Grazie alle lotte e alle manifestazioni del collettivo Fem.in si è riuscita a trovare una soluzione tampone, ma che ovviamente non basta: una dottoressa non obiettrice, che però garantisce l’interruzione di gravidanza soltanto due volte a settimana e con un contratto di soli sei mesi.

Vista la situazione completamente precaria e le testimonianze di donne che si vedono un diritto negato o si ritrovano a dover avere a che fare con personale sanitario obiettore di coscienza, il 16 novembre abbiamo presidiato l’entrata del cortile dell’ospedale Annunziata, sostenute da centinaia di studenti e studentesse, lavoratori e lavoratrici.

La manifestazione è terminata nel momento in cui siamo riuscite a ottenere un incontro con il commissario dell’azienda ospedaliera e il primario dottor Morelli del reparto di Ginecologia, anche lui obiettore di coscienza, per il 22 novembre alle 12.


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