Abbiamo da un mese sotto i nostri occhi le immagini dell’Europa senza cappa di smog, i canali di Venezia trasparenti, ecc. E ci è capitato di pensare che sebbene questo virus, o meglio la gestione del suo contenimento, stia dando problemi a tutti, potrebbe esserci almeno un lato positivo, forse si darà una tregua all’ambiente e all’avanzare del cambiamento climatico.
Purtroppo non è affatto detto che sarà così.
Come non è (solo) il virus il problema, non è (solo) l’impatto sull’ambiente che va preso in considerazione. Entrambi i fattori hanno rilevanza attraverso la gestione umana che è, come sempre, squisitamente economica.
È ben nota la dottrina dello shock[1] e, come già spiegato, il coronavirus è il disastro perfetto per il capitalismo. [2]
Era solo una questione di tempo prima che arrivasse la prima declinazione pratica di questo schema. Ed è arrivata, dal punto di vista del diritto ambientale, dagli Stati Uniti e in particolare dalla United States Environemental protection Agency (EPA), la quale lo scorso 26 marzo ha diramato un memorandum [3] indirizzato a “tutti i partner pubblici e privati” in cui dice : “In generale, l’EPA non prevede di chiedere sanzioni per le violazioni del monitoraggio di conformità di routine, test di integrità, campionamento, analisi di laboratorio, formazione, relazioni e obblighi di certificazione in situazioni in cui l’EPA concorda sul fatto che COVID-19 è stata la causa della non conformità e l’entità fornisce la documentazione giustificativa all’EPA su richiesta.”
Quindi con questa “circolare” l’agenzia di protezione ambientale più importate degli Stati Uniti, dice chiaramente che non intende perseguire le aziende che dovessero violare gli standard ambientali normalmente in vigore purché esse possa provare che tali violazioni sono una diretta conseguenza dell’adattamento all’emergenza coronavirus.
Seguono una serie di specificazioni: sono esclusi in ogni caso dalla copertura eventuali profili penalistici di tali violazioni. Si esortano le aziende a limitare il più possibile tali violazioni nella frequenza e nella gravità. Questa politica adottata da EPA deve essere ritenuta retroattiva a partire dal 13 Marzo. Non c’è tuttavia un termine finale entro il quale si ritiene circoscritta questa situazione emergenziale, che in quanto tale si presupporrebbe transitoria, ma non è più così scontato.
Secondo la posizione dell’attuale amministratore di Epa, Andrew Wheeler, l’agenzia, nell’ottica di salvaguardare la salute della popolazione e l’ambiente, si rende conto che l’impatto della crisi generata dalla pandemia di Covid-19 potrebbe rendere difficile o eccessivamente gravoso per alcune infrastrutture adempiere agli obblighi federali ambientali. E quindi ritiene che sia contrario all’interesse pubblico, nell’ottica del quale l’agenzia lavora, imporre le consuete limitazioni alle emissioni di sostanze inquinanti nell’aria, negli scarichi idrici, e nel terreno.
È il caso di ricordare che l’amministratore di Epa viene nominato dal Presidente e approvato dal Congresso, quindi non è una sorpresa che la posizione dell’agenzia rispecchi e appoggi quella dell’amministrazione Trump per quanto riguarda appoggio e protezione alle lobby dei combustibili fossili e dell’industria pesante, le quali saranno le prime a godere della libertà garantita da questo memorandum. Anzi, alcuni gruppi ambientalisti (SierraClub, 350Org) ritengono che la scelta di rendere retroattivo il memorandum sia dipesa proprio dalla volontà di far rientrare in questa copertura una serie di raffinerie del Texas che avevano già iniziato a sforare i limiti imposti dalla legge federale sulle emissioni di Benzene e altri elementi tossici.
In particolare in data 23 marzo alcuni amministratori dell’American Petroleum Institute (API), avevano inviato una lettere congiunta ad EPA e al Presidente Trump in cui si chiede precisamente di “ritardare i requisiti per la comunicazione dei gas a effetto serra, fornire flessibilità nel monitoraggio del campionamento e dell’analisi richiesti per le autorizzazioni per l’acqua potabile e aggiungere determinati ritardi o rinvii al monitoraggio dell’inquinamento”. [4]
Sembra che l’indicazione di policy diramata tre giorno dopo dall’agenzia sia estremamente conforme alle necessità delle aziende petrolchimiche che sono libere di svilupparsi, accumulare profitti e inquinare, più che mai.
L’ex numero uno di Epa durante l’amministrazione Obama, Cynthia Giles, insieme a una serie di esponenti del mondo legale ambientale statunitense, ha indirizzato una lettera aperta [5] a Epa in cui, scrivono, si “oppongono all’apparente rinuncia di Epa a determinati requisiti di compatibilità ambientale da parte delle industrie petrolchimiche ed altre”. Nella lettere si sottolinea come desti perplessità il fatto che suddette industrie rimangano perfettamente in grado di porre in essere non solo l’ordinaria amministrazione ma anche in alcuni casi piani per l’ampliamento della produzione durante la “crisi coronavirus” mentre l’unica incombenza a cui sembrano essere non in grado di fare fronte riguarda gli standard di compatibilità ambientali.
Ma c’è un riflesso della vicenda ancora più allarmante. Se gli standard ambientali sull’inquinamento di aria e acqua non vengono rispettati per un periodo indefinito di tempo, ciò avrà una ricaduta sulla salute pubblica, e tenendo in considerazione che gli stabilimenti più inquinanti si trovano in prossimità di zone densamente popolate, suburbane o comunque popolari, è verosimile che gli effetti vadano a ricadere sulla stessa fascia di popolazione che non può permettersi un’assicurazione sanitaria.
Il quadro finale è piuttosto grottesco: l’agenzia che dovrebbe salvaguardare l’ambiente e la salute pubblica stabilisce che a causa di una pandemia globale dovuta a un virus che attacca i polmoni, le industrie non sono più tenute a rispettare gli standard ambientali che mirano a diminuire il rischio di malattie respiratorie. Questa politica adottata da Epa è preoccupante perché crea un precedente, per quanto si tratti di soft law e in un contesto come gli Stati Uniti, deve essere una spia di quello che potrebbe succedere anche all’interno dell’Unione Europea, o di quello che ne rimarrà dopo la “crisi coronavirus”.
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[1]“Shock economy – l’scesa del capitalismo dei disastri”, Naomi Klein, BUR, 2008
[2] https://www.globalproject.info/it/mondi/naomi-klein-il-coronavirus-e-il-disastro-perfetto-per-il-capitalismo-dei-disastri/22638
[3] https://www.epa.gov/sites/production/files/2020-03/documents/oecamemooncovid19implications.pdf
[4] https://thehill.com/policy/energy-environment/489128-oil-industry-group-asks-trump-administration-to-lessen-regulations
[5] https://environmentalintegrity.org/wp-content/uploads/2020/03/Final-Letter-to-EPA-re-Coronavirus-Waivers-3.27.20.pdf