di Gioacchino Toni
«La trasformazione di Internet da rete di comunicazione tra persone a rete di controllo, incorporata direttamente nel mondo fisico, potrebbe essere ancora più significativa del passaggio dalla società industriale alla società dell’informazione digitale»1. Così si esprime Laura DeNardis, Internet in ogni cosa. Libertà, sicurezza e privacy nell’era degli oggetti iperconnessi (Luiss University Press, Roma 2021), a proposito della portata della funzione di controllo permessa dalla connessione alla rete di oggetti e sistemi al di fuori dagli schermi come veicoli per la mobilità, dispositivi indossabili, droni, macchinari industriali, elettrodomestici, attrezzature mediche ecc… Oltre che con le sofisticate forme di controllo esercitate dalle piattaforme di condivisione di contenuti in rete, ad introdursi nell’intimità degli individui concorrono sempre più oggetti di uso quotidiano in grado di raccogliere e condividere dati personali. Oltre a evidenziare come il cyberpazio premei ormai completamente – e non di rado impercettibilmente – l’universo offline dissolvendo sempre più il confine tra mondo materiale e mondo virtuale, tutto ciò induce a domandarsi se nel prossimo futuro esisterà ancora qualche aspetto privato della vita umana o se invece si stia navigando a vele spiegate verso il superamento stesso del concetto di privacy.
Nel volume DeNardis espone alcuni esempi utili a comprendere come il contraltare del controllo esercitato sugli oggetti connessi ad Internet sia la loro vulnerabilità. Un esempio riguarda la possibilità che estranei da remoto possano accedere e manipolare dispositivi medici dotati di radiofrequenza impiantati nel corpo umano e connessi alla rete. Altro caso su cui si sofferma l’autrice concerne l’ambito dei “sabotaggi di Stato”2, come nel caso del virus Stuxnet individuato nel 2010 con buona probabilità progettato da statunitensi e israeliani esplicitamente per sabotare i sistemi di controllo dei sistemi nucleari iraniani, o del sabotaggio della rete elettrica ucraina presumibilmente per mano dei servizi segreti russi. Altro inquietante esempio riguarda la vicenda della “botnet” Mirai del 2016, probabilmente il più vasto cyberattacco dispiegato sino ad ora attuato attraverso il sabotaggio di semplici apparecchi casalinghi connessi a Internet che ha reso inaccessibili a vaste aree statunitensi oltre ottanta tra i siti più popolari (Netflix, Amazon, Twitter…). L’attacco è stato condotto prendendo il controllo di milioni di dispositivi domestici ricorrendo a una sessantina di username e password comuni o di default per impiantare malware attraverso cui inondare di richieste i siti e mandare in tilt il loro consueto traffico, dunque nei fatti rendendoli inaccessibili.
Oggi esistono più oggetti connessi digitalmente che persone e si tratta di un fenomeno in rapida espansione tanto da prospettare significative implicazioni, oltre che economiche, nell’ambito della governance e dei diritti dell’individuo.
Nel gergo dei sistemi cyberfisici, le cose connesse sono oggetti del mondo reale che integrano direttamente elementi digitali. Esse interagiscono simultaneamente con il mondo reale e con quello virtuale. Il loro scopo principale [è orientato a] mantenere i sistemi in funzione rilevando e analizzando i dati, e controllando automaticamente i dispositivi. […] Già oggi milioni di sensori monitorano le condizioni ambientali, i sistemi industriali, i punti di controllo e il movimento degli oggetti. Questi sistemi inoltre fanno direttamente funzionare i dispositivi […] I sistemi digitali sono oggi sistemi di controllo delle cose e dei corpi del mondo reale. I sistemi biologici fanno parte dell’ambiente degli oggetti digitali. L’internet delle cose è anche l’Internet del sé. Le “cose” dell’Internet delle cose comprendono anche i sistemi biologici delle persone, attraverso tecnologie indossabili, dispositivi di identificazione biometrica e sistemi di monitoraggio digitale medico3.
Il confine tra fisico e non fisico, tra online e offline si sta facendo sempre più labile; Internet si è esteso dal solo campo cognitivo degli utenti fino a divenire lo sfondo invisibile della vita quotidiana trasformando la connettività degli esseri umani da una modalità momentanea tramite schermi ad una modalità costante attraverso oggetti di uso quotidiano. L’essere o meno online non dipende più da una scelta dell’individuo di operare o meno con un dispositivo con uno schermo.
Le sfere ibride online-offline penetrano nel corpo, nella mente, negli oggetti e nei sistemi che collettivamente compongono il mondo materiale. Internet non ha più solo a che fare con le comunicazioni e non è nemmeno più un semplice spazio virtuale. La concezione aprioristica della rete come un sistema di comunicazione tra le persone deve essere superata. L’impennata di sistemi che integrano simultaneamente componenti digitali e del mondo reale crea condizioni che mettono profondamente in discussione le nozioni tradizionali della governance di Internet. Non ha più senso vedere gli spazi online come sfere distinte, tecnicamente o politicamente, all’interno di un mondo virtuale separato in qualche modo dal mondo reale. Online e offline sono intrecciati4.
Tale intreccio tra oggetti del mondo reale e ambito della rete richiede un ripensamento della categoria di “utenti Internet”; sarebbe riduttivo limitarsi a conteggiare gli esseri umani connessi alla rete – passati dall’1% (in buona parte concentrati negli Stati Uniti) di metà anni Novanta a circa il 50% della popolazione mondiale nel 2017 –, visto inoltre che il computo non discerne facilmente tra le persone reali e i “bot”, sistemi automatici come i web crawlers che passano in rassegna i contenuti di Internet per indicizzarli, o i “chatbot”, in grado di sostenere conversazioni con gli utenti. Si stima che una percentuale compressa tra il 9% e il 15% degli account Twitter sia composta da “bot” non di rado utilizzati per marketing, propaganda politica, attivismo e campagne di influenza. Al di là del fenomeno degli account automatici, gli oggetti connessi risultano oggi più numerosi rispetto alle persone e si tratta di oggetti che non hanno relazione formale con gli utenti umani, non sono dotati di schermo né interfaccia utente.
Anche individui mai stati online risultano coinvolti da ciò che avviene in rete; tutto è connesso e dirsi “non presenti in Internet” non ha più molto senso. Un attacco hacker nel 2013 ha colpito una importante catena commerciale statunitense ottenendo accesso ai dati personali (carte di credito, indirizzo di abitazione, numero di telefono ecc…) di circa 70 milioni di clienti sfruttando il sistema climatico del network aziendale. Ad essere violati non sono stati soltanto i dati dei clienti che hanno effettuato acquisti sul web ma anche quelli di chi si è recato esclusivamente nei negozi fisici della catena commerciale. Non è dunque indispensabile, sottolinea DeNardis, “essere su Internet” affinché la vita di un individuo possa dirsi in parte dipendente dalla rete. Maggiore è la diffusione delle tecnologie e meno queste si fanno visibili; più sono integrate nei sistemi materiali e meno necessitano di consensi espliciti.
L’integrazione di queste reti di sensori e attuatori nel mondo fisico ha reso la progettazione e la governance dell’infrastruttura cibernetica una delle questioni geopolitiche più significative del Ventunesimo secolo. Ha messo in discussione le nozioni di libertà e le strutture di potere della governance di Internet, e indebolito ancora di più la capacità degli Stati Uniti di affrontare sul piano politico queste strutture tecniche intrinsecamente transnazionali5.
DeNardis evidenzia le strutture di potere integrate nell’ambito infrastrutturale fisico-digitale insistendo sulla rilevanza che l’ibrido fisico-virtuale viene ad assumere a livello economico, sociale e politico. Facendo attenzione a non cadere nel “determinismo tecnologico”, l’autrice si dice convinta che la composizione dell’architettura tecnica sia anche composizione del potere. «Le tecnologie sono culturalmente modellate, contestuali e storicamente contingenti. L’infrastruttura e gli oggetti tecnici son concetti relazionali in cui gli interessi economici e culturali danno forma alla loro composizione»6. Per comprendere le politiche tecnologiche è indispensabile riconoscere tanto le realtà materiali ingegneristiche quanto le costruzioni sociali di queste.
Le leve del controllo della governance di Internet non si limitano affatto alle azioni dei governi tradizionali, ma includono anche: 1. le politiche inscritte nel design dell’architettura tecnica; 2. la privatizzazione della governance, com’è il caso delle politiche pubbliche messe in atto tramite moderazione dei contenuti, termini di servizio sulla privacy; modelli di business e struttura tecnologica; 3. il ruolo delle nove istituzioni globali multi-stakeholder nel coordinare le risorse critiche di Internet oltre confine; e qualche volta 4. l’azione collettiva dei cittadini. Per esempio, la progettazione degli standard tecnici è una faccenda politica. Sono i modelli, o le specifiche, che permettono l’interoperabilità tra prodotti creati da aziende differenti. […] Se i punti di controllo dell’infrastruttura distribuita danno forma, vincolano e abilitano il flusso delle comunicazioni (email, social media, messaggi) e dei contenuti (per esempio, Twitter, Netflix, Reddit), l’infrastruttura connessa con il mondo fisico (corpi, oggetti, dispositivi medici, sistemi di controllo industriale) è in grado di sortire effetti politici ed economici molto superiori7.
Nel rimarcare come la manipolazione diretta e connettiva del mondo fisico attuata attraverso il web possa comportare un miglioramento della vita umana viene però spesso omesso come tali miglioramenti si riferiscano ai tempi e ai fini imposti agli individui dalla “società della prestazione”8 che, nella sua finalità disciplinare si preoccupa di «Come sorvegliare qualcuno, come controllarne la condotta, il comportamento, le attitudini, come intensificare la sua prestazione, moltiplicare le sue capacità, come collocarlo nel posto in cui sarà più utile9. Scrive a tal proposito Salvo Vaccaro:
Alle istituzioni disciplinari con i suoi innumerevoli regolamenti minuziosi e dettagliati, tipici di un apparato amministrativo in via di burocratizzazione e centralizzazione statale nel XVIII e XIX secolo, oggi le nuove tecnologie mediatiche consentono una verticalità abissale della potenza regolativa in grado di controllare persone e cose – basti pensare all’Internet of Things e alla regolazione remota della connessione di funzionamento reciproco umano-macchina specifico alla domotica. Come sempre in ottica foucaultiana, tale potere non è solo repressivo e ostativo, anzi tutt’altro, non fa che ampliare le capacità di conoscenza e di sapere, le forme e i modi del nostro comportamento online e offline, sino a divenire quasi tutt’uno: onlife. Una vita permanentemente connessa, appunto onlife, alimenta e moltiplica a sua volta le opportunità di potere e controllo, grazie al servizio fornito da ciascuno di noi nell’uso del digitale in ogni suo apparato […] e alla governamentalità algoritmica che ne incanala gli usi opportuni, anche al fine di espandere mercati, creare nuovi business e nuove imprese, accrescere profitti e più in generale beneficiare l’economia. La mercatizzazione della società in via di digitalizzazione automatizza la gestione manageriale degli individui sia come corpi fisici che come corpi virtuali, assegnando loro funzioni, standard, obiettivi, distribuendo loro incentivi e disincentivi, integrandoli o espellendoli secondo necessità, su scala mondiale, come ci insegnano i processi di delocalizzazione repentina. Questa nuova biopolitica digitale configura inediti assetti di potere ridisegnando le relazioni che ne tessono la trama e ne delineano forme plastiche, fluide, mobili, e tendenze dinamiche, vorticose, al limite caotiche. La velocità di evoluzione e trasformazione repentine delle innovazioni tecnologiche ne sono l’emblema, la cifra, sarebbe proprio il caso di dire, che si tratta di individuare al fine di cogliere il terreno su cui attualmente ci muoviamo, di intercettare le faglie di resistenza agli effetti di potere che la nuova tecnologia politica scatena, infine di sperimentare inedite forme di conflitto all’altezza con il divenire-digitale delle nostre società e delle nostre vite10.
Al di là dell’auto-propaganda degli artefici della manipolazione diretta e connettiva del mondo fisico attuata attraverso Internet, è impossibile non vedervi una potente forma di controllo, una «forma di manipolazione che può essere talmente prossima al corpo umano da arrivare fin dentro esso e tanto lontana quando lo sono dei sistemi di controllo industriale dall’altra parte de mondo»11.
DeNardis pone l’accento su come la capacità di influenza tra digitale e mondo fisico si dia in entrambe le direzioni: se è ovviamene possibile manipolare il mondo fisco connesso attraverso la rete, altrettanto, agendo sulla realtà fisica collegata a Internet è possibile agire sulla realtà digitale. L’autrice si sofferma sulla questione della governance in un tale contesto a proposito di privacy, sicurezza e interoperabilità. In ambito di privacy vengono, ad esempio, analizzati non solo quegli ambiti – industriali, abitativi, sociali e persino relativi al corpo umano – un tempo nettamente sperati dalla sfera digitale, ma anche gli aspetti discriminatori, come nel caso del ricorso ai dati accumulati online ai fini lavorativi, assicurativi e polizieschi.
Nel volume viene evidenziata «la dissonanza cognitiva tra come la tecnologia si stia rapidamente spostando nel mondo fisico e come le concezioni di libertà e governance globale siano invece ancora legate al mondo della governance e della comunicazione»12. A lungo si è insistito sul ruolo dell’autonomia umana e dei diritti digitali nel contesto della web pensandolo come «una sfera pubblica online per la comunicazione e l’accesso alla conoscenza. L’obiettivo delle società democratiche è stato preservare “una rete aperta e libera”: un concetto acritico che è diventato più che altro un’ideale feticizzato»13. La questione della “libertà di Internet” ha certamente un suo sviluppo storico ma ha sempre teso a concentrarsi sulla libera trasmissione dei contenuti sottostimando tanto la questione dei diritti umani alla luce del contesto cyberfisico quanto il controllo dell’informazione esercitato non solo da parte del potere autoritario ma anche del settore privato14.
Bibliografia
- Calzeroni Pablo, Narcisismo digitale. Critica dell’intelligenza collettiva nell’era del capitalismo della sorveglianza, Mimesis, Milano-Udine 2019.
- Chicchi Federico, Simone Anna, La società della prestazione, Ediesse, Roma 2017.
- Dal Lago Alessandro, Populismo digitale. La crisi, la rete e la nuova destra, Raffaello Cortina Editore, Milano 2017.
- DeNardis Laura, Internet in ogni cosa. Libertà, sicurezza e privacy nell’era degli oggetti iperconnessi, Luiss University Press, Roma 2021.
- Foucault Michel, Le maglie del potere, in Archivio Foucault, III. Estetica dell’esistenza, etica, politica (1978-1985), Feltrinelli, Milano 1998.
- Giannuli Aldo, Curioni Alessandro, Cyber war. La guerra prossima ventura, Mimesis, Milano-Udine 2019.
- Han Byung-Chul, La società della stanchezza, Nottetempo, Milano 2012.
- Vaccaro Salvo, Gli algoritmi della politica, elèuthera, Milano 2020.
- Veltri Giuseppe A., Di Caterino Giuseppe, Fuori dalla bolla. Politica e vita quotidiana nell’era della post-verità, Mimesis, Milano-Udine 2017.
Su Carmilla – Serie completa: Culture e pratiche di sorveglianza