La tradizionale parata militare del 2 giugno, data in cui si festeggia la nascita della Repubblica Italiana, assume quest’anno una valenza politica importante. Il conflitto ucraino non ha solo riportato la guerra nel cuore dell’Europa, ma sta diventando l’elemento attorno a cui ruota il riassetto globale del capitalismo. Questa guerra sta modificando profondamente la narrazione pubblica e istituzionale, normalizzando l’aumento delle spese militari, la propaganda, i morti, un’economia che si sta modellando sulle esigenze belliche. In questo contesto, la schiera di forze armate che sfileranno a Roma in via dei Fori Imperiali sono la rappresentazione di una guerra che si sta forzatamente impossessando della vita di milioni di persone. Fortunatamente, ci sono ancora movimenti in grado di uscire da questo schema e di contrastare queste logiche.
In tutta Italia oggi ci sono state manifestazioni che hanno messo al centro del discorso il rifiuto – senza se e senza ma – della guerra, dei suoi effetti e del suo impatto nel territorio.
In particolare, a Venezia cinquecento persone hanno sfilato da campo San Geremia a fino a campo Santa Margherita rispondendo all’appello di Adl Cobas e dei centri sociali veneziani, Morion e Rivolta.
Il messaggio della manifestazione di Venezia è stato chiaro: contro tutte le guerre e contro tutti gli imperi, contro Putin e contro la NATO. Questi ultimi rappresentano due forme di “impero” differenti solo nella narrativa, ma entrambi basati su sfruttamento e devastazione, sul profitto prima delle vite. La radice della guerra è il sistema capitalista, si è detto nei vari interventi, quello stesso sistema che pone gli uni contro gli altri, che elimina i diritti e crea divisioni. La risposta che emerge dagli interventi è l’autorganizzazione dal basso, la solidarietà tra persone e popoli, la libertà di autodeterminare sé stessi e decidere nei propri territori. È stato sottolineato il collegamento con la questione climatica: «la guerra è stata ed è finanziata dalla dipendenza dai combustibili fossili, dalla mancanza di un’alternativa vera. La stessa risposta dell’Unione Europea è emblematica: non più gas e petrolio dalla Russia, ma accordi con altri paesi dittatoriali, dove i soldi spesi per l’acquisto di fonti energetiche verrà utilizzato non per migliorare la vita della popolazione, ma solo per aumentare il potere e la ricchezza di coloro che calpestano i diritti dei popoli».
La manifestazione di oggi vuole creare un ponte tra i territori, portando solidarietà ai popoli in guerra e nella piena consapevolezza che è tutto il sistema che deve cambiare, partendo quindi dai propri territori, perché le battaglie locali per i diritti dei lavoratori, per la casa, per il salario, per la salute uniscono le vertenze territoriali e quelle globali.
«Basta parate militari, basta spese per la guerra». Un altro messaggio forte lanciato oggi riguarda i diritti dei lavoratori. Gli stipendi già miseri stanno calando a fronte del caro vita, o diritti sono sempre a rischio. È forte il no all economia di guerra, che vediamo anche in Italia con l’aumento delle spese militari. Più diritti per i lavoratori, aumento degli stipendi, stop al carovita
In piazza anche le voci del coordinamento degli studenti medi. Anche per loro l’aumento delle spese militari significa meno soldi per la scuola. Una scuola già in crisi, che ha bisogno di finanziamenti per gli edifici, per l’offerta didattica, in cui le docenti e i docenti cambiano ogni anno a causa della mala organizzazione. Una scuola che non ha bisogno di più tagli, ma di quei soldi che invece vengono utilizzati per finanziare le guerre. Anche il collettivo universitario LiSc di Venezia è intervenuto denunciando il CSAR – Centro di studi russi di Ca’ Foscari – abbia consegnato un’onorificenza a Medinskij, braccio destro di Putin, e il cui direttivo è composto da altre personalità strettamente legate al governo russo. I legami, quindi, tra la guerra e i nostri territori è forte ed evidente, anche all’interno di quegli istituti che dovrebbero essere riferimento per un’alternativa e che invece continuano a mantenere rapporti deviati e di supporto a governo dittatoriali.
Tante le voci anche di lavoratori migranti, che denunciano le politiche migratorie italiane, le condizioni di vita e di lavoro, la difficoltà di trovare casa e di poter prendersi cura delle famiglie che si trovano ancora nel paese d’origine. Voci che si uniscono al messaggio della manifestazione di oggi: stop alle spese militari, più finanziamenti per il benessere e i diritti di tutti e tutte.
Anche Fridays For Future è scesa in piazza. È necessario andare oltre la frase “la guerra deve finire”. «Questa guerra non nasce dal nulla, arriva dopo due anni di una pandemia collegata alla crisi climatica, le cui conseguenze si sono abbattute su tutte e tutti. Ora le conseguenze della crisi climatica, collegate a cause geopolitiche stanno causando questa guerra e tante altre guerre. La pace non è sufficiente, non basta tornare alla pace prima della guerra, è necessaria una pace basata sull’uguaglianza, sul rispetto reciproco e dell’ambiente , sulla giustizia sociale e climatica».
Alla fine dell’intervento è stato lanciato il Venice Climate Camp dal 7 all 11 settembre, per poter costruire questa pace e proseguire nella lotta per la giustizia sociale e climatica
A Pisa 15 mila persone, provenienti da tutta Italia, hanno raggiunto Coltano per manifestare contro la base militare, che le istituzioni nazionali e locali hanno previsto di realizzare nell’area protetta di San Rossore. Un progetto che costerà ben 190 milioni di euro, che viene addirittura fatto passare come “rigenerazione urbana”, ma che avrà un impatto devastante sul piano ambientale, economico e sociale. Il corteo si è trasformato in un gigantesco serpentone che si è snodato per 7 chilometri, attorno al perimetro del Parco naturale, dove secondo il progetto dovrebbe sorgere la base che diventerebbe l’hub militare più grande d’Europa. Presenti alla manifestazione comitati da tutta la Toscana, ma anche dal resto d’Italia. Imponenti gli spezzoni dei movimenti climatici e quello di GKN. Una giornata di “convergenza”, per usare un’espressione tanto cara agli operai di Campi Bisenzio, che ha attualizzato le istanze antimilitariste, intrecciandole con temi che riguardano la difesa del territorio dalle imposizioni che proteggono solo i grandi interessi.
Gabriella, del Comitato Permanente Contro la Base di Coltano, ha aperto la manifestazione, dichiarando che non si fida del nuovo decreto. «Le colate di cemento non le vogliamo nè qui nè altrove. Con il trattore che sta aprendo la manifestazione abbiamo voluto testimoniare quanto l’agricoltura sia importante per questo territorio e che impatto avrebbe la costruzione della base militare. Inoltre, non dimentichiamoci che quest’area è talmente bella e delicata da essere diventata riserva UNESCO della Biosfera». Gabriella inoltre ha insistito sul fatto che questa battaglia può essere vincente se riesce a connettersi con altre lotte di luoghi vicini e lontani, che vivono le medesime problematiche. La base e le strutture ad essa annessa verranno costruite con i fondi del PNRR, che potrebbero essere utilizzati per ridurre le diseguaglianze socio-economiche. «Il nostro NO racchiude quello che stiamo costruendo dal basso da anni, le tante battaglie che si intrecciano nel territorio pisano e altrove» dice un’altra attivista, «questa base è il simbolo di contraddizioni che riguardano tutte e tutti, che riguardano un sistema che privilegia guerra, sfruttamento e devastazione ambientale e mette continuamente a repentaglio la vita e la natura».