Dacci oggi il nostro fascismo quotidiano

di Walter Catalano

Valerio Renzi, Fascismo Mainstream, Fandango Libri, pp.185, euro 17,00 stampa.

«Cosa accadrà se non vinceranno i movimenti progressisti per la giustizia sociale e climatica? Se lo spazio vivibile sulla terrà sarà drasticamente ridotto? […] le idee tenute in circolazione dal Fascismo Mainstream potrebbero tornare utili per giustificare e armare nuovi stermini, fornendo l’infrastruttura ideologica alla sopravvivenza dei privilegiati» (p. 178). Con questa inquietante domanda, in una prospettiva apocalittica sempre più orribilmente presente al nostro orizzonte quotidiano, Valerio Renzi conclude il suo libro. Il fascismo mainstream, è un armamentario di idee, atteggiamenti, fisime, visioni del mondo, eredità diretta di un fascismo storico mai rimosso, mai davvero sconfitto, sempre pronto a risorgere, non essendo purtroppo mai del tutto tramontato, per ripresentarsi – come un attrezzo lasciato in garage per recuperarlo nel momento del bisogno – nel caso una crisi più profonda e destabilizzante minacci il modello neoliberista. Il realismo capitalista – come direbbe Mark Fisher – è già pronto a riutilizzarlo, ancora una volta, a puntello della sopravvivenza del proprio sistema di potere: narrazione politica compatibile prima, instrumentum regni drastico ma efficace poi. Il fascismo quindi ora diventa mainstream, prodotto di massa: un’astuta cosmesi fatta di marketing e propaganda lo rende accettabile, innocuo, addirittura auspicabile.

Il “presidente patriota”, entità fantasmatica enfaticamente invocata da Giorgia Meloni durante la faticosa rielezione di Mattarella e accreditata sui media senza alcuna contestazione o sarcasmo per le dubbie connotazioni dell’aggettivo che la qualifica; le idiozie proferite dal beota Patrizio Bianchi, ministro della pubblica istruzione, in occasione della “giornata del ricordo”, avvalorando la vulgata neofascista delle foibe come strage anti-italiana perpetrata dai sanguinari comunisti titini senza contestualizzare se fosse stato meno sanguinario il precedente dominio italiano e fascista su Istria, Dalmazia, Slovenia e litorale croato, arrivando addirittura a equiparare, con scandalosa ignoranza della storia e offesa ad ogni buonsenso e buongusto, gli infoibamenti alla Shoah. Sono esempi recenti di un evidente e vergognoso lassismo istituzionale di forme e contenuti nei riguardi di temi e posizioni impresentabili nel pubblico dibattito solo pochi anni fa. Paradigmi del fascismo maintream, appunto.

Così come la migliore strategia del diavolo è farci credere che non esiste – almeno a quanto diceva Baudelaire – anche la candida accettazione che il fascismo sia un semplice fenomeno storico e regime politico concluso nel 1945 con la definitiva sconfitta militare e che pertanto, di conseguenza, ogni pregiudiziale antifascista sia un orpello inutile e arretrato da abbandonare senza nostalgie, è sempre stata la tattica vincente e il rassicurante alibi delle destre estreme, versione oggi condivisa ormai ben più largamente in differenti ambiti ideologici. In modo analogo la concomitante esecrazione di fascismo e comunismo, semplicisticamente equiparati senza alcun distinguo come sanguinari totalitarismi, è diventato il dogma ufficiale anche della Comunità Europea, un dogma quanto mai impreciso e superficiale pericolosamente foriero di equivoci sulla erogazione ideale di presunte credenziali democratiche.

Valerio Renzi vuole individuare i presupposti di questa deriva ancora in atto, rintracciando la genealogia di idee “che sono servite a formare un complesso ideologico inedito che mixa efficacemente le idee del passato con risposte adeguate al presente. Un complesso di idee che sembra poter esercitare una significativa egemonia nel senso comune del presente, superando gli angusti steccati di piccoli universi radicali dove questi discorsi hanno fermentato per lunghi decenni” (pag. 9). In altre parole questo fascismo del futuro è l’evoluzione del capitalismo del presente: non un’alternativa ma un epilogo possibile, uno dei gradienti, della crisi della globalizzazione neoliberista.

Il contesto generale del problema viene introdotto seguendo le analisi di Mark Fisher sulle modalità di certi prodotti culturali segno preciso dei tempi: l’ossessione per il revival culturale, per il remake cinematografico, la retromania musicale definita da Simon Reynolds e la contemporanea scomparsa pressochè totale della letteratura di fantascienza, l’estetica postmoderna centrata sull’amalgama di ingredienti conosciuti più che su elementi inediti, sono l’evidente manifestazione di un’“impossibilità di rottura con il presente”, di un’incapacità di “invenzione del nuovo”. La fine della storia profetizzata da Francis Fukuyama è divenuta realtà ma con qualche correzione: se non esiste orizzonte fuori dal capitalismo, la crisi economica e l’incepparsi della globalizzazione, nella prospettiva incombente dei cambiamenti climatici, hanno introiettato questa linea terminale nell’intimo di ogni singolo individuo, entro il margine della sua prospettiva spicciola. La dittatura del presente non ci fa guardare oltre il domani e lo Stato non è più arbitro del mercato – come nel liberismo classico – ma suo braccio armato per garantire la tenuta del sistema produttivo ed i rapporti di forza all’interno di esso. La recente gestione della crisi pandemica ne è un esempio lampante.

Il fascismo è l’ideologia più adatta a garantire la sopravvivenza individuale piccolo borghese in un sistema fondato sul continuo replicarsi e acuirsi delle diseguaglianze – di classe, di genere, di etnia – un neodarwinismo sociale in cui è sempre possibile trovare sotto di sè qualcuno su cui sfogare le proprie frustrazioni. Con la disgregazione della solidarietà di classe, l’abbassamento della conflittualità sindacale e sociale, l’allenamento all’individualismo proprietario e alla competizione, l’egemonia neoliberista sulle società occidentali ha preparato il terreno al fascismo mainstream,  e questo potrebbe essere il prodromo di quello sterminismo, basato su scarsità e diseguaglianza, che Peter Frase individua nel suo saggio Quattro modelli di futuro (Treccani 2019) – testo di riferimento di Renzi nelle conclusioni del suo libro – mettendo in relazione gli esiti di due processi storici in corso, crescita tecnologica e crisi climatica. L’automazione – nel più fosco dei quattro scenari prospettati dal ricercatore neosocialista – renderà inutili al benessere dei proprietari le masse di non proprietari divenuti superflui ai processi di produzione, mentre i cambiamenti climatici ridurranno drasticamente le risorse a disposizione: la riedizione del fascismo, più probabilmente nella declinazione nazista potrebbe essere una soluzione efficace, anzi la soluzione finale.

In attesa di questo fulgido futuro, il fascismo mainstream procede incontrastato. La Religione laica Antifascista dello Stato, cioè «discorsi, idee, simboli, liturgie che hanno ancorato la nascita o il consolidamento delle democrazie liberali dopo la Seconda guerra mondiale» (p. 31) riuscendo per decenni a mantenere in «uno stato di minorità morale e politica i movimenti con una filiazione diretta con il fascismo e nazismo», è definitivamente tramontato. Il predominio incontrastato delle lobbies bancarie in Europa ha svilito le premesse socialiste e democratiche delle costituzioni europee. Ormai “le costituzioni antifasciste non sono di nessun ostacolo al dispiegarsi del capitale, anzi rimangono al loro posto come una sorta di feticcio sacralizzato a giustificazione e sanzione delle ingiustizie del presente” (pag. 33). Come icasticamente sottolinea Renzi, la Religione Antifascista di Stato ora è un’ideologia conservatrice, “è diventata la foglia di fico morale per l’inconsistenza della democrazia liberale, per l’impotenza di un sistema politico ormai esautorato dal capitalismo finanziario” (pag. 34).

In parallelo con il mito della Religione Antifascista di Stato anche la Shoah è stata istituzionalizzata nel Giorno della memoria, ma “la completa sussunzione del portato della Shoah dalle retoriche di uno Stato che perpetua ingiustizie e si fa garante di un ordine sociale mondiale segnato da spaventose disuguaglianze, l’ha trasformata in un insignificante vuoto. Così, di fronte alle parole della liturgia, gli studenti sbadigliano, trasgrediscono tracciando croci celtiche e svastiche sul banco.” (pag. 48) La banalizzazione e l’annacquamento della Shoah divenuta sottogenere spettacolare e narrativo di successo perpetuato in spesso mediocri e storicamente inattendibili film, libri, serie televisive, ecc. (a cominciare dal pessimo La vita è bella di Roberto Benigni in cui, addirittura, sono gli americani e non i sovietici a liberare Auschwitz, ma altrimenti niente Oscar…) fa da contraltare alla sua sacralizzazione in dogma e ideologia: trasgredirlo vuol dire delegittimare ciò che il dogma legittima. L’intoccabilità dello stato di Israele, per esempio, anche quando questo mette in campo politiche di apartheid e pulizia etnica contro i palestinesi.

Un altro tassello del mosaico è l’estinzione della destra moderata o la radicalizzazione della destra di governo. Processo iniziato in Italia al principio degli anni ’90 con la “discesa in campo” di Berlusconi e, archiviando definitivamente il cordone sanitario repubblicano dell’”arco costituzionale”, la sua successiva alleanza con i postfascisti culminata nel 2008 con il Popolo della libertà, nella condivisione di un’agenda comune fatta di anticomunismo fuori tempo, deregulation del mercato del lavoro, e difesa dei ceti sociali medio alti. Il declino di Forza Italia porterà in seguito l’allargamento dell’elettorato alla Lega, sotto il ducetto Salvini, e agli eredi del MSI, Fratelli d’Italia. Berlusconi ha saldato le frange moderate superstiti dello yuppismo craxiano degli ’80, sostenitrici di libero mercato e atlantismo, con i propagatori del bagaglio ideologico neofascista – centrato su ossessione securitaria e antiimmigrazione – sdogananandolo e postideologizzandolo. E proprio i custodi della Religione Antifascista – ad esempio Luciano Violante nel discorso alla Camera del 1996 – e le forze postcomuniste avviate al loro “ravvedimento”, hanno legittimato l’operazione cosmetica del congresso di Fiuggi e la “riconciliazione nazionale”. Ma se gli ex comunisti dismettono il proprio patrimonio ideologico e culturale, gli ex fascisti adattano il loro al nuovo mercato politico. Se la sinistra perde l’”egemonia culturale” archiviando il conflitto sociale e di classe e arroccandosi sulla difesa della legalità, dello statu quo e dell’autonomia del potere giudiziario, la destra abbandona le remore moderate e costituzionali per accogliere spregiudicatamente ideologia e cultura di forze fino ad allora confinate ai margini dell’orizzonte democratico.

Questo porta alla progressiva e sempre più sfacciata irruzione nel linguaggio dei media di modelli razzisti, xenofobi, classisti, sciovinisti e degli stereotipi di genere, spacciati come istanze liberatorie da una presunta dittatura del politicamente corretto. Termini come “pensiero unico”, cancel culture, ecc. stigmatizzano ogni tentativo di arginare la deriva verso il ripristino di schematismi linguistici e mentali volti alla giustificazione e all’esaltazione della diseguaglianza e dell’esclusione delle minoranze non privilegiate.

Nel passaggio dal neofascismo al fascismo mainstream svolge un ruolo cruciale l’opera della nouvelle droite di Alain de Benoist e del Grece (Groupement de Recherche et d’Études pour la Civilisation Européenne), quel cosiddetto “gramscismo di destra” che vede nella – come dicono loro – “metapolitica” la riproposizione del vecchio bagaglio di idee della destra nostalgica, tradizionalista e fascista in una versione post-ideologica più digeribile, mescolando elementi caratteristici della sinistra, ad esempio l’ambientalismo, con altri propri alla destra radicale, come il comunitarismo, nell’ipotetica intenzione – anche questa attributo del fascismo storico – di andare oltre e al di là della destra e della sinistra.

In quest’ottica viene superato il “mito incapacitante del tradizionalismo” di vecchie icone del radicalismo di destra, feticci per necrofili come il “barone” Julius Evola, per riproporne l’essenza aggiornata in altra forma: così il razzismo biologico e la sua trasposizione pseudo-filosofica evoliana, il razzismo “spirituale”, diventa “differenzialismo”, cioè un razzismo culturale, spacciato per relativismo radicale, in cui del Blut und Boden nazista, sia il “suolo” a prevalere sul “sangue”. Non più razze inferiori biologicamente, untermenschen con i quali l’Herrenvolk non si deve imbastardire, ma razze diverse, con bisogni e desideri diversi, che non vanno assimilate ma “aiutate a casa loro”. Il vero razzismo dunque, diventa per i neo-destri l’universalismo – cristiano prima e liberale dopo – che annienta i particolarismi e le identità nella globalizzazione. Grazie a questi sotterfugi dialettici i vecchi “soldati politici” in rivolta contro il mondo moderno, gli uomini in piedi fra le rovine mentre il Kali Yuga imperversa e si consuma, hanno accalappiato nuove soggettività politiche da rappresentare: “le classi medie frustrate dalla crisi della globalizzazione, i maschi spaventati dall’emancipazione femminile, i proletari terrorizzati dal cadere ancora più in basso nella catena della gerarchia produttiva globale”.

Il libro di Renzi dopo aver così ben chiarito le modalità attraverso cui il fascismo, da Berlusconi a Salvini, da Trump a Bolsonaro, si è insinuato all’interno delle democrazie odierne, arrivando a governarle intrinsecamente – un fascismo, se così possiamo dire “recessivo”, come una malattia genetica impiantata nel nostro DNA – denuncia la concreta minaccia, quando le condizioni saranno mature  secondo l’apocalittica prognosi delle ultime pagine, che, se nessuna forza alternativa interverrà a invertire questo processo, possa diventare “dominante” in modo permanente e soprattutto infaustamente terminale.

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