È folle pensare che un sistema che si basa sullo sfruttamento infinito di risorse in un pianeta dalle risorse finite possa essere compatibile con la vita sulla terra.
Eppure, per seguire questo delirante assunto il mondo è diventato un gigantesco mercato dove le persone stesse sono diventate merce che comprano merce. Un mercato globale dove il solo obiettivo dell’esistenza per miliardi di persone è vendere e comprare.
Il tutto fatto con totale inefficienza, generando uno spreco enorme, compreso quello energetico con conseguente produzione pesantissima di inquinamento unita ad una generazione di rifiuti stratosferica e ingestibile. Per rendere le cose ancora più problematiche, la grande parte delle merci viene prodotta attraverso una miriade di schiavi sottopagati e localizzati in pochi paesi. Il tutto è agevolato dai prezzi bassi delle materie prime, compresi i combustibili fossili, e dei relativi trasporti delle merci che non non tengono conto dei costi ambientali, che vengono pagati dalla collettività in termini sanitari e di distruzione della natura.
Amazon è l’esempio più chiaro di come funziona questo sistema folle. In un secondo puoi ordinare qualsiasi cosa disponibile sul globo terracqueo a costi spesso irrisori che ti arriverà in pochissimo tempo comodamente depositata a casa.
Un click è il mondo di merci è da te e non ti viene da chiederti cosa mai ci sarà, come costi, lavoro, inquinamento ed energia, dietro al tuo ordine. Ti basta strofinare la moderna lampada di Aladino/cellulare e tutto si materializzerà come per incanto (il maggiore concorrente di Amazon si chiama Ali Baba non a caso….). Del resto questo è lo scopo della globalizzazione: non farsi nessuna domanda, nessun dubbio, comprare e basta. Però la stessa globalizzazione è un gigante dai piedi di argilla e si può fare crollare con pochissimo l’intero sistema
Non ci vuole infatti molto perchè una delle fasi dell’ingranaggio vada in tilt, come sta succedendo e come era ampiamente prevedibile da chiunque ancora ragioni in maniera razionale.
E’ sufficiente una nave incagliata al canale di Suez e va in crisi il 12% del commercio mondiale, basta un innalzamento dei prezzi dei combustibili fossili o la inevitabile scarsità di alcune materie prime (mondo dalle risorse finite, bene ricordarlo) o la richiesta di salari più alti da parte degli schiavi e tutto il sistema si inceppa. Se poi questi fattori, che sono anche strettamente collegati fra loro, si sommano, allora la situazione si aggrava esponenzialmente.
Ma qualcuno sano di mente poteva pensare che il giochino facile facile di poterci fare arrivare tutto strofinando la nostra moderna lampada di Aladino potesse continuare all’infinito?
Siamo costantemente sotto l’ipnosi della pubblicità martellante da ogni dove ma da qualche parte ci sarà pure rimasto qualche grammo di senso per capire che questo sistema è una gigantesca follia destinata a sgretolarsi con esiti imprevedibili ma di sicuro tragici. Quindi, visto che un sistema così fragile sta uccidendo il pianeta e ogni forma di vita, compresa la nostra, bisogna necessariamente invertire la rotta prima che la situazione sia irreversibile. Se la globalizzazione è il problema, risulta ovvio che si ritorni alla localizzazione, al controllo diretto, all’autoproduzione, alla prossimità: non c’è altra strada, checché ne dicano studiosi, premi nobel, intellettuali, politici o sindacalisti vari, i quali troppo spesso ragionano con parametri che sono totalmente fuori da ogni logica e non tengono conto che dobbiamo vedercela con limiti naturali imprescindibili. Per quante illusioni questi soggetti si facciano che l’alta tecnologia ci risolverà tutto con la bacchetta magica, è un fatto che questo non stia succedendo visto l’aggravarsi dei problemi; e non succederà nemmeno in futuro.
Si badi bene che non stiamo parlando di ideologie o teorie strane, stiamo parlando di aspetti esclusivamente materiali o si cambia o si muore.
E’ ora che si parli chiaro perché la situazione si sta facendo disperata, come ormai è sotto gli occhi di tutti, e non si può continuare a suonare sulla tolda del Titanic facendo finta di nulla.
Nell’inevitabile ritorno alla localizzazione, l’Italia ha potenzialità enormi, nascoste e dimenticate da un sistema che è stato follemente strutturato per vendere e comprare. E quando tutto è in vendita, si svende la natura, il paesaggio, il cibo, l’acqua e sopratutto l’anima. Quindi va ritrovata l’anima dell’Italia che è locale, artigianale, artistica, di cultura, di biodiversità, di benessere, di ben vivere. Terra fertile, alimenti eccezionali, clima ottimale per utilizzare fonti rinnovabili e renderci velocemente autonomi, competenze, tecnologie, proverbiali capacità artigianali del saper fare, bellezza naturale strepitosa, non ci manca nulla e sono tutti aspetti che possono innalzare la qualità della vita e dare da lavorare a milioni di persone per realizzare un paradiso nel nostro paese.
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Dato che in futuro la situazione si aggraverà sempre di più, è necessario agire qui e ora, con le forze proprie e altrui disponibili a un reale cambiamento. Le coordinate per agire le potete trovare nel libro L’Italia verso le emissioni zer0, per invertire finalmente la rotta di un paese che se ci fosse un premio Nobel per la stupidità e autolesionismo energetico lo vincerebbe a mani basse.
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E se vuoi fare un primo passo concreto verso il cambiamento, hai l’opportunità di iscriverti al soggiorno esperienziale “Cambiare vita e lavoro: istruzioni per l’uso” che si terrà in Umbria il 6 e 7 novembre 2021 e che sarà guidato da Paolo Ermani, presidente dell’associazione Paea, ideatore dell’Ufficio di Scollocamento e co-fondatore del quotidiano online Il Cambiamento, e Alessandro Ronca, direttore scientifico del PeR, il Parco dell’Energia Rinnovabile.
QUI info su programma e modalità di iscrizione
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Lunedì 25 ottobre Paolo Ermani terrà anche il webinar gratuito dal titolo “Dalla crisi della globalizzazione alla localizzazione. Autosufficienza energetica e alimentare per un’Italia a emissioni zero”, organizzato ds Macrolibrarsi.