È di ieri la notizia della chiusura delle scuole, dalla primaria alle secondarie, nella regione Campania. Fino al 30 ottobre il governatore De Luca ha imposto uno stop, vista la crescita esponenziale di casi, seguendo ciò che aveva annunciato nei giorni precedenti.
Così come Zaia, anche De Luca si è imposto alle regionali quasi con un plebiscito. È l’epoca, questa, in cui vince chi governa con fermezza – e ampia visibilità – le fobie pandemiche. L’italiano vuole essere rassicurato, trattato come un bambino impaurito, affidarsi al padre forte. Poco importa se dietro l’autorevolezza – vera o presunta – si nascondono colpevole disimpegno e problematiche croniche. Il provvedimento impone però, soprattutto a livello di movimenti sociali, una riflessione.
Stamattina bambini, famiglie, docenti, educatori, si sono radunati a Piazza Santa Lucia a Napoli, presso la regione Campania, per dare vita ad un presidio che durerà tutta la giornata. Il messaggio è chiaro: la scuola non deve chiudere, né in Campania, né altrove.
Protestano verso una situazione insostenibile in regione, che però tocca tutti e tutte: la scarsità di posti letto nelle terapie intensive (si parla di un centinaio in tutta la Campania!), la problematica enorme dei trasporti, le scuole che già avevano riaperto il 24 settembre con limiti strutturali, di personale, di igiene e sanificazione, di connessione internet.
Il Covid non è che un colpo di grazia a un moribondo: ci sono ragazzi campani che sono riusciti a seguire le lezioni solo per qualche manciata di ore.
È da quando è iniziato il lockdown che Priorità alla Scuola chiede investimenti, utilizzo sensato del recovery found, capacità di lungimiranza. I soldi sono invece arrivati un po’ a pioggia, senza un piano sensato, a mò di imbonimento per i dirigenti costretti a lavorare come pazzi per poter riaprire, con delle responsabilità enormi sulle spalle.
D’altro canto la chiusura, seppur limitata agli ultimi anni delle scuole superiori, era già stata ipotizzata in conferenza delle regioni da Zaia. Che attacca la ministra Azzolina, contraria, dicendole di segnarsi la data quando invece dovranno chiudere tutte i battenti.
Qui siamo però davanti a un problema: o non c’è la reale volontà di investire in termini di trasporti, infrastrutture, edifici, per cui si ricorre alla soluzione più facile, oppure la situazione da questo punto di vista è talmente cronica e marcia che è impossibile metterci mano e le spese non sono nemmeno quantificabili.
Ci sono stati mesi e mesi in cui si sarebbero potute studiare modalità di ampliamento dei parchi di pullmann e autobus; in cui si potevano mettere a norma stabili, o costruire velocemente prefabbricati (sappiamo bene che quando c’è la volontà politica i problemi si risolvono in tempo zero, sarebbe bello una cittadella degli studi buttata su a tempo expo). In cui, insomma, dare la dimostrazione che nel nostro paese l’istruzione vale ancora qualcosa.
Così non è stato e ora il dito viene puntato contro i giovani irresponsabili, arriva una stretta alla socialità e i richiami al senso civico individuale: un po’ come pensare di fermare i cambiamenti climatici non lottando contro Eni e denunciando le lobby energetiche, ma comprando green e bio. In questo c’è molto da imparare da Fridays for Future, con cui bisognerebbe unire le forze: la lotta ai cambiamenti climatici passa per le scuole e la loro chiusura è una conseguenza indiretta (ma neanche tanto)di uno sviluppo insostenibile.
Come dicevo inizialmente quanto accade impone una riflessione a livello di movimenti. Riteniamo il terreno dell’istruzione fondamentale? Siamo consapevoli che bambini e bambine non stanno imparando a leggere e a scrivere, né a socializzare, e non impareranno a distanza? Gli studenti delle scuole superiori e dell’università non si incazzano neri al solo pensiero di doversi chiudere in casa a far lezione, spesso con mezzi non idonei, mentre il resto del mondo fa bellamente girare l’economia? Le mamme sono consapevoli che le ferie non durano in eterno e che saranno le prime, in quanto donne, a perdere il lavoro se i figli sono a casa? I precari della scuola che ne pensano del fatto che, nonostante la pandemia, la macchina dei concorsi per il ruolo stia andando avanti e, mentre le scuole chiudono, 60.000 persone in tutta Italia devono andarsene in giro per il Paese ed ammassarsi per fare un concorso, e se sono in quarantena, anche fiduciaria, affari loro?
Ci siamo più volti ripetuti di lasciare fuori dalla questione covid il lessico bellico, ma bando alle ciance, qui siamo in guerra. Qui bisogna mobilitarsi appena le scuole chiudono, come successe quando scoppiò la guerra in Iraq nel 2002. Sapremo trovare modi creativi e sicuri per farlo ma le scuole bisogna riprendersele e ripensarle completamente. “Se ci bloccano il futuro noi blocchiamo la città”.
Di Martina PaS Vicenza
In Veneto le mobilitazioni contro la chiusura delle scuole, in Campania e altrove, saranno lunedì 19/10 h. 17, presso le prefetture di Padova e Vicenza.