Come possiamo affrontare la sfida di essere pienamente immersi nelle contraddizioni prodotte dalla crisi climatica e contemporaneamente rompere il modello di sviluppo imposto dal capitalismo? Come possiamo connettere i movimenti climatici con il mondo del lavoro? Sono queste le domande da cui è del talk “Dentro e contro la crisi ecologica” che si è tenuto giovedì 8 settembre al Venice Climate Camp. Un talk che è stato promosso da Adl Cobas e da altri sindacati di base che fanno parte di un network europeo.
Ad aprire la discussione è stato Lorenzo Feltrin, ricercatore dell’università di Birmingham. «Siamo all’interno di questa crisi perché nella nostra società la sussistenza della classe lavorativa dipende dal lavoro capitalista e perciò moltissime persone si basano sull’infinita produzione della merce per vivere. I ricatti lavorativi non riguardano soltanto industrie altamente nocive come l’ILVA di Taranto, ma è una caratteristica intrinseca e trasversale del capitalismo, che diventa manifesta con diversa intensità in diversi contesti».
Per discutere come rafforzare l’ambientalismo operaio, Feltrin propone di aggiornare il metodo di analisi della composizione di classe secondo tre linee: una larga concezione di classe lavorativa, che si basa sulla necessità di vendere la forza lavoro; una concezione del lavoro che includa entrambe produzione e riproduzione; una concezione degli interessi della classe lavorativa che comprenda allo stesso tempo il posto di lavoro e la comunità, o il territorio. La comprensione di tali concetti facilita la costruzione di coalizioni tra lavoratori che si identificano diversamente in quanto classe, genere e appartenenza etnica.
La distinzione tra spazio di lavoro e comunità non si basa su confini fisici, ma su relazioni sociali: il posto di lavoro è la sfera in cui intendiamo il lavoratore come “produttore o riproduttore” mentre la comunità è la sfera del “lavoratore-come-riprodotto”. Gli interessi della classe lavoratrice sono spesso pensati come incentrati sul posto di lavoro: posti di lavoro sicuri, salari più alti, orari più brevi, condizioni più sicure, ecc. In effetti, la redistribuzione della ricchezza attraverso salari più alti per orari più brevi aiuterebbe a superare il dilemma posti di lavoro contro ambiente, riducendo in primo luogo la necessità di posti di lavoro. Non si può non prendere in considerazione però che i lavoratori non scompaiono una volta usciti dal loro posto di lavoro, ma tornano nei loro quartieri, respirano l’aria fuori dalle fabbriche e dagli uffici, si godono il loro tempo libero relazionandosi con le loro ecologie. Gli interessi dei lavoratori non si basano esclusivamente sullo spazio di lavoro, ma anche sulle condizioni della loro riproduzione nella comunità (ad esempio, i livelli dei prezzi, i servizi di welfare, le ecologie sane).
Nell’analisi della composizione di classe, i modi in cui i lavoratori sono impiegati, segmentati e stratificati sul posto di lavoro attraverso diversi settori economici, processi lavorativi, gerarchie salariali, ecc. costituiscono la composizione tecnica della classe operaia, il suo lato oggettivo. La composizione politica della classe operaia, invece, indica la misura in cui i lavoratori come classe superano, o meno, le loro divisioni per affermare i loro interessi comuni nei confronti del capitale, cioè le loro forme di coscienza, di lotta e di organizzazione, è il lato soggettivo. Seth Wheeler e Jessica Thorne hanno proposto di aggiornare questo quadro aggiungendo la composizione sociale della classe operaia, cioè i modi in cui i lavoratori si riproducono nella comunità, ad esempio attraverso i regimi familiari, abitativi, assistenziali e sanitari. L’aspetto oggettivo della composizione di classe viene così biforcato in composizione tecnica (relativa al luogo di lavoro) e composizione sociale (relativa alla comunità, o “territorio”). Ciò consente di analizzare come la composizione di classe sia segmentata anche rispetto al degrado ambientale
La sfida di essere contro la crisi ecologica è quella di rompere il ricatto capitalista creando convergenze tra le lotte sul posto di lavoro e quelle comunitarie. Questo passaggio è tutt’altro che automatico, perché la classe operaia è frammentata secondo configurazioni occupazionali e residenziali molto diverse, un dato oggettivo che troppo spesso alimenta le divisioni tra sindacalismo (come espressione degli interessi del luogo di lavoro) e ambientalismo di classe (come espressione degli interessi della comunità). Si tratta piuttosto di ricomporre queste segmentazioni intraclasse a livello politico, costruendo piattaforme di rivendicazioni che mirano ad articolare insieme gli interessi del luogo di lavoro e della comunità. La vertenza GKN ha senza dubbio molto da insegnarci a questo proposito. Un’altra possibilità che riguarda più direttamente i nostri territori è l’espansione del modello Amazon, che rappresenta una minaccia sia per i diritti dei luoghi di lavoro che per quelli delle comunità. In questo senso, il Black Friday sta diventando sempre più un appuntamento transnazionale di convergenza.
A seguire è intervenuto xx, dell’Union Syndicale Solidaires, checome l’ADL Cobas è membro della Rete Sindacale Internazionale di Solidarietà e Lotta (RSISL). «Se la nostra Union Syndicale Solidaires è presente qui, se stiamo ancora cercando di sostenere e rafforzare la RSISL, è perché siamo tutti consapevoli che la lotta contro il capitalismo non può e non deve essere condotta solo all’interno di ciascun Paese». Le economie dei Paesi più ricchi sono strettamente intrecciate, così come le politiche dei governi per sfruttare le persone e i beni comuni organizzandosi a livello internazionale. Per questo è necessario lavorare su un piano mobilitativo che difenda su scala internazionale i bisogni essenziali, così attaccati dal capitalismo: la salute, la natura e la biodiversità, l’accesso all’acqua, alla terra e alle risorse naturali.
Già nel 1979, Haroun Tazieff, un famoso vulcanologo, voleva sensibilizzare l’opinione pubblica sul riscaldamento globale. 30 anni fa lo sapevano tutti! Cosa è stato fatto? Cosa è successo da allora? I leader dei Paesi più ricchi, asserviti agli interessi economici, hanno chiuso gli occhi e messo a tacere le voci dissenzienti, continuando a saccheggiare le risorse, a peggiorare le condizioni di vita delle popolazioni, soprattutto nel Sud globale, a sterilizzare e prosciugare le terre, proponendo “finte soluzioni”.
Secondo XX, se è vero che l’attuale presa di coscienza potrebbe, nel migliore dei casi, limitare alcuni dei danni, ma è anche vero che la situazione potrebbe realmente migliorare se si attaccano direttamente coloro che vorrebbero cogliere l’opportunità della crisi ecologica per continuare a fare profitti succulenti. «Il capitalismo non smette mai di volersi espandere, per sua natura economica. Sappiamo che non può fare altrimenti per mantenere il suo tasso di profitto e la sua stessa esistenza, anche se si veste di verde».
Questa lotta contro il “capitalismo verde” deve essere intrecciata con quella contro le attuali politiche migratorie, che stanno impedendo alle popolazioni che maggiormente subiscono gli effetti della crisi ecologica di muoversi per il mondo. Questa lotta deve parte di una strategia per rafforzare la solidarietà Nord-Sud.
In generale deve essere rafforzato l’accesso universale alle risorse, ai servizi e al welfare, in particolare per quel che riguarda la salute, alla salvaguardia della vita, umana e animale, e ai nostri bisogni essenziali. Solidaires ha al suo interno un sindacato che si occupa salute: «siamo qui per testimoniare che i governi sacrificano la salute delle popolazioni. La rottura dei sistemi di assistenza in tutta Europa, la chiusura degli ospedali, ma anche la gestione complessiva della pandemia di COVID-19 sono lì a testimoniarlo. L’Unione Europea e i suoi leader preferiscono sacrificare vite umane piuttosto che togliere i brevetti sui vaccini».
È proprio la difesa dei beni comuni che deve creare le premesse per alleanze e convergenze transnazionali, perché il sistema capitalista oggi va oltre l’esproprio di ciò che produciamo, minaccia l’esistenza stessa dell’umanità. In questo senso, il ruolo del sindacalismo di base è centrale perché può agire a tutti i livelli, internazionale, nazionale, regionale, settoriale, sul luogo di lavoro e di vita. «Abbiamo bisogno di una trasformazione radicale dei nostri modi di produzione e di consumo per rispondere alle emergenze sociali ed ecologiche, e quindi di un coordinamento delle lotte».
Secondo Sergio Zulian di ADL Cobas, sono diversi che si parla di queste tematiche e si tenta di far convergere la lotta dei lavoratori e quella per la giustizia climatica. Dopo tre anni, una pandemia, e una guerra di carattere mondiale, che vedono tra le conseguenze un aumento generale dei prezzi, è ancora più fondamentale cercare un’intersezione tra lotte diverse.
Spesso i lavoratori, per arrivare a fine mese, devono lasciare da parte la sostenibilità, perché magari lavorano in fabbriche o multinazionali tra le dirette responsabili della crisi climatica. Questo non vuol dire che al lavoratore non interessa il cambiamento climatico, ma è un importante segno della necessità della convergenza delle lotte. Perché arrendersi a queste dinamiche vuol dire arrendersi al capitalismo, che ci insegna che per far crescere i salari e produrre ricchezza, l’ambiente viene in secondo piano.
«Ciò che concretamente dobbiamo fare è trovare occasioni pratiche di stare e lottare insieme. Abbiamo bisogno di reinventare la nostra comunità, soprattutto quella parte di società che si trova ai margini ed è sempre più sfruttata, come i lavoratori migranti». Ci sono alcuni importanti esempi di convergenza della lotta, tra cui la lotta portata avanti dal Collettivo di Fabbrica GKN, la causa contro Amazon, la critica a multinazionali come la Coca Cola che è stata portata avanti soprattutto negli ultimi mesi. È necessario coinvolgere i lavoratori nelle manifestazioni contro la crisi climatica, e allo stesso tempo portare gli studenti e le studentesse, i giovani in generali davanti alle fabbriche. L’intersezione dev’essere l’anima di queste mobilitazioni. «Questa è un’altra linea guida: intersecare molti elementi, costruire qualcosa dal basso per poter dar vita ad un reale cambiamento, creare reti, confluenze e intersezioni».
L’ultimo intervento è di Dario Salvetti, del Collettivo di fabbrica GKN, secondo cui lo sviluppo recente della loro vertenza si lega alla perfezione al tema del to dibattito. «Siamo un’azienda dell’automotive, siamo stati licenziati a luglio del 2021. Tra le giustificazioni del licenziamento ci è stata rinfacciata anche la transizione ecologica, sostenendo che “Se volevamo Greta saremmo andati incontro anche a questo”, cosa che ovviamente sapevamo essere falsa».
Una proposta che è stata portata avanti in questi mesi è stata quella del polo pubblico della mobilità sostenibile. L’idea è quella di collegare tra loro tutte le fabbriche dell’automotive per sviluppare una vera transizione ecologica del settore, operando una misura sociale all’interno delle fabbriche e contemporaneamente rendendo accessibile e sostenibile il trasporto pubblico. Da un lato una misura sociale, di riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, e contemporaneamente una misura climatica, attuata nel progettare nuovi mezzi pubblici affidando alla ricerca pubblica la risposta alla domanda su come essi possano essere sostenibili.
Questo piano è stato completamente ignorato, è arrivato un imprenditore e ha acquisito con soldi di dubbia origine lo stabilimento. «Abbiamo stabilito un accordo per questa reindustrializzazione, perché sappiamo che le reindustrializzazioni sono un metodo per portare allo sfinimento le questioni operaie, tramite anni di cassa integrazione. Abbiamo mantenuto in questi otto mesi il controllo della fabbrica, vivendola ed attraversandola».
Proprio per questo, la vertenza di Gkn sta diventando un vero e proprio esperimento di fabbrica pubblica, pubblica nel territorio, pubblica nel collettivo di fabbrica. «Ma questa prospettiva non possiamo aprirla da soli, questa prospettiva si alimenta di almeno tre piani. Abbiamo aderito allo sciopero climatico globale, chiamato dai Fridays For Future per il 23 di settembre, ed abbiamo indetto una data unica il 22 ottobre, la data della convergenza su Bologna. Per noi, la data del 23 settembre e del 22 ottobre sono una data sola. Lo facciamo a Bologna per sostenere la lotta contro il passante, l’allargamento delle strade per il trasporto privato, perché all’ampliamento delle strade per il trasporto pubblico, alle colate di cemento, vogliamo contrapporre il nostro progetto per la mobilità pubblica. Indiremo delle giornate per far vivere la fabbrica in modo pubblico e sociale, per aprire i nostri cancelli e far entrare le persone. Infine vogliamo entrare in una forma di autogestione, imparando a portare avanti il lavoro all’interno di una fabbrica in assenza dell’autorità che ci ha sempre controllati, l’autorità del padrone».
Secondo Dario Salvetti, se qualcuno pensa di difendere la classe solo dal punto di vista economico, se qualcuno pensa di fare la lotta per la fine del mese senza farla contro la fine del mondo, non ce la farà. «La verità è che la riproducibilità economica della classe operaia di questa società viene minata quotidianamente dalla crisi di società che viviamo. Da ciò si deduce che, o la lotta si fa per tutto, oppure la lotta non regge. Vogliamo un lavoro che ci permetta di riprodurci completamente come individui, dallo stato di salute psichico, dal non dover vedere la tua sessualità repressa, dai tempi di coda al pronto soccorso, allo stato di inquinamento dei luoghi che viviamo».