Dmitry Trenin
rt.com
La scorsa settimana il Presidente russo Vladimir Putin ha definito l’Ucraina una “enclave anti-russa” che deve essere rimossa. Ha anche affermato che i soldati russi che partecipano all’operazione militare in Ucraina combattono per il loro “Paese.” Queste dichiarazioni hanno importanti implicazioni.
Negli ultimi sei mesi, il mantra dell’ufficialità russa è stato che tutti gli obiettivi dell’offensiva saranno raggiunti. Tuttavia, di proposito, gli obiettivi specifici, come ad esempio la distanza a cui le forze di Mosca intendono arrivare in Ucraina, non sono mai stati precisati. Questo non può che sollevare speculazioni su ciò che il Cremlino spera effettivamente di ottenere.
L’unica persona che può rispondere in modo autorevole a questa domanda, tuttavia, è il Presidente, e non ha senso cercare di capire cosa pensi. Tuttavia, due cose non possono sfuggire all’attenzione. Uno è la radicalizzazione della posizione di Mosca sull’Ucraina come risultato sia delle politiche occidentali sia delle azioni di Kiev; due è il crescente divario tra il risultato minimo della campagna militare di cui la Russia può essere soddisfatta e il massimo che gli Stati Uniti e i loro alleati possono accettare.
Per circa sei anni, dopo la firma del secondo accordo di Minsk nel 2015, il Cremlino aveva cercato in tutti i modi di fare applicare l’accordo. Avrebbe garantito lo status autonomo del Donbass all’interno dell’Ucraina e dato alla regione un’influenza sugli orientamenti e le politiche nazionali, anche per quanto riguardava l’orientamento geopolitico e geoeconomico del Paese. Fin dall’inizio, tuttavia, Kiev non aveva voluto collaborare all’attuazione dell’accordo, considerandolo una vittoria per Mosca. Washington, perseguendo una politica di contenimento della Russia, aveva incoraggiato questo atteggiamento ostruzionistico, mentre Berlino e Parigi, formalmente garanti dell’accordo (insieme alla Russia), non avevano alcuna influenza su Kiev e avevano finito per abbracciare la posizione ucraina.
L’elezione di Vladimir Zelensky alla presidenza dell’Ucraina nel 2019 era inizialmente sembrata un’apertura alla pace e il presidente Putin si era impegnato seriamente a far decollare l’accordo di Minsk. Kiev, tuttavia, aveva presto fatto marcia indietro e assunto una posizione ancora più dura di prima. Ciononostante, fino alla metà del 2021 il Cremlino aveva continuato a considerare come suoi obiettivi in Ucraina la risoluzione della questione del Donbass essenzialmente sulla base degli accordi di Minsk e l’eventuale riconoscimento de facto dello status russo della Crimea. Nel giugno dello scorso anno, tuttavia, Vladimir Putin aveva pubblicato un lungo articolo sulle relazioni russo-ucraine in cui aveva chiarito di considerare l’attuale situazione come un importante problema di sicurezza, politico e identitario per il suo Paese; aveva riconosciuto la propria responsabilità personale e si era detto deciso a fare qualcosa per correggerla strategicamente. L’articolo non svelava il piano di Putin, ma esponeva il suo pensiero di base sull’Ucraina.
Lo scorso dicembre, Mosca aveva trasmesso a Washington un pacchetto di proposte che consisteva in un elenco di garanzie di sicurezza per la Russia. Queste includevano la neutralità formale dell’Ucraina tra la Russia e la NATO (“nessuna Ucraina nella NATO”) e il divieto di dispiegare armi e basi militari statunitensi e di altri Paesi della NATO in Ucraina, nonché il divieto di esercitazioni militari sul territorio ucraino (“nessuna NATO in Ucraina”). Sebbene gli Stati Uniti avessero accettato di discutere alcune questioni tecniche militari trattate nel documento russo, avevano respinto le richieste principali di Mosca relative all’Ucraina e alla NATO. Putin aveva dovuto accettare un no come risposta.
Poco prima del lancio dell’operazione militare, Mosca aveva riconosciuto le due repubbliche del Donbass e ordinato a Kiev di ritirarsi dai settori di Donetsk e Lugansk allora sotto controllo ucraino – o di affrontare le conseguenze. Kiev si era rifiutata ed erano iniziate le ostilità. La ragione ufficiale per cui la Russia era passata all’uso della forza era stata la difesa delle due repubbliche appena riconosciute che avevano chiesto assistenza militare.
Poco dopo l’inizio delle ostilità, la Russia e l’Ucraina avevano avviato colloqui di pace. Alla fine di marzo 2022, in un incontro ad Istanbul, Mosca aveva chiesto al governo di Zelensky di riconoscere la sovranità delle due repubbliche del Donbass all’interno dei loro confini costituzionali, nonché la sovranità della Russia sulla Crimea, formalmente incorporata nella Federazione Russa nel 2014, e di accettare uno status neutrale e smilitarizzato per il territorio controllato da Kiev. A quel punto, Mosca riconosceva ancora le attuali autorità ucraine ed era pronta a trattare direttamente con loro. Da parte sua, Kiev era inizialmente sembrata pronta ad accettare le richieste di Mosca (che erano state criticate da molti all’interno della Russia come eccessivamente favorevoli nei confronti dell’Ucraina), ma poi era rapidamente tornata su posizioni più dure. Mosca ha sempre sospettato che questa inversione di rotta, come in altre occasioni, fosse il risultato dell’influenza dietro le quinte degli Stati Uniti, spesso aiutati dalla Gran Bretagna e da altri alleati.
Dalla primavera del 2022, con il proseguire dei combattimenti, Mosca ha ampliato i suoi obiettivi. Questi includono ora la “de-nazificazione” dell’Ucraina, il che significa non solo la rimozione degli elementi ultranazionalisti e anti-russi dal governo ucraino (sempre più caratterizzato dai funzionari russi come il “regime di Kiev”), ma anche l’estirpazione della loro ideologia di base (che si rifà al collaboratore nazista della Seconda Guerra Mondiale Stepan Bandera) e della loro influenza nella società, compresa l’istruzione, i media, la cultura e altre sfere.
Oltre a questo, Mosca ha aggiunto quella che Putin ha chiamato, nel suo modo caustico, la “de-comunizzazione” dell’Ucraina, ossia privare il Paese, la cui leadership stava rifiutando il suo passato sovietico, dei territori popolati dai Russi o comunque di lingua russa che erano stati assegnati alla Repubblica Sovietica Ucraina (facente parte dell’URSS) dai leader comunisti di Mosca, Vladimir Lenin, Joseph Stalin e Nikita Kruscev. Questi includono, oltre al Donbass, l’intero sud-est dell’Ucraina, da Kharkov a Odessa.
Questo cambiamento di politica ha fato capire che la Russia non avrebbe onorato la statualità dell’Ucraina al di fuori del Donbass ma avrebbe istituito organi di governo militari russi nel territorio sequestrato dalle forze russe. Immediatamente dopo, è iniziato un processo di integrazione de facto di questi territori con Mosca. All’inizio dell’autunno del 2022, tutti gli oblast di Kherson, gran parte di Zaporozhye e parte di quelli di Kharkov sono stati integrati nel sistema economico russo, hanno iniziato a utilizzare il rublo russo, hanno adottato il sistema educativo russo e alla loro popolazione è stata offerta una corsia preferenziale per ottenere la cittadinanza russa.
Quando i combattimenti in Ucraina sono diventati rapidamente una guerra per procura tra la Russia e l’Occidente guidato dagli Stati Uniti, le opinioni della Russia sul futuro dell’Ucraina si sono ulteriormente radicalizzate. Mentre in primavera una rapida cessazione delle ostilità e un accordo di pace alle condizioni russe avrebbero lasciato l’Ucraina, escluso il Donbass, smilitarizzata e fuori dalla NATO, ma comunque sotto l’attuale leadership, con la sua ideologia virulentemente anti-russa e la sua dipendenza dall’Occidente, il nuovo pensiero, come suggeriscono le osservazioni di Putin a Kaliningrad, tende a considerare qualsiasi Stato ucraino che non sia completamente e saldamente ripulito dall’ideologia ultranazionalista e dai suoi agenti come un pericolo vero e proprio; di fatto, una bomba ad orologeria proprio ai confini della Russia, non lontano dalla sua capitale.
In queste circostanze, alla luce di tutte le perdite e le difficoltà subite, non sarebbe sufficiente per la Russia ottenere il controllo di quella che un tempo era conosciuta come Novorossiya, cioè la costa settentrionale del Mar Nero fino alla Transnistria. Ciò significherebbe che l’Ucraina sarebbe completamente tagliata fuori dal mare e la Russia otterrebbe – tramite referendum, si presume – un’ampia fascia di territorio e milioni di nuovi cittadini. Per raggiungere questo obiettivo, naturalmente, le forze russe devono ancora conquistare Nikolaev e Odessa a sud, nonché Kharkov a est. Un passo logico successivo sarebbe quello di espandere il controllo russo a tutta l’Ucraina ad est del fiume Dnieper, nonché alla città di Kiev che si trova per lo più sulla riva destra. Se ciò accadesse, lo Stato ucraino si ridurrebbe alle regioni centrali e occidentali del Paese.
Nessuno di questi risultati, tuttavia, risolve il problema fondamentale evidenziato da Putin, ossia il fatto che la Russia dovrebbe convivere con uno Stato che cercherà costantemente di vendicarsi e che sarà utilizzato, armato e diretto dagli Stati Uniti per minacciare e indebolire la Russia. Questa è la ragione principale alla base dell’argomentazione che sostiene la necessità di conquistare l’intero territorio ucraino fino al confine con la Polonia. Tuttavia, l’integrazione dell’Ucraina centrale e occidentale nella Russia sarebbe estremamente difficile, mentre il tentativo di costruire uno Stato cuscinetto ucraino controllato dalla Russia sarebbe un grande spreco di risorse, oltre che un costante grattacapo. Non c’è da stupirsi che a Mosca non sarebbero affatto dispiaciuti se la Polonia assorbisse l’Ucraina occidentale all’interno di una qualche forma di entità politica comune che, secondo l’intelligence estera russa, si sta comunque creando in modo surrettizio.
Il futuro dell’Ucraina non sarà dettato, ovviamente, dai desideri di qualcuno, ma dagli effettivi sviluppi sul campo di battaglia. I combattimenti continueranno per qualche tempo e l’esito finale non è in vista. Anche quando la fase attiva del conflitto si concluderà, è improbabile che sia seguita da un accordo di pace. Per ragioni diverse, ciascuna parte considera il conflitto come esistenziale e molto più ampio dell’Ucraina. Ciò significa che gli obiettivi della Russia dovranno essere conquistati e poi mantenuti saldamente.
Dmitry Trenin
Fonte: rt.com
Link: https://www.rt.com/russia/562349-moscow-is-aiming-ukraine/
08.09.2022
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org
Dmitry Trenin è professore di ricerca presso la Scuola superiore di economia e ricercatore capo presso l’Istituto di economia mondiale e relazioni internazionali. È anche membro del Consiglio russo per gli affari internazionali.