Di Konrad Nobile per ComeDonChisciotte.org
È fin dai primi giorni della efferata reazione israeliana ai fatti del 7 ottobre che noto un certo fenomeno che definisco di “Netanyahu-izzazione” nella descrizione dell’operato di Israele.
Vi è una tendenza molto diffusa infatti, che riguarda anche certi canali e personaggi “alternativi”, a puntare la lente d’ingrandimento e a concentrare le critiche nei confronti del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.
Probabilmente anche sull’onda della crescente e forte impopolarità, interna ad Israele, al presidente del Likud (ovvero il partito sionista, conservatore e nazionalista, che ha preso la maggioranza dei voti alle elezioni parlamentari del 2022) si è progressivamente accesa una corsa internazionale alla polemica contro “Bibi”, visto da alcuni come il maggior responsabile del 7 ottobre, da altri come uno spregiudicato leader genocida troppo influenzato dalla destra sionista, da altri ancora come il principale ostacolo alla pace tra Israeliani e Palestinesi.
E così, in un crescendo che partendo dal basso va dal grottesco sinistro Fratoianni, che blatera sul processare Netanyahu per crimini di guerra, fino ad arrivare a un’amministrazione statunitense insofferente per le scelte del capo dell’esecutivo di Tel Aviv, con tanto di accese tensioni (narrateci da molte testate giornalistiche -1) tra un irritato Biden e Netanyahu, pare che i vari problemi che stanno infiammando il Medio Oriente possano essere alla fin fine ricondotti ad uno scellerato primo ministro, talmente cinico da giocare con l’allungamento di un conflitto, rendendosi responsabile di migliaia di morti e tensioni internazionali sempre più incandescenti, pur di salvare la sua carriera politica e tutelarsi da beghe giudiziarie.
Ebbene, per quanto Netanyahu sia un individuo criminale e spregevole e per quanto molte critiche a lui rivolte possano essere effettivamente vere, è mia opinione che questa narrazione che viene presentata al pubblico (e che mi pare influenzare anche aree “dissidenti”) sia ingannevole e pericolosa, oltre che intimamente semplicistica. Penso sia tale poiché ritengo che possa finire per assolvere dalle proprie responsabilità altre entità, creando un utile capro espiatorio (che sarebbe appunto il primo ministro israeliano) al quale attribuire tutte le colpe e, se necessario, da “sacrificare” a tempo debito in espiazione collettiva.
Da qualsiasi prospettiva si guardi la questione, mi pare chiaro che né i fatti del 7 ottobre né la gestione della guerra israeliana a Gaza (e non solo) possano essere frutto e responsabilità di una sola persona o di una ristrettissima cricca. Sostenere una simile descrizione o è frutto di ingenuità o di malafede, essendo le cause dei problemi chiaramente ben più profonde e radicali.
Io penso che non ci si possa esimere dal mettere duramente sotto esame tutto l’operato, fin dalle sue origini, dello Stato d’Israele e mettere in discussione la sua stessa esistenza e sussistenza. Uno Stato disegnato e deciso “dall’esterno”, dai salotti diplomatici delle grandi potenze mondiali, e concretamente nato ed affermatosi con un violentissimo sopruso coloniale inflitto ai locali arabi palestinesi, la Nakba del 1948. Uno Stato creato per tutelare e difendere nell’area medio-orientale gli interessi dei “Paesi industrialmente avanzati” (come scrisse Shlomo Gazit, ex capo dell’intelligence militare israeliana) e votato fin dal principio a politiche razziste e discriminatorie.
Forse, oltre a Benjamin Netanyahu e i vari esaltati alla Ben Gvir, sarebbe da mettere in discussione tutto il sistema sionista, di cui Bibi è un coerente prodotto (così come lo sono i folli kahanisti – 2), e mettere in discussione fino alle fondamenta il Jewish State, come suole essere chiamato lo Stato israeliano (3), e chi lo foraggia.
Bisognerebbe altresì prendere atto che tutti i governi di Tel Aviv, siano essi stati di destra, di centro o di sinistra, hanno contribuito al sistema discriminatorio, militarista e oppressivo che caratterizza Israele fin dal suo inizio, accettandolo e perpetrandolo e forse differenziandosi (dentro i confini di tale sistema) solo nelle retoriche e nell’intensità della morsa oppressiva applicata, in particolare sugli arabi palestinesi.
Il sempre più diffuso (4) fenomeno dell’ultradestra di stampo Kahanista (5), che ha generato politici invasati (come Bezalel Smotrich o il già citato Ben Gvir) arrivati persino a ricoprire incarichi di governo e capaci di influenzare le scelte del Paese, è nientemeno che un risultato naturale della propaganda sionista e dell’estremismo di cui si nutre Israele, inculcato fin dall’infanzia nelle menti degli ebrei insediatisi in Palestina (6), nonché delle grandi contraddizioni e tensioni che un’entità statuale e sociale “speciale” come quella israeliana non può non avere.
Per quanto riguarda i fatti recenti, ossia la gestione della guerra a Gaza e alcune scelte perseguite dall’establishment sionista negli ultimi mesi, è verosimile che allo stato attuale esistano delle reali divergenze con il governo americano su alcuni punti, tuttavia è chiaro che gli Stati Uniti non possono che essere considerati complici e corresponsabili del massacro israeliano perpetrato a Gaza, così come di tutte le altre nefandezze commesse dal Jewish State.
Il massiccio rifornimento di armamenti che continua tutt’ora, il supporto politico, diplomatico e finanziario (gli USA donano annualmente fiumi di miliardi di dollari ad Israele – 7) non può essere mascherato e fatto dimenticare usando Netanyahu e la sua linea di governo come scudo. Se gli Stati Uniti volessero potrebbero far cessare i bombardamenti su Gaza all’istante, interrompere i continui rifornimenti di bombe e munizioni alle forze sioniste e tagliare i fondi destinati al loro feudo in Medio Oriente. Ma gli USA NON lo stanno facendo, evidentemente perché NON lo vogliono fare, checché ne dicano i media e i funzionari americani, forse poi non così tanto irritati. Evidentemente, al netto degli approcci usati da Netanyahu, gli interessi di fondo americani e israeliani rimangono comuni, in primis quello di mettere in ginocchio la scomoda resistenza palestinese. Allo stesso modo non si può coprire la complicità e la corresponsabilità di molti altri paesi, dagli Stati occidentali come la Germania o l’Italia (solo due esempi tra i tanti) ad alcuni governi collaborazionisti arabi che, pur abbondando in chiacchiere e dichiarazioni in supporto alla Palestina, nei fatti stanno a guardare di fronte alla disumana mattanza scatenata da Tel Aviv dopo quel 7 ottobre 2023, giornata nella quale le forze della resistenza palestinese hanno sferrato una violenta offensiva, densa di svolte radicali, reagendo così ad una cappa di violenza, ingiustizia ed oppressione che continua a schiacciare il popolo palestinese dal lontano 1948, quando la “catastrofe” diede inizio al vortice di odio e rancore che risucchia tuttora la Palestina e non solo.
Non si dovrebbe dunque, a mio avviso, dar retta alla diffusa e falsa narrazione che vuole “netanyahu-izzare” la guerra in corso a Gaza e le politiche dell’entità sionista. Esse non sono il frutto della volontà e delle trame di un singolo uomo o di una ristrettissima élite di invasati a lui vicina, quanto sono figlie di un sistema terribile ed ingiusto fin dalle sue fondamenta, ossia il “sistema Israele” e il più ampio sistema dell’imperialismo capitalista nel quale lo Stato ebraico si inserisce (per il quale è stato creato, sarebbe meglio dire) e del quale Netanyahu e le sue delinquenziali politiche ne sono sicuramente un criminale tassello, ma non la base.
Uno slogan come “Né con Netanyahu, né con Hamas” che, come informano giustamente disgustati il movimento “Giovani Palestinesi d’Italia” e “l’Unione Democratica Arabo Palestinese”, è stato lanciato persino dal presidente della “comunità palestinese di Roma”, deve essere rigettato immediatamente al mittente. Esso infatti, oltre a equiparare gravemente oppressi ed oppressori, identifica e personifica appunto le azioni di Israele con il solo Netanyahu, evitando così di affrontare la questione radicalmente, come invece andrebbe fatto, mettendo cioè in discussione l’esistenza stessa dello Stato sionista,.
Non si può dimenticare che ciò che accade a Gaza, e ciò che accade in Palestina da decenni, è in primis responsabilità degli interessi geopolitici e capitalistico-imperialistici delle grandi potenze globali (e delle loro multinazionali), dello Stato di Israele, del suo modello politico e sociale e pure della complicità di alcuni attori regionali e non che, per sudditanza e/o interesse, tollerano che il popolo palestinese venga sistematicamente umiliato e schiacciato.
Dire le cose come stanno è assolutamente necessario ed è bene smettere di ossessionarsi con la figura del premier israeliano, per quanto odioso egli sia, e saper vedere le vere responsabilità nella complessa struttura che lo ha generato, che dietro di lui si cela e per il quale egli lavora.
Così, anche qualora tale leviatanica struttura necessiti un giorno di offrire il suo Netanyahu alla gogna mediatica e al “sacrificio” espiatorio (8), per placare l’indignazione di massa per le stragi commesse o per riabilitare l’immagine e la presentabilità di Israele, degli USA e di tutti gli altri vari vassalli complici, ecco che si potrà avere la consapevolezza necessaria per rifiutare tale manovra retorica e aver ben presente l’ampiezza delle responsabilità e la criminalità che si nasconde dietro tutto l’apparato statale sionista e tutta la struttura imperialista globale (nel quale ha il suo ruolo pure l’Italia, come ho sostenuto in un articolo sull’imperialismo tricolore).
Tutto ciò sarebbe bene che venisse compreso anche dalla stessa popolazione israeliana, che ora in massa protesta proprio contro il suo primo ministro ma che, se volesse realizzare un futuro di vera pace e stabilità, dovrebbe unirsi e rivoltarsi contro tutta l’impalcatura classista e discriminatoria del regime sionista, rifiutando di essere una massa di soldatini dell’imperialismo e aprendosi alla popolazione araba e riconoscendogli pari dignità, opportunità e diritti. Ciò è realisticamente inverosimile che accada oggigiorno nell’indottrinato e militarizzato popolo israeliano, sempre se di popolo si può parlare, essendo la cittadinanza israelita una mistura eterogenea risultante da continue migrazioni (che il sionismo incentiva e finanzia al fine di sostenere la crescita demografia interna, che altrimenti sarebbe garantita solo dalle comunità Haredim (9), con non pochi problemi per le finanze e la stabilità nazionali) e fortemente divisa negli interessi, frammentata e gerarchicamente divisa. Tuttavia, almeno questo è quello che credo io e che ho già avuto modo di esprimere in un precedente articolo, questa svolta è l’unica che può permettere agli ebrei che vivono in Palestina di poter aprire un dialogo con i vicini arabi e dare la possibilità di costruire un futuro che possa garantire più pace e serenità per tutti. Un futuro migliore che non può che passare dalla garanzia di piena libertà, diritti e cittadinanza ai Palestinesi, in una Palestina unita e multietnica dove ebrei, musulmani e cristiani possano vivere con eguale rispetto, pari possibilità e senza discriminazioni etniche e religiose.
Queste basi di pace e riconciliazione – che ormai è chiaro possano formarsi solo tramite uno shock rivoluzionario, capace di scardinare gli equilibri anche di alcuni stessi Stati arabi della regione (10) – non sono minate dal solo Netanyahu e, proprio per questo, anche quando alla guida dello Stato ebraico verrà eletto un nuovo figuro – che sia di centro, destra o sinistra sionista poco importa – continuerà e crescerà comunque l’oppressione sui Palestinesi e, in proporzione, crescerà la rabbia, l’odio e la legittima necessità di reazione degli oppressi.
È bene quindi non farsi influenzare troppo da questo processo, che vede nella narrazione del conflitto i riflettori puntati su Netanyahu, onde evitare che i molti altri responsabili dei crimini che sentiamo e vediamo giungere dalla Palestina possano essere assolti e scaricati dalle loro colpe. Ad avere le mani sporche di sangue sono in tanti, c’è un intero sistema, ed esso e tutti i suoi complici dovranno renderne conto e pagarne le conseguenze.
A chi insiste con il subdolo slogan “Né con Netanyahu, né con Hamas” si replichi con “Né con Israele, né con i suoi fautori e collaboratori tutti!”.
Di Konrad Nobile per ComeDonChisciotte.org
26.01.2024
Konrad Nobile è un giovane studente, al tempo attivo nel movimento Contro Il Green Pass e membro della rete Studenti Contro Il Green Pass. Ora continua la sua militanza in alcune delle realtà giovanili reduci del movimento.
NOTE
https://www.ilpost.it/2023/12/15/atteggiamento-stati-uniti-israele-duerra/
https://www.repubblica.it/esteri/2023/12/13/news/gaza_biden_scontro_netanyahu_bombardamenti-421640739/
2 Il Kahanismo è un movimento fondamentalista ebraico-sionista che ha tra i suoi obiettivi la ricostituzione del Grande Israele (ossia Israele entro i confini dell’antico regno biblico) sotto forma di uno Stato teocratico e totalmente ebraico.
3 sul quale così si espresse Israel Shahak, accademico e intellettuale liberale israeliano, sopravissuto al campo di concentramento di Bergen-Belsen: “Se non si mette in discussione il prevalente atteggiamento ebraico nei confronti dei non ebrei, non è dato capire neppure il concetto stesso di “stato ebraico” (Jewish State), come Israele preferisce definirsi… Fin dalla sua fondazione, il concetto che il nuovo Stato d’Israele era uno “stato ebraico” fu ribadito da tutta la classe politica ed inculcato nella popolazione con ogni mezzo. Nel 1985, quando una piccola minoranza di ebrei cittadini di Israele contestò questo concetto, il Knesset approvò a stragrande maggioranza una legge costituzionale che (…) stabilì che i partiti che si oppongono al principio dello “stato ebraico”, o propongono di modificarlo per via democratica, non possono presentare candidati da eleggere al Parlamento… Israele è uno stato fondato sull’apartheid…”.
4 l’estrema destra israeliana, tra “Partito Sionista Religioso” e “Otzma Yehudit”, ha guadagnato ben 13 seggi alle parlamentari del 2022, rappresentando la terza forza politica israeliana, dopo il “Likud” nazionalista di Netanyahu e il partito sionista centrista “Yesh Atid”
5 Che negli ultimi tempi delira sulla venuta del Messia ebraico e sulla necessità di una attuale ricostruzione del tempio di Gerusalemme (il ché richiederebbe la distruzione della Moschea di Al-Aqsa, terzo luogo sacro per la religione islamica). Sul tema consiglio la lettura di un breve ma interessante articolo di Ilan Pappé: https://nena-news.it/la-distruzione-di-al-aqsa-non-e-una-teoria-cospirativa/
6 https://www.youtube.com/watch?v=BrxTpo36h_4
https://www.tpi.it/esteri/mappa-soldi-dati-dagli-usa-2017122880929/
https://ilmanifesto.it/israele-ricevera-aiuti-militari-usa-per-decine-di-miliardi-di-dollari
8 che nel caso di Benjamin potrebbe tradursi nella fine della sua carriera e in qualche condanna, nazionale ed internazionale, come auspicato dalla nullità-Fratoianni
9 Gli Haredim sono gli aderenti ad una forma conservatrice dell’ebraismo ultraortodosso. Essi sono talvolta definiti come gli ebrei “ultraortodossi”. La comunità Haredim conta più di un milione di persone nella sola Israele e ha un fortissimo tasso di crescita demografica. Una componente minoritaria degli Haredim, i Neturei Karta (che vanta una presenza considerevole a Gerusalemme), è antisionista, filopalestinese e si rifiuta di riconoscere la legittimità dell’esistenza dello Stato d’Israele.
10 Regimi come quello giordano, egiziano, e soprattutto saudita e dei vari emirati del Golfo sono infatti complici e soci “dell’ordine” garantito da Israele, con il quale vogliono normalizzare i rapporti. L’offensiva del 7 ottobre ha sabotato proprio tale processo di normalizzazione.