Riceviamo e pubblichiamo da Fabrizio Bertolami
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35 anni fa cadeva il Muro di Berlino, simbolo della divisione tra l’ovest capitalista e l’est comunista. Qualche anno dopo finì definitivamente anche l’Unione Sovietica.
Oltre Settant’anni di rivalità tra due blocchi che erano diversi in tutto ed in tutto contrapposti terminava e lasciava un solo sistema di valori vincitore sul campo:il modello occidentale.
Capitalista,progressista,per lo più cristiano e democratico; in Europa abbiamo vissuto in questo sistema per molta parte della nostra vita ormai, e le generazioni che definiamo “giovani” non hanno conosciuto che questo.
In questi trent’anni quasi ogni indicatore è cresciuto,perchè indipendentemente dai crolli di borsa o dalle crisi economiche , oggi stiamo meglio in tutti gli ambiti della nostra esistenza rispetto al periodo anteguerra.L’aspettativa di vita si sta alzando a livello globale, mangiamo di più, anzi troppo, vi sono più automobili e le nostre case sono piene di apparecchi elettronici che trent’anni fa ,ma anche solo dieci, non esistevano o erano agli albori.
Va tutto bene allora? No di certo.
La fine dell’URSS ha messo fine ad una alternativa che era Sociale,Politica ed Economica insieme.
Gli ideali che si stavano spegnendo avevano orientato l’azione degli Uomini per centocinquant’anni.Valori,abitudini, comportamenti e logiche che avevano dettato gli orientamenti di tante persone, ad un tratto non servivano più, anzi divenivano disfunzionali.
Quelle dottrine avevano impedito al capitalismo ultra liberale degli anni venti di divenire un Moloch planetario imponendo però al mondo un freno alle possibilità espressive dell’umanità;in un piano quinquennale c’è davvero pochissimo spazio per i colpi di genio e le virate gestionali a cui ci hanno abituato persone come Elon Musk o lo scomparso Steve Jobs.
In Europa, Italia a parte,i principali partiti comunisti sono svaniti entro pochi anni dalla fine dell’URSS e ciò ha lasciato spazio ad un’unica ottica, un’unica, possibile, ottica per tutti i sistemi politici. La presa dei concetti propri della sinistra in tutti i paesi si è affievolita ed il mercatismo è divenuto padrone della scena poiltica.
Tutto per il mercato, tutto attraverso il mercato.
Il liberismo di stampo anglosassone fatto di Stato ridotto al minimo e mercati liberalizzati è diventato presto l’unico fine di tutti i sistemi politici occidentali ormai liberi dalle dicotomie Mercato/Comunità, Capitalismo/Economia Pianificata imposte dall’ingombrante presenza ideologica di Mosca.
In questa situazione la Politica si è trovata a dover svolgere esclusivamente un opera di amministrazione e risoluzione delle istanze portate dal Mercato. Tutto dal Mercato, Tutto per il Mercato.La Società, in questo processo, si è dovuta adattare.
L’idea comunista, fortunatamente, è morta di asfissia in quanto irrealizzabile senza una coercizione dittatoriale capace di imporne i dogmi a individui che tendono per natura alla ricerca di una affermazione personale.
Il rischio è che morta l’idea massimalista, possa sparire dall’orizzonte politico anche una concezione socialista della politica e della società.
A chiunque non sia milionario, è chiaro che una società senza un fondamento di solidarietà,senza un senso di condivisione dei beni comuni e necessari, senza alcun meccanismi di sostegno per chi momentaneamente si trova in difficoltà, diventa un’arena di lotta egoistica e cinica. Questo tipo di società è stato il modello in auge prima della crisi del ’29, allorchè in Europa ed in America (il New Deal di Roosevelt è stato un socialismo light in salsa americana) i governi dell’epoca hanno dovuto fronteggiare la minaccia di enormi masse proletarie impoverite, arrabbiate e pronte a seguire le sirene marxiste minando i sistemi aristocratico-liberali dell’epoca.
Le privatizzazioni, le liberalizzazioni di interi comparti economici,la spinta decisa sulla competizione e sull’export,ci hanno in parte riportato a quei tempi e hanno determinato un clima nuovo e nuovi rapporti sociali.
L’ottica cliente-fornitore è divenuta abituale ,una forma mentis necessaria ad interpretare i nuovi fenomeni sociali.
Facciamo un esempio:
Se una grande azienda ,prima di proprietà dello Stato viene venduta in una fase di privatizzazioni,a grandi fondi transnazionali che mirano al massimo profitto ,potremo immaginare che questi spezzetteranno la società,chiuderanno i reparti improduttivi,estrometteranno personale delocalizzando alcune linee e terziarizzando lavorazioni interne tramite lo spin-off di rami d’azienda che andranno a formare nuove, piccole e medie imprese.
Nel giro di pochissimi anni,la realtà sociale dei cittadini lavoratori di quella azienda cambia radicalmente;ora sono parte di un processo economico, prima tutto interno all’azienda , che è anche in parte esterno e coinvolge altri operatori economici.Il rapporto con il lavoro si modifica e con esso lo stile di vita.
E’ l’intera società che ormai vive in un’ottica di interdipendenza funzionale sempre più stretta e complessa. In questi trent’anni sono cambiati gli imperativi che guidano le nostre azioni,le nostre chiavi interpretative,le nostre aspettative.
Siamo cambiati noi. L’ottica è sempre più di breve periodo ,nuove necessità nascono da stimoli sempre più intensi.
Le mode si succedono sempre più rapide e influenzano sempre più le abitudini.L’esistenza è divenuta quotidianità.
Manca un fine.
La crisi economica nella misura in cui l’economia si è sostituita alla politica come mezzo per la realizzazione delle nostre aspirazioni è anche crisi esistenziale. Ma l’economia non ha altri fini che la continuazione di se stessa,non può proporre traguardi ideali che possano portare un individuo a crearsi un orizzonte d’azione che non sia meramente lavorativo.
Più lavori più guadagni. Più lavori,meno tempo hai per tutto il resto.
La politica invece ha uno spettro più ampio,coinvolge molteplici aspetti dell’intera nostra vita,deve avere un orizzonte stabile per fornire una cornice anch’essa stabile all’esistenza degli individui. Nascere,Crescere,avere dei figli,morire dignitosamente non sono fini ultimi dell’economia, sia essa industriale o finanziaria, ma devono esserlo per la Politica che è fatta dagli uomini per gli uomini e non dai numeri per il profitto.
Se lasciamo che la politica sia indotta nelle sue scelte solamente da principi di natura economica senza che siano chiari i fini socialmente espressi ed i valori che supporteranno l’azione,allora avremo vinto la battaglia contro i Piani Quinquennali per perdere la guerra contro le Relazioni Trimestrali.
09.11.2024