«L’epidemia ha la stessa aggressione che ha in Italia, ma qui la precarietà, la disuguaglianza e il fallimento del sistema sanitario ci portano a limiti eclatanti». Sono le parole di un amico ecuadoriano nel raccontarmi la diffusione, ogni giorno più importante, dell’epidemia nel suo paese.
Da oltre una settimana, infatti, Guayaquil non è più solo il motore economico dell’Ecuador ma è diventata purtroppo anche l’epicentro dell’epidemia di coronavirus del paese. Il primo caso, importato dalla Spagna, è stato registrato proprio qui e oggi, a due settimane dall’inizio dell’isolamento sociale e dal coprifuoco notturno, oltre il 60% dei casi registrati in tutto il paese – oltre 3000 al momento – sono proprio nella provincia di Guayas di cui Guayaquil è la capitale.
Le immagini che arrivano da Guayaquil in questi giorni d’altra parte sono terribili: in una città deserta a causa della quarantena e del coprifuoco notturno decretato dal presidente Lenín Moreno per prevenire la diffusione del coronavirus, sono decine le foto e i video postati sui social di corpi abbandonati nelle strade o le denunce di familiari che attendono da giorni che qualcuno venga a prendere il proprio congiunto deceduto in casa.
Scene, immagini e storie che decidiamo di non pubblicare per rispetto delle persone che hanno perso la vita e per chi, in una situazione drammatica come questa non solo non può salutare i propri congiunti con dignità, ma è anche costretto a subire la violenza di doversi disfare del corpo di una persona amata in questo modo per preservare la vita di chi è rimasto.
Secondo quanto riportato dal quotidiano El Universo martedì scorso, sarebbero state oltre 450 le richieste pervenute alle autorità di recupero dei corpi di persone morte in casa, alcuni dei quali abbandonati in strada dopo qualche giorno a causa dell’impossibilità di tenerli in casa per l’inizio del processo di decomposizione. Sempre El Universo riporta che «dal 23 marzo il Registro Civile ha rilasciato il triplo dei certificati di morte che rilascia regolarmente, di solito tra i 30 e i 40 al giorno».
Alcuni residenti, per protesta, hanno anche minacciato di cremare i corpi in strada se le autorità non fossero intervenute in soccorso. La paura di molti infatti è anche quella di contagiarsi: le testimonianze dirette riportano come moltissimi deceduti hanno avuto complicanze respiratorie, tosse e altri sintomi assimilabili al coronavirus ma non sono mai stati testati o i test non sono mai arrivati. Così, il numero ufficiale dei morti per coronavirus potrebbe essere di molto superiore a quello ufficiale trasmesso dagli organi di governo.
L’esplosione dell’emergenza dovuta al collasso delle strutture sanitarie colpite da continui tagli al bilancio e delle conseguenti proteste dei cittadini ha infine messo in moto la macchina delle istituzioni che lentamente sono corse ai ripari e, anche grazie all’intervento delle forze armate, sono riuscite nel giro di alcuni giorni a riportare apparentemente la situazione sotto controllo.
Apparentemente, perché la situazione potrebbe peggiorare nuovamente nei prossimi giorni. Questa vicenda infatti ha messo in luce quello che si temeva e che anche il presidente stesso ha ammesso, ovvero che i dati ufficiali sono al ribasso rispetto alla reale diffusione dei contagi: a Guayaquil la situazione potrebbe essere già sfuggita di mano e i risultati delle restrizioni blande potrebbero venire alla luce nei prossimi giorni rischiando di far diventare la città la Wuhan o la Lombardia del paese, provocando una catastrofe umanitaria drammatica.
Janet, militante del “Movimiento Guevarista Tierra y Libertad” di Quito ci conferma le drammatiche ore che tutto il paese sta vivendo: «la verità è che qui la situazione sanitaria è collassata, specialmente in Guayaquil, dove negli ultimi giorni è esplosa questa grave situazione per cui gli abitanti sono costretti a tenere in casa i propri morti, anche per cinque giorni. Per la disperazione hanno cominciato a cremarli nelle strade o, chi può, a seppellirli nei terreni vicini, perché non c’è alternativa. Guayaquil è una grande città sulla costa e il caldo è già molto forte, le temperature in questi giorni oscillano tra i 30 e i 34 gradi, questo significa che la decomposizione dei corpi è molto più rapida e per tanto l’odore è terribile. Ma più terribile è lo shock emozionale che stanno vivendo queste persone che oltre alla perdita del proprio caro sono costrette a convivere con il corpo in putrefazione senza potergli dare una cristiana sepoltura come direbbero i cristiani. Tutto questo è terribile.
Su Guayaquil però c’è da aggiungere una cosa importante: per decenni è stata governata dall’estrema destra, dai gruppi più rappresentativi della borghesia del paese, quelli che economicamente sono i padroni del paese. Sono i “cristiano sociali”, quelli che ora si fanno chiamare “madera de guerrero”. Come dicevo hanno governato per decenni e ora che è in atto questa crisi tremenda loro sono scomparsi. Loro che sono stati sindaci, prefetti, che hanno avuto ruoli di comando, non hanno le capacità di governare una situazione come questa. Quello che hanno fatto in questa crisi è stato scomparire e nient’altro. E sono scomparsi perché non gli interessa la sofferenza della popolazione perché, c’è un’altra cosa da sottolineare: la gente che sta morendo è gente povera, che vive nei barrios popolari, la borghesia non sta morendo, è qui che si vede la differenza di classe in questa crisi.
Nel resto del paese ci sono molti meno casi, a parte il Pichincha, la regione della capitale Quito dove ce ne sono di più, ma ovunque il sistema sanitario è collassato per vari motivi. Innanzitutto per lo smantellamento progressivo della sanità pubblica avvenuto negli ultimi anni. Inoltre in queste settimane il governo di Lenín Moreno ha privilegiato il pagamento dei debiti esteri per 320 milioni di dollari invece di destinare questi soldi all’emergenza. Abbiamo infine anche un grande problema di corruzione. Oltre al servizio di sanità pubblica, in Ecuador i lavoratori sono affiliati a un’assicurazione sociale, l’IESS che tra l’altro il governo sta cercando di privatizzare. Nei giorni scorsi, il suo presidente è stato scoperto mentre cercava di comprare mascherine di protezione al triplo del costo normale. E il governo centrale invece di chiedere subito la rinuncia del presidente, si è voltato dall’altra parte, vale a dire lo ha protetto, perché sono tutti sulla stessa barca.
Qui in Ecuador la crisi è governata da gente incapace e questo ci deve far riflettere su cosa possiamo fare. Io credo che dobbiamo sollevarci, la soluzione non può essere cambiare governo perché cambieranno i nomi ma rimarranno gli stessi di sempre. L’unica soluzione è cambiare il sistema, che è un processo lungo, ma è anche l’unica strada».