È un sorriso amaro quello di Gustavo Petro subito dopo la pubblicazione dei risultati delle elezioni presidenziali: la sinistra è in testa per la prima volta, ma non ha vinto e ora dovrà attendere l’esito del ballottaggio del prossimo 19 giugno. Il secondo turno era uno scenario prevedibile, ma a complicarlo è il nome del contendente, l’outsider populista Rodolfo Hernandez, definito il Trump colombiano, capace di sconfiggere i partiti tradizionali e l’uribismo e di presentarsi come alternativa al degrado della politica colombiana.
Il binomio Gustavo Petro e Francia Marquez, ha ottenuto il 40,32% di preferenze, seguiti da Hernandez e Castillo che hanno ottenuto il 28,15%, Gutierrez e Lara, alfieri dell’uribismo, con il 23,91% e da Fajardo e Murillo, leader di una coalizione di centro destra, con il 4,20%. Ma è in termini di voti che si capisce il grande risultato ottenuto dal binomio progressista del Pacto Histórico: sono oltre otto milioni e cinquecentomila i voti raccolti in questa tornata elettorale, quasi il doppio di quelli ottenuti da Petro al primo turno del 2018 e superiori anche agli otto milioni del ballottaggio sempre del 2018 in cui era stato sconfitto dall’attuale presidente Ivan Duque.
Un risultato sicuramente storico se si pensa alla storia elettorale del Paese, da sempre in mano alle élite politiche ed economiche conservatrici di destra. Un risultato ancora più sorprendente se si pensa al clima politico e sociale incandescente negli ultimi mesi, con un genocidio sociale in atto nei confronti di attivisti, difensori dell’ambiente e popolazione, con una criminalizzazione e stigmatizzazione crescente nei confronti delle opposizioni sociali e politiche che nell’ultimo anno hanno fatto tremare il governo per la forza espressa nelle piazze. Con una povertà estrema promossa da oltre trent’anni di politiche neoliberali e acuita dalla pandemia, che costringe metà della popolazione a vivere con meno di tre euro al giorno.
Votare per Petro in questo clima infuocato non è stato dunque un semplice esercizio di democrazia, ma una presa di coscienza della necessità di cambiamento, radicale, considerando le possibili conseguenze anche letali soprattutto in zone controllate dai gruppi armati, paramilitari e statali.
Per tutti questi motivi, la vittoria di Petro e Marquez fa ben sperare, tuttavia, elettoralmente parlando, il futuro è tutt’altro che roseo, nonostante gli oltre due milioni e mezzo di voti che separano gli sfidanti: la sensazione, infatti, è che il Pacto Histórico abbia esaurito il suo bacino elettorale, mentre per lo sfidante Rodolfo Hernandez si aprono numerose possibilità di incrementare il suo bottino di voti.
Lo sconfitto della giornata, l’ex sindaco di Medellín Federico Gutierrez non ha perso tempo e ha già annunciato l’appoggio a Hernandez per il secondo turno, portando in dote quanto, ipoteticamente, potrebbe bastare per “scongiurare il pericolo comunista”, ovvero gli oltre cinque milioni di voti raccolti al primo turno.
Come detto in apertura, Rodolfo Hernandez è un outsider della politica, un populista che ha impostato tutta la campagna elettorale sulla lotta alla corruzione, nonostante su di lui pendano alcuni giudizi proprio relativi ad atti di corruzione, e sul presentarsi come alternativa alla vecchia politica, anche se, come sottolineato dal giornalista indipendente Victor de Currea Lugo rappresenta perfettamente l’uribismo che dice di voler combattere.
È quasi certo dunque che tutte le facce della destra colombiana si stringeranno attorno a Hernandez riducendo di molto le possibilità teoriche di Petro di poter vincere al ballottaggio. Unico possibile alleato di Petro potrebbe essere la percentuale di votanti: se dovesse confermarsi quella del primo turno, attorno al 55% e in linea con le precedenti elezioni, sono poche le speranze di vederlo vincere, viceversa, dovesse verificarsi un’affluenza maggiore, le possibilità di Petro di arrivare alla vittoria potrebbero essere più concrete.
Al di là del mero risultato elettorale in sé, tuttavia, alcune considerazioni sono da fare. Innanzitutto, quello espresso domenica è evidentemente un voto che rompe con l’uribismo solo a livello formale. Sembrerebbe inoltre un voto che aspira a riprendere il cammino della pace ma il paradosso, come sostiene Federico Larsen, è che Hernandez ha vinto proprio in quei dipartimenti dove nel 2016 ha vinto il No al referendum per la pace e dove è più alta la conflittualità tra gruppi armati.
La seconda considerazione riguarda invece il Pacto Histórico: determinante in questo risultato che comunque è storico, è stata la sollevazione popolare dell’ultimo anno, una sollevazione durata tre mesi che è stata una presa di coscienza collettiva sulla necessità di avviare percorsi dal basso capaci di determinare cambiamenti veri e radicali. Non è infatti un caso che ad accompagnare Gustavo Petro sia una militante femminista afrodiscendente, Francia Marquez, una donna da sempre impegnata nella difesa dei diritti delle minoranze. Questo capitale umano, politico, di lotta, è un tesoro che, vada come vada, sarà fondamentale per orientare azioni governative per los de abajo.
La terza considerazione riguarda il futuro governo: anche qui purtroppo le aspettative non sono rosee. Dovesse vincere Petro, si troverebbe certamente a dover negoziare dal momento che alle recenti elezioni del Congresso, nonostante un ottimo risultato non ha ottenuto la maggioranza assoluta. Da parte sua la lista che sostiene Hernandez non ha partecipato alle elezioni per il Congresso, pertanto un ipotetico suo mandato si poggerebbe per forza di cose, sulla forza politica di quegli stessi partiti politici di destra dai quali a parole si è smarcato.
Da questa prospettiva parte quindi la seconda parte della campagna elettorale, nella speranza che questa coscienza collettiva esplosa con l’estallido social si diffonda il più possibile perché «el pueblo que no conoce su historia está condenado a repetirla».