Essere pacifisti, oggi, vuol dire condannare anche la NATO e l’attuale modello di sviluppo economico capitalista

sbagliato e fazioso demonizzare la Russia ed etichettare Putin come unico aggressore e responsabile di questo conflitto nel cuore dell’Europa. Per comprendere quello che sta accadendo in Ucraina in questi giorni, è doveroso ripercorrere la storia degli ultimi decenni e gli accordi diplomatici, dalla caduta dell’URSS, passando per la rivoluzione ucraina dell’Euromaidan, fino ad arrivare agli accordi di Minsk e alla loro violazione.

La narrazione dei media mainstream occidentali ci mostra come Putin sia l’unico aggressore folle responsabile di questo scenario bellico.

Ma ciò è tremendamente sbagliato e controproducente e bisognerebbe fare un po’ di autocritica politica e morale se si vogliono davvero comprendere i motivi che hanno scatenato questo conflitto per poterne così scongiurare anche altri futuri. Se si è per la pace, innanzitutto, si è contro anche alla NATO!

Gli Stati Uniti, l’Occidente e la NATO hanno le loro responsabilità in questi anni in cui la guerra in Ucraina, iniziata nel 2013, seppur silente e di basso profilo, ha causato migliaia di morti ed oltre un milione di profughi nelle regioni separatiste del Donbass.

Le strategie che entrambe le fazioni (Stati Uniti e NATO da una parte e Russia dall’altra) stanno utilizzando, rispecchiano le logiche delle “sfere di influenza” che hanno caratterizzato la seconda metà del ‘900.

Con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, il governo USA aveva vinto il confronto/scontro con il socialismo reale e cominciò a costruire la propria egemonia militare, politica ed economica tramite i processi di globalizzazione e di apertura dei mercati, e tramite l’interventismo e l’espansionismo della NATO, mascherati e giustificati come azioni di democratizzazione e di pace.

Ma con la fine dell’Unione Sovietica e del socialismo, e con la pretesa egemonica dettata dagli Stati Uniti, non si andò verso la fine della storia, come ci indicò il politologo Francis Fukuyama, ma al contrario si solcò una frattura profonda di cui da qualche anno si iniziano a vedere i risvolti e le conseguenze.

Infatti, la globalizzazione, intesa come globalizzazione politica, economica e culturale, si basa sull’idea pretenziosa dell’Occidente di dover universalizzare ed esportare (anche con le armi) la propria visione del mondo, fondata sul capitalismo neoliberista, che viene intesa come l’unica capace di poter garantire progresso all’umanità.

Il problema è che i processi di globalizzazione e di universalizzazione della cultura occidentale producono un’altra tendenza, quella alla frammentazione, innescando reazioni che vanno dal separatismo indipendentista alla chiusura identitaria nazionalista.
Questi scenari di frammentazione e di tensione vengono alimentati ed utilizzati come “campi di battaglia” sia dall’imperialismo statunitense sia da quello russo per poter raggiungere i propri obiettivi.

È un dato di fatto che la NATO, dopo la caduta dell’URSS, si sia espansa verso Est, inglobando Polonia, Paesi Baltici, Bulgaria, Ungheria, Repubblica Ceca e quindi arrivando a minacciare direttamente i confini della Russia con basi militari e sistemi missilistici a medio-lungo raggio, violando, secondo Putin, gli accordi informali volti a mantenere la pace nell’Europa orientale, presi dall’ultimo leader sovietico, Mikhail Gorbachev, con i negoziatori europei e statunitensi.

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