Etica e morale, fra materialismo, religione e fede

Di Tiziano Tanari per ComeDonChisciotte.org

Ero ancora poco più che bambino quando mia madre un giorno mi disse la fatidica frase: “Fai bene e ti troverai bene”; quella frase è diventata la stella cometa della mia vita e, da allora, il mio desiderio è diventato quello di “sentirmi bene”, ovvero, di sentirmi a posto con la mia coscienza. Da quel giorno, ogni mia scelta, ogni mia azione, doveva necessariamente orientarsi, volta per volta, verso quella che io ritenevo la “scelta giusta”. È necessario chiarirne il significato: la scelta giusta è quella che è giusta per tutti, non lede nessuno, è in armonia con l’universo che ci circonda. Questa esigenza nasceva decisamente da un’educazione cattolica che però mi aveva, sorprendentemente, sviluppato quella spiritualità interiore in embrione che mi faceva sentire la necessità di valori trascendenti, di un “principio ordinatore” superiore verso il quale tendere e da cui farsi guidare; le semplici norme religiose non rappresentavano un riferimento affidabile, non mi aiutavano a trovare la strada giusta. Questo rapporto si può immaginare possibile solo nella nostra struttura interiore, empatica, a cui la ragione può solo avvicinarci. La ragione ha un ruolo complementare importante poiché ci pone il problema dell’esistenza e, seguendo semplici processi logici, ci porta alla necessità di sperimentare la nostra esistenza secondo quei valori umani senza i quali non è possibile concepire una vita di senso, di relazioni e di comunità civili. Perchè è così importante, direi vitale, comprendere la possibile natura dell’etica? Perchè se non riconosciamo in essa il valore fondante della vita, non rimane che un’esistenza vuota preda del nichilismo che, per alcuni (molti), si trasforma in edonismo sfrenato o delirio di onnipotenza in cui non c’è più posto per altruismo, compassione, amore ma solo naturale istinto di potere, egoismo,  prevaricazione e violenza.

Per meglio comprendere la logica che può giustificare la consistenza dell’etica, intesa come “energia reale che agisce”, possiamo rifarci ad un esempio già espresso in un precedente articolo (1) che qui riportiamo.

“In questo periodo di grandi conflitti, sociali economici e culturali, è importante e necessario richiamare l’attenzione sul concetto fondamentale della natura dell’etica intesa come punto di riferimento primario e imprescindibile: dove nasce, come si forma, ma soprattutto che cosa gli può dare un senso logico.

L’ultimo punto è il più importante, il più immediato e, forse, il più facilmente risolvibile, niente dogmi, valutazioni religiose o moralistiche, né tanto meno scientifiche, solo logica.

Alcuni anni fa, su un quotidiano nazionale, apparve un articolo che titolava:

“Può esistere un etica senza Dio?”; questa domanda sintetizzava, forse, il concetto fondamentale sul significato e sul senso della vita.

I valori possono esistere “in natura” come energia reale (il grande Adriano Olivetti le definiva “energie spirituali”) che orienta e spinge in una sempre maggiore e più elevata organizzazione (evoluzione) che tende verso l’armonia (e quindi verso Dio), oppure possono avere solo un valore relativo costruito dagli uomini, funzionale solo a una buona convivenza e alla sopravvivenza della specie.

In questo caso, li definirei relativi poiché diverse e svariate sono le culture con i loro rispettivi valori: non c’è un comune denominatore veramente aggregante, né tanto meno lo sono le religioni che con le loro “verità” di fede creano più elementi di conflitto che di unione in quanto, pare, che le “rivelazioni” siano state più di una e non proprio concordanti.

Trovo logica, a questo punto, la necessità di valutare il problema dagli unici due punti di vista possibili: da credente (persona di fede, in senso generale) o da ateo (laico sarebbe in questo caso termine improprio).

E’ importante questa distinzione in quanto ci pone da due punti di vista diversi e antitetici e ci permette di comprendere se, e in quale delle due visioni, l’etica trova una sua logica giustificazione.

Poniamo un esempio semplice: una persona camminando di sera in una strada deserta vede una grossa borsa a terra, la raccoglie e vi trova molto denaro con i documenti del proprietario. Si impone una scelta: applicare, o no, il valore dell’onestà e quindi della giustizia.

Valutiamo ora la risposta dai due punti di vista. Premessa: la strada era buia e deserta e la persona ha la certezza di non essere vista e, quindi, di non dover rendere conto a nessuno, soltanto a se stesso.

Punto di vista del credente: trovo logico che la persona restituisca i soldi, poiché il non farlo lo allontanerebbe dalla sorgente di verità e giustizia che rappresenta la vera essenza della vita, il legame “armonico” con la trascendenza; rifiutare i valori vuol dire rifiutare di partecipare alla “vera” vita. Quindi meglio rimanere in “armonia” con Dio che andarsi a spendere qualche decina di migliaia di euro in futili e caduche cose materiali (non parlo, in questo caso, di timore di Dio, paura dell’inferno, ecc., parlo di essere in armonia con Dio).

Punto di vista dell’ateo: trovo logico……che se li tenga; non vedo un motivo plausibile che imponga di rinunciare a tanti soldi che potrebbero migliorare la qualità della sua vita, e’ la sola che ha e, per lui, è l’unica che conta.

Conclusione: senza un legame a una realtà superiore o altro rispetto a questa vita, i valori non trovano in sé una logica intrinseca che li giustifichi.

Secondo questo ragionamento, se condiviso, una persona profondamente etica, o possiede una fede in un Dio che la giustifichi o, se coerente, dovrebbe abbandonare i suoi valori come ideale di vita e seguire una logica esclusivamente utilitaristica e, quindi, egoistica. Sono, come tanti, una persona “in ricerca”, ma credo che una vita senza valori sia inaccettabile e che i valori medesimi non possano avere senso se scollegati a un “principio ordinatore superiore che agisce”, inteso come manifestazione tangibile di un Dio trascendente”.

Potremmo concludere che “non può esistere un’etica senza Dio” poichè solo attraverso questa relazione è possibile concepire i valori universali come espressione di una realtà superiore che ne costituisca la sorgente e le infonda quell’energia vitale che “opera” secondo un “principio ordinatore”. Il Logos è questo: il Pensiero che crea, secondo una logica prestabilita, coerente con un solo valore supremo che non può che tendere all’Armonia; è solo quando si opera in armonia con il mondo che ci circonda che capiamo il significato del concetta di “scelta giusta”, di ciò che è buono e, se è buono, lo deve essere per tutti come Kant ci insegna (2). Questo processo è magistralmente espresso nei Vangeli in cui viene spiegato che l’energia vitale creatrice, lo Spirito Santo, se accolta nell’animo umano, lo plasma e lo eleva verso il bene. Questa è la testimonianza insuperabile che ci viene trasmessa dalla figura di Gesù: è la sua umanità perfetta che lo eleva alla condizione divina del Padre. E’ importante qui sottolineare la differenza fra fede e religione: la prima è un sentimento interiore che ti porta a credere con fiducia a un Dio universale con il quale si ha un contatto dinamico ma diretto; la religione si basa esclusivamente sul rispetto di dogmi praticamente tutti indimostrabili ma che bisogna accettare ciecamente.

In molti pensano che non sia più proponibile ritenere che norme religiose create dagli uomini, peraltro completamente diverse e in contrasto fra loro, possano rappresentare un punto di riferimento valido e certo in un percorso esistenziale così complesso. Le religioni, che, anche oggi come in passato, sono più fonte di divisioni e alibi per i peggiori crimini (al grido di: “è Dio che lo vuole”), devono raccogliersi in un percorso comune che sappia sviluppare quella spiritualità che oggi vediamo sempre meno presente nella società moderna ma che rappresenta la dimensione ultima e più elevata dove l’anima si può realizzare. È necessario che rinasca quella sensibilità umana verso l’altro, verso l’intera condizione umana, senza la quale non si può costruire una società civile. È il sentimento di compassione che spinge all’indignazione verso le ingiustizie; è il sentimento di giustizia che ci rende refrattari all’egoismo e alla prevaricazione; è il sentimento di pietà che ci impedisce di commettere violenze e ci orienta all’altruismo.  Il comune denominatore di una personalità etica è il SENTIMENTO, non le regole o le imposizioni, né tantomeno i dogmi. Questo dovrebbe essere l’obiettivo fondamentale della religione: contribuire a creare un animo sensibile a quei valori umani i quali possono essere giustificati solo da una Sorgente Trascendente che però, se esiste, noi non conosciamo; abbiamo avuto tante testimonianze, informazioni, teorie ma nessuna inconfutabile. Nessuno di noi ha avuto una rivelazione diretta, solo informazioni riportate nei secoli e, spesso, non sappiamo neanche da chi. Ora sorge spontanea una riflessione: oggi, 2000 anni d.C., abbiamo un livello di informazione totalmente corrotto; i potenti del mondo hanno monopolizzato i media e li utilizzano come il più potente strumento di manipolazione di massa; siamo sicuri che, anche nei secoli passati, la storia non sia stata orientata verso false realtà funzionali al potere? A questo punto, credo che a qualsiasi persona di buonsenso, e dotata di un po’ di logica, non rimanga che……affidarsi a Dio. Ma in che modo e dove possiamo cercare un rapporto diretto con Dio? Sicuramente solo sul piano interiore, nel nostro intimo, perché con la sola ragione non possiamo che rimanere immobili davanti al mistero. I Vangeli ce lo raccontano come una verità: “O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi?” (1Cor 6,19). A questo punto, l’unica dimensione in cui sperimentare la ricerca di Dio, è quella interiore, il regno della spiritualità. Esistono tante forme di spiritualità che hanno come punti di riferimento, oltre alle religioni monoteistiche, anche altre filosofie orientali di grandi tradizioni culturali. Fra tutte, personalmente, trovo nel messaggio evangelico la proposta che più si armonizza con la nostra natura umana: la qualità fondamentale che caratterizza il Dio, Padre di Gesù, è l’Amore (Agape). Gesù ci insegna, come ci tramandano gli Evangelisti, che Dio ci ama incondizionatamente e per questo è attratto non dai nostri meriti, ma dai nostri bisogni; l’Amore di Dio, come l’amore di un Buon Padre, non deve essere meritato (come ci insegna la religione) ma deve semplicemente essere accolto. La sua energia vitale ci potenzierà verso il bene elevandoci verso la condizione divina. Per entrare in sintonia con Dio, dobbiamo solo cercare di esprimere il nostro potenziale di bene; amando gli altri, manifestiamo la stessa qualità di Dio che ci rende consustanziali a Lui, della stessa “sostanza” del Padre, l’Amore, e questa condizione ci condurrà alla “vita eterna”. Non so se questo meraviglioso messaggio di speranza e di insuperabile dignità per l’intera umanità sia vero o no, ma la sua insuperabile bellezza mi induce a pensare che la vita possa essere sperimentata solo secondo questa logica metafisica, l’unica, per me, plausibile, in quanto coerente con la realtà antropologica nella quale siamo immersi. L’alternativa è il relativismo etico, privo di qualsiasi significato universale; tradizione e morale si mescolano in un universo di combinazioni tutte incompatibili tra loro. Il potere ha sempre lavorato sulla manipolazione delle menti sfruttando il limite della natura umana, soprattutto sulle caratteristiche di condizionabilità dell’individuo togliendo sempre più spesso ogni capacità intellettiva di autodeterminazione e libero arbitrio. La persona, privata di una sua struttura empatica e valoriale, diventa preda dei suoi istinti più primordiali e quindi capace di qualsiasi efferatezza. Il male non è una scelta, è l’effetto del nulla, dell’assenza completa di bene e soprattutto dell’incapacità (sempre più indotta) di provare sentimenti umani di compassione e di giustizia: “Se Dio è morto, tutto è permesso?” (F. Dostoevskij ne “I fratelli Karamazov”). È alla luce di questo perverso meccanismo di inibizione dello sviluppo individuale che possiamo interpretare questa involuzione antropologica che oggi, nell’era della scienza e della conoscenza, ha raggiunto altissimi livelli di ignoranza e disumanizzazione, una pericolosissima ipoteca sul futuro dell’umanità.

Tenteremo, in un prossimo articolo, di analizzare gli effetti di questi processi antropologici/sociali del nostro tempo e di questo “nulla” che ci circonda, ci assale e che presto ci potrebbe distruggere.

Di Tiziano Tanari per ComeDonChisciotte.org

08.07.2024

NOTE

1-Harari: come il nostro tecnocapitalismo vi ha ucciso l’anima – Come Don Chisciotte

2-La filosofia di Immanuel Kant: il criticismo e l’imperativo categorico – WeSchool

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