«Fallire sempre meglio: tradurre Tolkien, Tolkien traduttore»: un convegno on line

Lunedì 30 novembre e martedì 1 dicembre si terrà il convegno organizzato dal Dipartimento di Lettere dell’Università di Trento e dall’Associazione Italiana Studi Tolkieniani. Ecco l’articolo che lo presenta sul sito dell’AIST: A Trento un convegno: Tolkien e la traduzione. Per partecipare è necessario preiscriversi sul sito dell’Unitn, al link che si trova anche nell’articolo. Il convegno sarà su piattaforma Zoom, secondo la prassi dell’ateneo.

La partecipazione – ancorché solo in voce – di Wu Ming 4 sarà l’unica eccezione alla regola di non trasferire la nostra attività dal vivo su piattaforma online. Trattandosi del caporedattore della rivista I Quaderni di Arda, che verrà presentata in coda al convegno e che ne pubblicherà gli atti, è sembrato giusto non tirarsi indietro.

L’argomento è bello e impegnativo, i relatori sono di prim’ordine, le storie da ascoltare tante.

Il rapporto di Tolkien con i suoi traduttori è sempre stato complicato. Prima di tutto perché lui era un filologo e un fonoesteta, nonché un tipo piuttosto pignolo su certe questioni, in grado di mettere becco a ragion veduta nelle scelte traduttive, almeno per le lingue di origine germanica che erano il suo pane. Ma soprattutto era un traduttore a sua volta, ancorché dalle lingue antiche a quelle moderne, quindi non poteva trattenersi dal confronto con i traduttori a cui toccava l’ingrato compito di tradurre le sue opere.

Dopo le vicissitudini con i primi traduttori stranieri, Tolkien produsse infatti una specie di manuale ad uso dei traduttori, perché potessero orientarsi almeno nella resa della nomenclatura. In realtà quel manuale non è mai stato troppo vincolante, perché ogni traduttore ed editore si è poi orientato rispetto a ciò che riteneva giusto per il proprio contesto di riferimento. Nondimeno è stato un aiuto utilissimo per tutti loro. Dal “caso” Tolkien quindi è possibile imbastire una riflessione sulla traduzione in senso lato, ed è uno degli obiettivi del convegno, infatti, al quale partecipano alcune importanti traduttrici e traduttori letterari, italiani e stranieri (Juva, Vink, Fatica, Manini, Ferrari, Binelli).

Un esempio curioso delle storie nate intorno alle traduzioni tolkieniane è stata rievocata un paio di mesi fa, quando è venuta a mancare la prima traduttrice italiana de Lo Hobbit, Elena Jeronimidis Conte. Da giovane aveva tradotto il primo romanzo di Tolkien da absolute beginner, e corrisposto con lui per avere alcune delucidazioni. La lettera che Tolkien le scrisse nel giugno del 1973 è stata conservata (e bandita all’asta qualche anno fa) e contiene alcuni consigli, come ad esempio quello di non sostituire i nomi delle creature leggendarie germaniche (elf, goblin, troll), bensì casomai di italianizzarli (magari aggiungendo una vocale in fondo), ed evitare parole come “gnomo”, che hanno un’origine non germanica e identificano altre creature. Un consiglio questo che per altro non venne seguito in quella prima traduzione, dove comparivano Uomini Neri (per Troll), Lupi Mannari (per Warg), Orchi (per Goblin).

Più o meno la stessa cosa era successa nella prima traduzione italiana de La Compagnia dell’Anello (1967) ad opera di V. Alliata, dove addirittura compariva proprio “Gnomi” per “Elfi” e “vagabondi” per “Troll”, solo parzialmente emendata nell’edizione completa del Signore degli Anelli del 1970. Il riferimento nella lettera alla Jeronimidis Conte del 1973 sembrava essere espresso proprio alla luce dell’esperienza precedente, benché, per discrezione, Tolkien non vi faccia alcun accenno (ma nemmeno suggerisca di uniformare la nomenclatura al romanzo già pubblicato).

Del resto, è lui stesso nella lettera a Jeronimidis Conte ad ammettere il proprio limite, dicendo di non conoscere abbastanza bene l’italiano per dare un vero aiuto («I don’t know Italian well enough to help you very much»), ma tutt’al più un’impressione.

Insomma per le traduzioni in lingue neolatine il filologo germanico doveva accontentarsi di dare qualche dritta, ed è molto probabile che si affidasse per un’impressione generale al parere di un collega italiano a Oxford, Camillo Talbot D’Alessandro (che lesse la traduzione italiana e fu consulente per quella spagnola).

Se pensiamo che buona parte della polemica della prima traduttrice italiana, Vittoria Alliata, contro la nuova traduzione del Signore degli Anelli si è giocata sulla presunta approvazione personale di Tolkien e sulla sua presunta conoscenza dell’italiano, questo dà la misura di quanto ci sia bisogno di volare alto… ovvero di rimettersi con i piedi per terra.

Storie succose legate alle traduzioni ci sono anche all’estero e al convegno se ne parlerà. L’acribia di certi traduttori criticati dal Professore ha prodotto bislacchi esiti, se si pensa che il primo traduttore svedese finì per scrivere un libro contro Tolkien accusandolo di essere uno stregone nero, e che anche in altri paesi i fan hanno resistito a una nuova traduzione del loro romanzo del cuore opponendo una fiera resistenza.
Ma al di là di questi aspetti, al convegno si potrà sentire parlare coloro che trovandosi per mestiere a traghettare il testo letterario tolkieniano al di qua della Manica hanno avuto modo di indagare e scoprire lo stile letterario di Tolkien, quello strano arcaismo moderno che è uno degli aspetti a tutt’oggi più sfuggenti del suo duraturo successo a cavallo di due secoli.

Last but not least: la presenza di Crespi, Tosi e Picone, che parleranno rispettivamente di traduzioni cinematografiche, artistiche e geografiche della narrativa tolkieniana, evocherà quel portentoso transmedia storytelling che tanta parte ha avuto nel proseguire la narrazione tolkieniana con altri mezzi.

Tutto questo, manco a dirlo (ma non solo questo), diventerà il #2 dei “Quaderni di Arda”.

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