«La maschera è sempre negativa: copre una falsità, un inganno, una finzione». Lo ricorda lo scrittore e formatore Maurizio Fani, che è anche psicologo e psicoterapeuta. Le “museruole” che gli ambigui gestori dell’emergenza Covid ci costringono a indossare? Puzzano di rituale collettivo: simboleggiano sottomissione e annullamento della personalità. D’accordo, c’è anche l’elemento medico, precauzionale. Ma in quale misura? L’Oms e lo stesso ministero italiano della sanità ne raccomandano l’uso, alle persone sane, «solo se stanno fornendo assistenza a persone certamente malate di Covid-19, o con sintomi che facciano sospettare la malattia». Molti autorevoli virologi le temono: «Non vanno usate, specialmente in luoghi all’aperto», dice il professor Giulio Tarro, allievo prediletto di Albert Sabin, l’inventore del vaccino contro la poliomielite. «Le mascherine non sono il massimo dell’igiene», avverte Tarro: «Io starei attento nel loro uso, riuso e abuso: e quando arriverà il caldo, sarà bene gettarle via». L’Ordine dei Medici Sportivi di Cagliari – racconta Fani – ha sollevato un problema: un pericolo, la mascherina, per chi pratica attività sportiva.
Sotto sforzo, con la “museruola” che copre naso e bocca, si respira un’overdose di anidride carbonica: si rischia di svenire. «Pensare che la mascherina protegga dal virus, poi, è come credere che un’inferriata alla finestra vieti l’accesso alle zanzare», dice il nanopatologo Stefano Montanari. Ma la mascherina, soprattutto, è oramai un simbolo a tutti gli effetti. Lo sostiene uno studioso come Fani, co-autore con Monica Maggio del volume “Il significato segreto delle immagini nei film e nei sogni”, ovvero “La manipolazione individuale dell’essere umano” (Scribo, 2019). In un’articolata analisi sul sito “Petali di Loto“, di Paolo Franceschetti, Fani mette a fuoco il potenziale simbolico della maschera, equiparandolo all’attuale protezione sanitaria anti-contagio. Premessa: tutti i supereroi dei fumetti indossano una maschera, a partire dall’Uomo Mascherato (The Phantom, il “fantasma” creato nel 1936 dallo sceneggiatore Lee Falk e disegnato da Ray Moore. E’ il capostipite dell’eroe in incognito, dalla doppia vita. Poi ecco Devil, L’Uomo Ragno, Kriminal, Satanik e Diabolik. «Tutti soggetti “unici”, che attraverso la maschera manifestavano la loro originalità. Invece l’attuale mascherina serve a uno scopo molto diverso», osserva Fani.
Ma da dove nasce, l’arte di travisare i lineamenti del viso? «L’uso della maschera nasconde un atavico e complesso significato che attraversa ogni comportamento dell’uomo: dalla guerra alla morte, dalla festa alle espressioni artistiche, fino a giungere ai rituali religiosi, magici ed esoterici». Spiega Fani: «Per sua natura, la maschera occulta e nasconde, e cancella ogni emozione», cambiando l’identità di chi la indossa. Nel film “Eyes wide shut”, di Stanley Kubrick, nella scena del rituale orgiastico tutti fanno ricorso alla maschera «per comportarsi più liberamente, in maniera meccanica e animalesca». Lo stesso carnevale, come quello di Venezia – aggiunge Fani – consentiva di dare libero sfogo all’erotismo. Il breve periodo carnascialesco «portava con sé il tema del “rovesciamento” dei rapporti tra le persone: tutto era lecito, ci si poteva abbandonare agli eccessi, i padroni servivano i servi (come nei Saturnali della Roma antica)». In questo modo, «si concedeva al popolo ignorante l’illusione di essere simile a chi lo comandava». In pratica, «una manipolazione per detenere il consenso». Già allora: maschera, uguale inganno. Ma il peggio, sostiene Fani, è che l’identità di ciascuno non è solo celata agli altri: con la maschera, «diventiamo sconosciuti a noi stessi».
E così, «qualsiasi azione viene “deresponsabilizzata” nell’inconscio dell’individuo, perché lui stesso si cala psichicamente nel personaggio». Secondo lo psicologo, dunque, avviene una trasformazione profonda all’interno di chi si maschera. «Anche gli sciamani e i sacerdoti, calandosi nel mascheramento, si spersonalizzano e diventano ciò che la maschera vuole significare. Chi presiede un rito e impersona un demone o un’entità, attraverso la maschera assume una nuova identità, trasformandosi in ciò che ha evocato». Quest’aspetto, continua Fani, è confermato dalle maschere del teatro classico, cui in passato era stato erroneamente attribuito il potere di amplificare la voce: in realtà «servivano per identificare il personaggio, al di là dall’interprete». La maschera crea un’identità fittizia: lo sanno anche gli antropologi, pensando alla prima maschera funerararia, in selce, rinvenuta sul volto di un probabile Neanderthal vissuto 32.000 anni fa (in quel caso, l’obiettivo è la “rigenerazione” del defunto dopo la morte: e anche qui la maschera denota un cambiamento di personalità). Un espediente “innocente” comunque, se paragonato alle mascherine di oggi.
«Le persone – premette Fani – s’identificano solitamente dai lineamenti del viso, e la maschera impedisce questo riconoscimento, annullando la personalità del soggetto: la maschera fornisce un volto nuovo a quel corpo». Di fatto, il travisamento «struttura anche un pensiero diverso in chi la indossa, e fa in modo che questo nuovo elemento che si è aggiunto interagisca e dialoghi con altri simili nelle stesse condizioni». Il nuovo pensiero s’impone sia all’interno, nel soggetto, che all’esterno, nel rapporto con gli altri. «Si sviluppa così un “effetto rete”, responsabile della nascita di una credenza positiva in quel gesto». Più precisamente, spiega lo psicologo, «si assiste a una de-individualizzazione, con successiva ricostituzione di una nuova psichicità, capace di difendere la nuova posizione oltre ogni riflessione e dubbio». In questo modo «si acquisiscono certezze, non opinioni». Lo vediamo: «Gli individui ne diventano i primi difensori, e i primi accusatori di chi mostra un pensiero minimamente contrario al loro». La verità è che «stanno semplicemente obbedendo a un ordine psichico, invisibile ma non meno concreto». Come si ottiene questo tipo di manipolazione? «Attraverso tre passaggi: il consumismo, conformismo e “groupthinking”».
Tre modalità di non-pensiero, che «hanno come comune denominatore la funzione “copia & incolla”». L’importante è essere gregge, adeguati agli stili proposti dal sistema. Fino, appunto, all’appiattimento mediocre del pensiero di gruppo, cioè la ricerca del consenso eliminando il conflitto del pensiero critico. Attenzione: «Il fenomeno del “groupthinking” attecchisce in quei contesti sociali in cui i membri di un determinato gruppo evitano di promuovere punti di vista che vadano al di fuori di quella zona confortevole delimitata dal pensiero consensuale. Si deve creare un pensiero comune che permetta al dominio di imporre scelte e decisioni che altrimenti non avrebbe potuto istaurare». Le persone, quindi, «devono restare inevolute, non devono assolutamente mai provare il piacere di pensare con la propria testa». E per raggiungere questo «s’instaura un clima di terrore, fatto di paure, di posti di blocco, lampeggianti, divise, armi e talvolta tanta arroganza». Ed eccoci, appunto, al consenso attorno all’imposizione della mascherina. Maurizio Fani chiama in causa il celebre drammaturgo Alejandro Jodorowsky, teorico della “psicomagia”. «I rituali non sono mai fatti a caso: in qualunque operazione magica, la garanzia di successo è il rispetto del preciso rituale: gesti e parole, abiti, maschere, intonazione della voce, modo di camminare».
Aggiunge Fani: «Il rituale non solo ti mette in rapporto con altri possibili mondi, ma parla all’inconscio di chi ascolta e di chi compie il rito». A chi desidera liberarsi di un problema, Jodorowsky propone un gesto simbolico dall’effetto taumaturgico. Funziona? Sì, risponde Fani, citando una sua esperienza personale: un suo paziente si sentiva vessato dal prestigio del fratello, che in famiglia gli veniva indicato come un semidio da venerare. «Gli ho fatto prendere una fotografia del fratello e gli ho detto che avrebbe dovuto metterla sotto i piedi 5 volte al giorno per una settimana, pensando intensamente che stava camminando sopra di lui e che percepiva il fratello sotto i suoi piedi». Questo ha risolto il problema interiore, secondo la lezione di Jodorowsky. «Sono atti poetici, teatrali, ricchi di emozione e di simbologie, che smuovono forze sopite e spesso inconsce, che la persona non credeva di avere». Compiere dei rituali – insiste Fani – incide profondamente sia sulla psiche sia sulla realtà. Attenti, quindi, alle mascherine anti-Covid: oltre a farci respirare male e a nasconderci il volto, inibiscono lo scambio verbale e aumentano a diffidenza reciproca.
«Qualcuno la chiama “museruola”, come quella messa ai cani di grossa taglia. Ed è vero: è un tentativo per addomesticare quei pochi neuroni che ancora la massa possiede, per realizzare dei neuro-schiavi a tutti gli effetti». Occhio alla maschera: «Si tratta di uno strumento magico per eccellenza». Il potere fondato sul dominio «fa credere che la magia sia il Mago Otelma, Silvan, Vanna Marchi: tutti fenomeni di costume». In realtà, scrive Fani, «chi tira le fila sa benissimo che cos’è la magia, e come si opera». Secondo lo psicologo, quindi, quella in atto «è una “operazione magica” su tutti i fronti, tesa a smuovere forze imponenti e a minimizzare ogni tipo di reazione, incanalandola in percorsi mentali di totale accettazione, senza alcuna possibilità di porsi delle domande sull’effettiva validità di tutte le misure poste in atto». In sostanza: «Infondere paura, terrore, per condizionare la risposta attesa. Impedire ogni possibile reazione che distolga la mandria (poco) umana dal correre ciecamente verso il precipizio, per immolarsi a un bieco desiderio di potere egemone e totalitario». Per fortuna, chiosa Fani, nessuno – nella storia del mondo – è mai riuscito a prendere completamente il potere. E anche questa volta, assicura, finirà così.
Certo, nel frattempo «passeranno diversi anni nei quali tutti noi avremo la grande opportunità di crescere, superando difficoltà inaudite». L’importante, dice lo studioso, è iniziare a mettere in gioco strumenti nuovi, interiori e sociali, più adatti a fronteggiare questa emergenza: vivere in modo più sano, selezionare gli amici. Il momento è cruciale, di portata storica: «Siamo di fronte a una “speciazione”, cioè alla nascita di una nuova specie, che si distaccherà da quella precedente» e lo farà «in malo modo, fino a configgere apertamente». L’avanguardia della nuova umanità punta ad un “nuovo rinascimento”, abbandonando definitivamente «quel consenso robotico, inumano, alieno e mostruoso che contraddistingue la maggioranza». Fondamentale, per Fani, «stringersi intorno a persone che dimostrino il coraggio di esistere e che siano indifferenti alle lusinghe del potere e del dominio». Molti, certo, si vendono: «Si prostituiscono, per uno sputo di visibilità mediatica: sono schiavi obbedienti, e schiavi restano». Sono loro, “i molti”, «quelli che hanno contribuito a questo sfacelo». Secondo Fani, a vincere saranno le avanguardie coraggiose: «Saranno proprio quei pochi, a scrivere la storia», magari cominciando con un gesto: rifiutare di indossare la mascherina, sapendo cosa nasconde davvero.
«La maschera è sempre negativa: copre una falsità, un inganno, una finzione». Lo ricorda lo scrittore e formatore Maurizio Fani, che è anche psicologo e psicoterapeuta. Le “museruole” che gli ambigui gestori dell’emergenza Covid ci costringono a indossare? Puzzano di rituale collettivo: simboleggiano sottomissione e annullamento della personalità. D’accordo, c’è anche l’elemento medico, precauzionale. Ma in quale misura? L’Oms e lo stesso ministero italiano della sanità ne raccomandano l’uso, alle persone sane, «solo se stanno fornendo assistenza a persone certamente malate di Covid-19, o con sintomi che facciano sospettare la malattia». Molti autorevoli virologi le temono: «Non vanno usate, specialmente in luoghi all’aperto», dice il professor Giulio Tarro, allievo prediletto di Albert Sabin, l’inventore del vaccino contro la poliomielite. «Le mascherine non sono il massimo dell’igiene», avverte Tarro: «Io starei attento nel loro uso, riuso e abuso: e quando arriverà il caldo, sarà bene gettarle via». L’Ordine dei Medici Sportivi di Cagliari – racconta Fani – ha sollevato un problema: un pericolo, la mascherina, per chi pratica attività sportiva.
Sotto sforzo, con la “museruola” che copre naso e bocca, si respira un’overdose di anidride carbonica: si rischia di svenire. «Pensare che la mascherina protegga dal virus, poi, è come credere che un’inferriata alla finestra vieti l’accesso alle zanzare», dice il nanopatologo Stefano Montanari. Ma la mascherina, soprattutto, è oramai un simbolo a tutti gli effetti. Lo sostiene uno studioso come Fani, co-autore con Monica Maggio del volume “Il significato segreto delle immagini nei film e nei sogni”, ovvero “La manipolazione individuale dell’essere umano” (Scribo, 2019). In un’articolata analisi sul sito “Petali di Loto”, di Paolo Franceschetti, Fani mette a fuoco il potenziale simbolico della maschera, equiprandolo all’attuale protezione sanitaria anti-contagio. Premessa: tutti i supereroi dei fumetti indossano una maschera, a partire dall’Uomo Mascherato (The Phantom, il “fantasma” creato nel 1936 dallo sceneggiatore Lee Falk e disegnato da Ray Moore. E’ il capostipite dell’eroe in incognito, dalla doppia vita. Poi ecco Devil, L’Uomo Ragno, Kriminal, Satanik e Diabolik. «Tutti soggetti “unici”, che attraverso la maschera manifestavano la loro originalità. Invece l’attuale mascherina serve a uno scopo molto diverso», osserva Fani.
«Le persone – premette Fani – s’identificano solitamente dai lineamenti del viso, e la maschera impedisce questo riconoscimento, annullando la personalità del soggetto: la maschera fornisce un volto nuovo a quel corpo». Di fatto, il travisamento «struttura anche un pensiero diverso in chi la indossa, e fa in modo che questo nuovo elemento che si è aggiunto interagisca e dialoghi con altri simili nelle stesse condizioni». Il nuovo pensiero s’impone sia all’interno, nel soggetto, che all’esterno, nel rapporto con gli altri. «Si sviluppa così un “effetto rete”, responsabile della nascita di una credenza positiva in quel gesto». Più precisamente, spiega lo psicologo, «si assiste a una de-individualizzazione, con successiva ricostituzione di una nuova psichicità, capace di difendere la nuova posizione oltre ogni riflessione e dubbio». In questo modo «si acquisiscono certezze, non opinioni». Lo vediamo: «Gli individui ne diventano i primi difensori, e i primi accusatori di chi mostra un pensiero minimamente contrario al loro». La verità è che «stanno semplicemente obbedendo a un ordine psichico, invisibile ma non meno concreto». Come si ottiene questo tipo di manipolazione? «Attraverso tre passaggi: il consumismo, conformismo e “groupthinking”».
Aggiunge Fani: «Il rituale non solo ti mette in rapporto con altri possibili mondi, ma parla all’inconscio di chi ascolta e di chi compie il rito». A chi desidera liberarsi di un problema, Jodorowsky propone un gesto simbolico dall’effetto taumaturgico. Funziona? Sì, risponde Fani, citando una sua esperienza personale: un suo paziente si sentiva vessato dal prestigio del fratello, che in famiglia gli veniva indicato come un semidio da venerare. «Gli ho fatto prendere una fotografia del fratello e gli ho detto che avrebbe dovuto metterla sotto i piedi 5 volte al giorno per una settimana, pensando intensamente che stava camminando sopra di lui e che percepiva il fratello sotto i suoi piedi». Questo ha risolto il problema interiore, secondo la lezione di Jodorowsky. «Sono atti poetici, teatrali, ricchi di emozione e di simbologie, che smuovono forze sopite e spesso inconsce, che la persona non credeva di avere». Compiere dei rituali – insiste Fani – incide profondamente sia sulla psiche sia sulla realtà. Attenti, quindi, alle mascherine anti-Covid: oltre a farci respirare male e a nasconderci il volto, inibiscono lo scambio verbale e aumentano a diffidenza reciproca.