Giacomo Matteotti, oltre il santino

Novantanove anni fa, il 10 giugno 1924, cadeva assassinato dal regime fascista Giacomo Matteotti.

Come solito e più del solito media e politici ci riproporranno il solito, inutile, santino. Vale la pena invece di omaggiare davvero Giacomo Matteotti andandosi a rileggere quello che lui scrisse e disse. Il suo pensiero e la sua azione erano infatti ben più complessi e interessanti di quanto solitamente venga raccontato. Giacomo Matteotti era infatti un riformista che teneva in massimo conto le capacità amministrative e la rappresentanza parlamentare, ma al tempo stesso credeva che queste cose dovessero essere messe al servizio di forme di contro-potere di classe sorte dalla materialità delle lotte. Rifiutava l’idea leninista della presa del potere, ma era favorevole a trasformare la guerra imperialista in guerra civile rivoluzionaria. Cercava di evitare la violenza individuale ed inconsulta ma non disdegnava l’autodifesa di classe.

Una parola appare centrale nella sua concezione della politica: responsabilità. Responsabilità umana di non aumentare unilateralmente il livello di violenza nel conflitto sociale, ma anche responsabilità politica di fronte alla propria classe nel condurre la lotta fino in fondo, a qualunque costo. Responsabilità del dire la verità in tutte le sedi per inchiodare il nemico alla realtà dei fatti, per togliergli ogni alibi.

Ed è forse stata questa la sua più grande vittoria, quella che realizzò con il proprio consapevole sacrificio. Costringere il nemico a non poter far altro che assumersi la responsabilità della sua morte. Inchiodare ad essa il fascismo e la borghesia italiana sua mandante, mostrandone il vero volto. In modo che la classe lavoratrice potesse preparare la preparare riscossa, prepararsi al momento in cui avrebbe potuto collettivamente assumersi il compito di salvare il paese e colpire con la propria giusta rabbia gli aguzzini.

Oggi il pensiero e l’azione di Giacomo Matteotti sono ancora un problema aperto, una sfida con cui confrontarsi per i riformisti come per i rivoluzionari, perché sfuggono a facili categorizzazioni e aiutano a ragionare al di fuori di esse. Per questo ho scelto di proporre un estratto ragionato dei suoi scritti e discorsi indicandone le fonti e come consultarle on line.

Matteotti era contro la guerra imperialista e il colonialismo, favorevole all’insurrezione armata contro di essi:

«Da buon riformista, io non ho mai negato le possibilità e necessità rivoluzionarie. Non già quelle che dovrebbero di punto in bianco sostituire il mondo socialista al mondo capitalista, o il mondo dei buoni a quello dei cattivi; ma quelle certamente che ci fanno evitare un maggior male, e che mirano a sbrarazzare il terreno del progresso socialista da alcuni particolari ostacoli, da alcune particolari croste, che resistono sebbene al di qua o al di sotto si sia formata una gran forza opposta; e occorre lo scoppio di violenza.

Così ieri per ottenere le libertà statutarie.

Così domani contro il militarismo.

Né per queste azioni singolari occorre avere per sé la maggioranza, o aver pienamente formata una coscienza, un’educazione socialista.

Un milione di proletari organizzati nell’Italia settentrionale sono sufficienti a far riflettere qualsiasi governo sulla opportunità di aprire una guerra; poiché non soltanto noi dovremmo preoccuparci d’“aggiungere anche la guerra civile”; e non sappiamo fino a dove si possa temere uno spargimento di sangue, se altrimenti la guerra moderna falcerebbe, nel nostro stesso campo, centinaia di migliaia di vite».

Giacomo Matteotti. «Contro la guerra: dal punto di vista del nostro partito». Critica Sociale, 1915, n.3 (1-15 febbraio). Pubblicato in Giacomo Matteotti Raccolta di articoli. Milano: Fondazione Anna Kuliscioff, 2014, pag.146. Testo scaricabile qui.

«Una cosa soltanto è da deplorare per parte nostra: che il proletariato ed il Partito socialista non sappiano affermare la propria risoluzione di insorgere contro ogni guerra: perché così soltanto si preparerebbe la resurrezione dell’Internazionale, nella quale è la vera, l’unica libertà del proletariato di tutte le patrie. […] Per noi la patria ha esclusivamente significato se equivalga a libertà, ad autonomia di un popolo che vuole dettarsi le proprie leggi. Per ciò ci è indifferente se vuole dire semplicemente sostituire un padrone ad un altro eguale […].

Noi siamo per la libertà di tutte le patrie a cominciare da quelle che noi abbiamo violate: la Tripolitania e la Cirenaica [le due parti della Libia allora colonia italiana]».

Giacomo Matteotti, intervento nel corso della prima riunione del neoeletto Consiglio provinciale di Rovigo, 19 marzo 1915. Pubblicato nel libro libro Giacomo Matteotti Discorsi parlamentari Volume III, Roma: Colombo, 1970, pag. 1509. Testo scaricabile al sito qui.

Matteotti era contro la dittatura di partito di modello leninista perché era contro la violenza come metodo di gestione del potere, contro la violenza di uno stato o di un partito sul proletariato; ma era favorevole all’autodifesa di classe contro l’autoritarismo e il fascismo.

«Crediamo che il socialismo si realizzi assai più con la formazione della coscienza collettivista in tutto il proletariato, che con la conquista improvvisa e più o meno violenta del potere politico.

Non crediamo a nessun miracolo di trasformazione sociale; il socialismo diviene specialmente con progressivo e saldo sviluppo di nuclei di attività economiche collettive.

La conquista del potere politico, se può essere forzata, sia di fronte a una rovinosa politica dei governi borghesi e delle loro guerre, sia per rompere una crosta formale che si opponga alla volontà manifesta dei lavoratori, normalmente però deve essere la conseguenza della volontà della maggioranza della maggioranza lavoratrice, e non di una dittatura di pochi sul proletariato; e in ogni caso non si può prescindere dalle considerazioni internazionali, rispetto specialmente a quei paesi che forniscono all’Italia i primi elementi necessari alla vita.

Respingiamo la collaborazione al governo con i partiti borghesi.

Ma respingiamo anche assolutamente l’uso della violenza, la quale può essere soltanto un mezzo di difesa contro la reazione, la controrivoluzione, il fascismo, e non mai un mezzo ordinario di lotta civile».

Giacomo Matteotti. Senza titolo, La Giustizia 23 gennaio 1923. Pubblicato in Giacomo Matteotti Raccolta di articoli. Milano: Fondazione Anna Kuliscioff, 2014, pag.14. Testo scaricabile al sito qui.

Matteotti era rappresentante della classe lavoratrice delle campagne della Val Padana e in quanto tale rivendicava il contro-potere che essa aveva saputo creare per arginare lo sfruttamento e la precarietà.

«La dittatura del proletariato nelle campagne consiste essenzialmente in questo fatto. I contadini con il patto [accordo tra sindacati e organizzazione dei proprietari terrieri] del 1911 e anche più coll’ultimo patto del 1920, avevano raggiunto due conquiste fondamentali:

1) Riconoscimento delle loro organizzazioni, e riconoscimento delle leghe di mestiere, con obbligo dei padroni di rivolgersi, non ai singoli individui, ma alle leghe dei mestieri [i sindacati] per avere dei lavoratori.

2) Imponibilità di mano d’opera. Cioè: poiché i proprietari nella stagione invernale lasciavano volentieri a casa tutti i contadini, e la disoccupazione batteva alle porte,[…] si stabilì un contingente fisso di mano d’opera che ciascuna unità colturale doveva impiegare [cioè ogni tot ettari di terra posseduta si dovevano assumere tot lavoratori]; e i contadini si adattarono che il poco lavoro invernale non fosse dato a vantaggio di una sola famiglia, mentre le altre dovevano morire di fame o emigrare, ma scambiato a turno tra le diverse famiglie di lavoratori […]

Per i nostri patti agricoli un padrone ha l’obbligo di impiegare tanti contadini. Spesso contravviene e li respinge. Allora la Lega [organizzazione sindacale di base] giustamente domanda, che sia pagato ugualmente, sotto forma di multa, ciò che il padrone non ha pagato ai contadini per il loro lavoro. È logico, è l’esecuzione di un contratto. […]

E i boicottaggi? Anche questi possono essere stati qualche volta male usati, ma non sempre; non si fraintenda.

Un padrone non osserva i patti, non impiega il numero dovuto di contadini. Che cosa delibera allora la Lega? Non vi darò più manodopera! Quest’è, di solito, il boicottaggio, giusto ed entro l’orbita della legge [di lì a poco queste forme di lotta verranno perseguite dallo stato borghese ancora “liberale”, come “estorsione” e “associazione a delinquere”]».

Giacomo Matteotti, intervento alla Camera 31 gennaio 1921. Pubblicato nel libro libro Giacomo Matteotti Discorsi parlamentari Volume I, Roma: Colombo, 1970, pag. 330. Testo scaricabile qui.

Matteotti sapeva che lo “squadrismo” non è un termine da usare a caso, ma indica la metodica violenza fascista, militarmente organizzata, al servizio dei padroni, con l’appoggio degli sbirri, contro la classe lavoratrice:

«La classe che detiene il privilegio politico, la classe che detiene il privilegio economico, la classe che ha con sé la magistratura, la polizia, il governo, l’esercito, ritiene sia giunto il momento il momento in cui essa, per difendere il suo privilegio, esce dalla legalità e si arma contro il proletariato».

Giacomo Matteotti, intervento alla Camera 31 gennaio 1921. Pubblicato nel libro libro Giacomo Matteotti Discorsi parlamentari Volume I, Roma: Colombo, 1970, pag. 330. Testo scaricabile qui.

«Nel cuore della notte, mentre i galantuomini sono nelle loro case a dormire, arrivano i camion di fascisti nei paeselli, nelle campagne, nelle frazioni composte di poche centinaia di abitanti; arrivano naturalmente accompagnati dai capi della Agraria [organizzazione dei proprietari terrieri] locale, sempre guidati da essi, perché altrimenti non sarebbe possibile conoscere nell’oscurità in mezzo alla campagna sperduta la casetta del capolega [organizzatore sindacale] o il piccolo miserello ufficio di collocamento [del sindacato].

Si presentano davanti a una casetta e si sente l’ordine: circondate la casa, Sono venti, sono cento persone armate di fucili e rivoltelle. Si chiama il capolega e gli si intima di discendere. Se il capolega non discende gli si dice: se non scendi ti bruciamo la casa, tua moglie, i tuoi figliuoli. Il capolega discende, se apre la porta lo pigliano, lo legano, lo portano sui camion, gli fanno passare le torture più inenarrabili, fingendo di ammazzarlo, di annegarlo, poi lo abbandonano in mezzo alla campagna nudo, legato a un albero!

Se il capolega è un uomo di fegato e non apre e adopra le armi per la sua difesa allora è l’assassinio immediato che si consuma nel cuore della notte, cento contro uno. […]

Non è più lotta politica, è barbarie; è medioevo. Dobbiamo noi combattere la lotta politica in questa maniera?  Siamo anche noi autorizzati a metterci su questo terreno? Ma vi levaste almeno di mezzo, voi del governo, e ci lasciaste combattere con dignità e parità di condizioni. E noi sapremmo mettere a posto i briganti. Il vostro intervento è intervento a favore dei briganti. […]

Il governo telegrafa è vero, il prefetto fa telegrammi, circolari, è vero, ma tutto questo che vale? Quando il tenente delle requisizioni di cereali a Lendinara si fa guida di spedizioni, e l’autorità di sicurezza lo riconosce a capo di quelli che sparano sulle piazze, quel tenente per due giorni è messo a disposizione dell’autorità militare di Rovigo, ma il terzo giorno è restituito alle sue funzioni nella Commissione cereali.

Un altro tenente dei carabinieri, che finge di contenere le spedizioni facinorose, è un noto amico di organizzatori fascisti e fu udito prendere accordi con loro dentro i locali di un pubblico ufficio. Il comandante dei carabinieri agisce spesso a rovescio delle istruzioni prefettizie.

Il brigadiere di Picara, dove è stato compiuto l’assassinio durante la notte, mangia, beve, canta e spara insieme ai fascisti».

Giacomo Matteotti, intervento alla Camera del 10 marzo 1921. Pubblicato nel libro libro Giacomo Matteotti Discorsi parlamentari Volume I, Roma: Colombo, 1970, pag. 392. Testo scaricabile qui.

Matteotti era contro gli atti individuali o inconsulti…

«Noi abbiamo detto loro [ai lavoratori] state calmi, non rispondete alle violenze. Lo abbiamo ripetuto in tutti i toni. Ci siamo fatti offendere a sangue dai nostri lavoratori. Abbiamo avuto accuse di viltà. Accuse che ci hanno offeso più che quelle della vostra stupida stampa. Ci hanno detto vigliacchi il giorno in cui noi più di tutti avevamo sentito ribollire il nostro animo contro la violenza avversaria. Ma nonostante tutto abbiamo detto: non bisogna reagire. E ci siamo imposti, anche con la violenza, ai nostri compagni.

Abbiamo preso per le spalle qualcuno dei più violenti, dei più pronti alla rappresaglia e abbiamo detto: se qualcuno di voi si abbandona alla rappresaglia è fuori dalle organizzazioni. Noi andremo a Roma. Aspettate. Colà dovremo discutere civilmente di questo nostro stato di cose. Noi domanderemo in parlamento conto di questi fatti, domanderemo se il capitalismo assume la responsabilità del fascismo, domanderemo al governo se assume la responsabilità completa delle sue autorità e dei suoi agenti».

Giacomo Matteotti, intervento alla Camera 31 gennaio 1921. Pubblicato nel libro Giacomo Matteotti Discorsi parlamentari Volume I, Roma: Colombo, 1970, pag. 330. Testo scaricabile qui.

…. Ma spiegò chiaro e tondo alla borghesia fascista che a giocare alla guerra civile ci si fa male da entrambe le parti e che prima o poi la nostra gente avrebbe saldato i conti:

«Non pensate che questi lavoratori che si sono visti assaliti per le strade perché hanno un distintivo, perché appartengono alle leghe, coltiveranno un pensiero di vendetta contro il padrone che passa per la strada, che va alla sua casa, che circola per il paese? Pensateci, onorevoli rappresentanti della borghesia capitalista».

Giacomo Matteotti, intervento alla Camera 31 gennaio 1921.

Immagine di copertina: Giacomo e Giancarlo Matteotti (fonte Wikimedia Commons).

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