Giuseppina Cattani, internazionalista e scienziata (2/2)

di Giuliana Zanelli

Qui la prima parte.

  1. «Vivi, lavora, ed ama»

Giuseppina godeva dunque di un certo prestigio intellettuale, e quando nella primavera del 1879 si ebbe notizia di un manifesto rivolto alle operaie d’Italia dalle sezioni femminili di Napoli e di Romagna della Federazione Italiana dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, fu sospettata di esserne l’autrice. Il 4 maggio il prefetto di Bologna aveva infatti ricevuto dal collega di Napoli un dispaccio in cui si leggeva tra l’altro: «Mi è stato riferito che detto manifesto sarebbe stato compilato da una giovane Romagnola che studia medicina costà, la quale avrebbe anche sborsato il danaro occorrente per la stampa, ed anche ne avrebbe già ricevuta una grossa quantità per la diffusione in codesto e in altri luoghi delle Romagne». Il Ministero dell’Interno in una sua al prefetto bolognese incalza: «pare che una giovane romagnola che studia medicina presso codesta università, abbia commessa in Napoli la stampa di 1000 copie di un proclama socialista […]. Richiamo su di tale notizia l’attenzione della S.V., pregandola di disporre siano fatte le più accurate investigazioni eziandio presso cotesta stazione ferroviaria per scoprirne il destinatario, e accertarne l’esistenza, la prego di procedere con tutta l’energia».

Le perquisizioni che seguirono in Bologna nelle case di alcune internazionaliste ben note quali Violetta Dall’Alpi e Adele Gabutti portarono al sequestro di alcune decine di manifesti e a qualche arresto, ma «Quanto all’autrice del manifesto non si è ancora potuta stabilire con certezza chi sia». Come scrive infatti il prefetto al Ministero dell’Interno, «cadde naturalmente il sospetto sulla Cattani Giuseppina che appunto è studente presso questa Facoltà medica ed è compresa nell’Elenco degli internazionalisti […] ma non si ha nessun dato che sussidii questa supposizione».

Se i funzionari della polizia avessero avuto alle mani il numero 16 ottobre 1876 de “La Plebe” di Milano, “rivista socialista ebdomadaria”, avrebbero appreso che già la Federazione Internazionale di Firenze aveva indirizzato alle operaie italiane analogo appello. Il settimanale milanese lo riportava, non si sa se integralmente o con tagli. Certo è che il manifesto sequestrato nel maggio 1879 in Bologna e stampato a Napoli ne riprendeva alcuni passi, ma appare al confronto di quello fiorentino più caldo nei toni e più prolisso. Quelle che la sezione femminile di Firenze chiama «Compagne» nel nostro manifesto venivano chiamate «Sorelle», e la perorazione appare appassionata:

Sorelle

Prestate orecchio e fede alle nostre parole. Non possiamo né vogliamo ingannarvi noi, che siamo come voi, vittime dei previlegi e dei pregiudizi sociali. Seguite il nostro esempio. levatevi una volta contro la schiavitù alla quale ci condanna la società: unitevi, associatevi per scuotere il giogo di miseria e di vergogna che ci opprime. […] Al presente la società invece di un compagno ci dà un padrone, invece dell’amore la soggezione. Come se non bastasse un’altra maggior vergogna è imposta ora alla donna, la prostituzione. Così è: centinaia e centinaia delle nostre sorelle sono costrette a vendersi perché o non trovano lavoro, o se lo trovano non ne ritraggono tanto che basti a sfamarle. Centinaia e centinaia delle nostre sorelle trascinano la vita nei postriboli.

Tra i mali della società che ricadono sulle donne c’è l’impossibilità degli operai malpagati di farsi una famiglia, non potendo mantenere moglie e figliuoli:

Centinaia e centinaia delle nostre sorelle sono dannate all’infamia perché ci sono alcuni pochi privilegiati che comprano e disonorano le figlie del popolo […] coi danari accumulati sfruttando i lavoratori…

Rispetto a quello fiorentino, il manifesto napoletano-romagnolo dedica più ampio spazio al problema della prostituzione. In entrambi i documenti si dichiara di respingere la proposta borghese di emancipazione femminile, ovvero – come esplicita il manifesto stampato a Napoli – di concedere alle donne il diritto di voto e di sedere in parlamento. Per dare alla donna la dignità che le compete non c’è che una strada, retribuire giustamente il suo lavoro: è «la soluzione della questione sociale», ovvero «l’emancipazione del lavoro e dal Capitale». Efficace e breve, l’esortazione con cui si chiudono i due documenti:

 Compagne/Sorelle, unitevi a noi. La società del presente ci ha detto: O soffri la fame o venditi. La società dell’avvenire ci dirà: «Vivi, lavora, ed ama». 

  1. Studentessa universitaria e attivista

Lungo i sei anni del corso universitario, Giuseppina Cattani, pur dedicandosi allo studio, non smise di impegnarsi per quelle idee che aveva cominciato a professare nella sua adolescenza. Per questo continuò ad essere oggetto di attenzione da parte sia della polizia sia della stampa democratica.

Nel giugno del 1879 “La Patria” (cui fa eco “La Stampa” di Torino) e il ricordato periodico bolognese “La Donna” segnalano il suo successo nella prima sessione di esami universitari, in cui ottenne la pienezza dei voti e in più la lode negli esami di fisica, chimica e botanica. Nei medesimi giorni venivano sequestrati diversi numeri de “Le Revolté” a lei diretti nella sua abitazione di Bologna. Del resto, scrive il questore al Ministero degli Interni nell’agosto dell’anno medesimo, «in passato qualcuno anche dei più noti capi socialisti dimoranti all’Estero si sarebbe servito dell’indirizzo della Cattani per far pervenire alla sua vera destinazione corrispondenza settaria, ma da qualche tempo nessuno avrebbe più inviato corrispondenze alla Cattani medesima perché ormai conosciuta».

Sono diverse le modalità con le quali Giuseppina manifesta il suo attivismo: quando collabora con la “ Rivista Internazionale del Socialismo”; quando (settembre 1880) pronuncia parole di compianto al funerale di una giovane compagnia forlivese, Ersilia Matteucci; quando assieme alla madre Teresa Boratti e a diversi esponenti repubblicani e socialisti di Imola, va ad incontrare in una casa fuori porta Appia Andrea Costa da poco sceso dal treno alla stazione cittadina (ottobre 1880) Particolare curioso: il poliziotto che lo aspettava non se ne avvide. Come riferì il sottoprefetto al prefetto, «Andrea Costa la sera del suo arrivo in questa città smontò dalla vettura ferroviaria in cui trovavasi dal lato opposto a quello dal quale smontarono gli altri viaggiatori e passando per la coda del convoglio dal locale delle merci si avviò verso casa sua; ed ecco come passò inosservato all’agente incaricato di sorvegliarne alla ferrovia l’arrivo».

Nel febbraio del 1882 Giuseppina si mise poi in luce nelle agitazioni degli universitari bolognesi che protestavano per l’arresto e la condanna degli studenti pisani: secondo la notizia comparsa sull’“Avanti!” (il settimanale voluto dal Costa) avrebbe infatti caldeggiato con successo la costituzione di un Circolo anticlericale. Nell’aprile, ci segnala un documento di polizia, sarà Giuseppina ad accompagnare la madre che viene a Bologna a cambiare in moneta corrente presso un cambiavalute una nota bancaria russa di cento rubli: Anna Kuliscioff è in procinto di abbandonare Imola per la Svizzera con la sua bambina. Nel maggio dell’anno dopo partecipa ad un banchetto per il Congresso democratico di cui riferisce il periodico “Don Chisciotte” di Bologna: «Nell’antica chiesa di Santa Lucia, nella Palestra Ginnastica si trovarono pertanto membri del congresso e cittadini bolognesi alle 7 di ieri sera per pranzare. I presenti erano oltre a cento cinquanta fra i quali Felice Cavallotti, Aurelio Saffi, l’on. Severino Sani, l’on. Aporti, l’on. Rodolfo Rossi. A metà del lieto e affettuoso convegno entrò Giosuè Carducci che innumerevoli applausi salutarono. Due buone e valenti donne confortavano della loro cortesia l’adunanza: Giorgina Saffi e Giuseppina Cattani. […] La signorina Cattani augurò al giorno in cui, come oggi si festeggiava l’unione delle forze democratiche, si possa festeggiare l’unione di tutte le forze umane nel trionfo del buono, del bello e del vero. Dopo questo fioccarono altri brindisi del Sani, del Carducci, del Barbanti, del Rossi, del Ratti, del Cavallotti. In tutti fioriva la gentilezza e il pensiero dell’emancipazione della donna, nota elevata che la presenza della signora Saffi e un nuovo splendido discorso della signorina Cattani avevano in tutti trasfusa. […]. Al di fuori parecchi delegati di P. S. e molte guardie invigilavano l’eclissi che avveniva in cielo…».

Si avvicinava intanto per Giuseppina il momento della laurea. 

  1. Giuseppina Cattani: medico, docente e scienziata di livello internazionale

Ancora nell’anno in cui Giuseppina concludeva il suo percorso di studi, la sottoprefettura imolese, redigendo per il quarto trimestre il registro degli internazionalisti, annotava: «Cattani Giuseppina di Tullio di Imola res. Imola, dottoressa, statura bassa, corporatura esile, occhi scuri, colorito pallido, porta occhiali». Ma la giovane donna era ormai completamente assorbita dallo studio e dalla ricerca scientifica. La sua battaglia politica si trasformava e si portava su di un diverso fronte. Del resto erano in corso altri cambiamenti. Dopo la Lettera ai miei amici di Romagna di Andrea Costa (luglio 1879) anche l’internazionalismo aveva cercato nuove strade per portare avanti i suoi ideali, e anzi nel 1882 Costa era entrato primo, e per il momento unico, deputato socialista alla Camera.

La tesi di laurea fu discussa il 7 luglio 1884. Intitolata Ricerca intorno alla normale tessitura e altre alterazioni sperimentali nei corpuscoli pacinici degli uccelli (corpuscoli dell’Herbst), meritò la lode. A Bologna fu la prima laurea in medicina ottenuta da una donna, (se escludiamo quella riconosciuta a Matilde Dessalles), non però la prima in Italia, dove già c’era stata Ernestina Paper, ebrea e russa di origine, che dopo un anno di studi a Zurigo, si era poi laureata nel 1877 all’Università di Firenze, seguita nel 1878 da Maria Farnè Velleda laureatasi a Torino.

Nello stato unitario l’orientamento delle studentesse verso la Facoltà di medicina a preferenza di altri corsi aveva motivazioni che si connettevano con una visione tradizionale dei ruoli di genere: la professione medica veniva vista come un prolungamento dei compiti di cura assegnati alle donne, in particolare in campo ginecologico e pediatrico, e perciò le resistenze e le critiche maschili verso la presenza femminile in questi ambiti erano meno forti. Interessante il fatto che Anna Kuliscioff, che nel 1887 si sarebbe laureata in medicina all’Università di Napoli, pochi anni prima, nel 1883, in una lettera ad Andrea Costa, riferendosi alle ricerche della Cattani, aveva commentato: «Il lavoro della Peppina è troppo speciale e non avrà gran valore scientifico. Vedremo il lavoro stesso, quando sarà fatto. Io non l’avrei fatto, mi sarei occupata d’altra cosa più reale e che abbia più importanza. Del resto vedremo; non dirle nulla, perché aspetto il lavoro completo per scriverle io stessa». Non sappiamo di preciso che cosa non la convincesse circa la ricerca dell’amica. Nei primi mesi del 1886 la Kuliscioff, ormai alle soglie della propria laurea, si applicò ad approfondire le cause della febbre puerperale di cui tante donne morivano dopo il parto, e compiendo importanti  esperimenti presso il Gabinetto di Patologia generale dell’Università di Pavia diretto da Camillo Golgi, futuro premio Nobel per la medicina,  ne evidenziò l’origine batterica. Tale campo di ricerca appariva forse alla Kuliscioff cosa più reale e di maggiore importanza per la salute femminile rispetto agli studi che la “Peppina” faceva in vista della sua tesi. Ma di altre ricerche della Kuliscioff non si ha però notizia: a Milano, divenuta compagna di Filippo Turati, fu, finché la salute glielo permise, la «dottora dei poveri».

Anche Giuseppina non mancò di avere pazienti cui prestare la sua opera, come testimoniano di tanto in tanto i ringraziamenti apparsi sulla stampa locale, ma riuscì più lungo a resistere nell’ambito della ricerca, sua primaria passione. Lo attestano i ricordati soggiorni all’estero e le numerose pubblicazioni da cui si ricava che dopo i primi interessi di tipo neurologico, si dedicò allo studio dei batteri, occupando così quella che era una vera e propria nuova frontiera della medicina. Era l’epoca in cui gli studi di Pasteur e di Koch identificavano i batteri quali cause delle diverse malattie infettive. Era una vera rivoluzione.

I batteri portavano malattie e diffondevano epidemie, soprattutto tra le classi popolari, capire come contrastarne la diffusione, cercare rimedi, aveva un’indubbia valenza sociale. E fu così che la dottoressa Cattani si trovò a studiare in collaborazione col professor Tizzoni l’agente patogeno del colera, quel vibrione che, provenendo dall’India, aveva dato origine nell’Europa dell’Ottocento e nella stessa Italia a più di un’ondata epidemica. Il morbo interessò più volte la città di Bologna facendo non poche vittime, e si affacciò anche nel territorio imolese alla fine dell’estate 1886, provocando diversi morti. Nel 1886 studi ed esperimenti condotti da Giuseppina in collaborazione col Tizzoni ne indagarono le modalità di trasmissione anche attraverso il sangue degli infetti, come si legge in diverse pubblicazioni che furono tradotte in tedesco e in francese. Poi, dopo gli studi sul colera fu la volta del tetano, ed è qui che la ricerca pervenne al suo maggior risultato, la messa a punto di una terapia.

Riconosciutale nel maggio 1887 la Libera docenza in Patologia generale dapprima a Torino  poi a Bologna, tenne in questa sede un corso di Batteriologia di cui ci sono non solo documenti burocratici nell’archivio universitario, bensì echi sulla stampa locale come “L’Università” e “La Lega democratica”. Dobbiamo poi al corrispondente bolognese de “Il Piccolo della Sera” di Trieste nel numero della domenica 31 marzo 1889 una vivace ed entusiasta testimonianza sotto il titolo di Una professoressa d’Università – Giuseppina Cattani, ove si coglie l’occasione di stigmatizzare la misoginia ancora diffusa di fronte alla presenza femminile nei livelli più alti degli studi e dell’impegno sociale:

«Le maestrine elementari o degli asili infantili, le telegrafiste e le dottoresse sono degli esempi assai comuni di emancipazione muliebre nel nostro paese ormai accettati senza discussione; spesso, molto spesso anzi, ammirati per gli ottimi frutti che hanno dato. L’esempio invece di una dottoressa giovanissima, che dopo lunghi e pazienti studi, dando prova di un coraggio certamente non comune nel sesso femminino, e di un ingegno vigoroso e sano, sale la cattedra di una cospicua scienza nella più antica Università d’Italia, merita senza dubbio più che encomio l’ammirazione sincera e illimitata degli spettatori spesso indifferenti e ingiusti del nostro paese. […] L’esempio dunque di questa gentile, bella e colta signora che sale la cattedra dell’antico studio bolognese, che diventa collega di Pasquale Villari, Giosuè Carducci, Aurelio Saffi, Pietro Gandino, non può non essere accolto da un vivo sentimento di giubilo da quanti sentono non a chiacchere, ma a fatti la forza della dignità femminile. […] Ieri [25 marzo 1889], infatti, la dottoressa Giuseppina Cattani, docente con effetti legali in patologia generale, con una splendida prolusione elegante per l’ordine perfetto di esposizione, per la somma chiarezza dei concetti, per la lucida analisi delle leggi e dei fenomeni, inaugurava nel nostro ateneo il corso di batteriologia a una folla di studenti curiosi di vedere una signora giovane, bella, modesta e sapiente che, unica nel nostro paese e nel nostro tempo, ha raggiunto l’onore di salire sulla cattedra e che ha il valore scientifico per sapervi egregiamente rimanere. Io ho assistito alla dotta lezione, e ho applaudito calorosamente cogli altri, quando ella ha posto termine al suo dire. E mi sono convinto che gli applausi calorosi di tutta quella folla non erano un omaggio alla grazia, di cui ella pure è degna rappresentante; ma alla dottrina chiara, alla parola facile e persuasiva, alla convinzione che dalle sue parole si fa strada spontanea nell’uditorio».

  1. Isolamento e cultura del batterio del tetano, e sieroterapia antitetanica

Alla fine del 1888 la dott.ssa Cattani era rientrata a Bologna, forte dell’esperienza acquisita presso il Prof. Klebs all’Università di Zurigo. L’anno successivo la ricerca sua e del prof. Tizzoni prese a focalizzarsi sul bacillo del tetano che provocava, negli uomini e negli animali infettati attraverso una ferita, forti contratture muscolari, insufficienza respiratoria, crisi di asfissia, fino all’arresto cardiaco, risultando mortale in gran parte dei casi. Solo da pochi anni era stato dimostrato che il tetano era una malattia infettiva e ne era stata identificata la causa nel batterio Clostridium tetani, chiamato così per la sua forma simile a una clava (in latino clostridium). Non si era invece ancora riusciti a isolare e coltivare il batterio del tetano, passo che si era rivelato molto complesso. Ma già nell’aprile 1889 Tizzoni e Cattani annunciano all’Accademia medica di Torino di aver ideato una procedura per realizzare colture pure del tetano. Hanno raggiunto questo risultato indipendentemente da Kitasato, a Berlino, cui generalmente è attribuito. Nel 1890 Cattani e Tizzoni, contemporaneamente a Faber in Danimarca, scoprono la tossina proteica prodotta dal batterio del tetano e la identificano come sola e unica causa della malattia. Rendono pubbliche le loro ricerche con una serie di comunicazioni sulla rivista “La Riforma Medica” riassumendole in una lunga memoria in tedesco Bakteriologische Untersuchungen über den Tetanus redatta nel 1890 in collaborazione col dott. Elia Baquis, assistente nel laboratorio bolognese di Patologia, completa di tavole fotografiche e microfotografie. La possibilità di isolare e coltivare il bacillo del tetano era stata la premessa a studi e ricerche per conoscere le caratteristiche biologiche del microrganismo, la cui importanza doveva poi manifestarsi nella pratica medica.

Il secondo passo fu quello di cercare possibili antidoti, e dunque possibili terapie, e venne imboccata la strada di utilizzare gli anticorpi, ovvero le difese, che gli animali infettati avevano prodotto e sperimentarne l’efficacia inoculandoli su altri animali infetti. Individuati alcuni animali che avevano resistito al tetano, i ricercatori bolognesi verificarono con successo che il siero del loro sangue aveva il potere di contrastare in altri animali la tossicità degli agenti patogeni del tetano.

Fu in una seduta del 5 aprile 1891 alla Reale Accademia dei Lincei che venne letto un lavoro dal titolo Sulle proprietà dell’antitossina del tetano, ove i ricercatori bolognesi specificavano che quella chiamata da loro antitossina del tetano era una sostanza «a cui il sangue degli animali resi immuni contro questa malattia deve il suo potere di rendere innocuo il virus [ = batterio] ed il veleno tetanico». Il siero in realtà non distruggeva la tossina prodotta dal bacillo, ma aumentava la resistenza dell’organismo colpito, ne potenziava cioè la reazione immunitaria. Occorreva ora trasferire i risultati dagli animali all’uomo, operazione che andava fatta con tutte le cautele del caso.

Ci furono critiche, ci furono successi, ci furono inciampi. A criticare i risultati presentati dai due ricercatori fu tra gli altri il fisiologo prof. Pietro Albertoni, lo stesso che, in passato, all’atto dell’ammissione della dott.ssa Cattani alla Società Medico Chirurgica, aveva espresso apprezzamento per le sue capacità di ricercatrice. Ora invece sosteneva che le ricerche sul tetano condotte da Tizzoni e Cattani non erano conclusive e soprattutto che non si doveva passare a sperimentazioni sull’uomo. Giuseppina allora si dimise dalla Società, e si impegnò con varie pubblicazioni a difendere i risultati delle sue ricerche. Intanto però si registravano i primi successi nell’uso del siero antitetanico in campo umano: a Padova nel 1891 un uomo venne guarito dal tetano con siero proveniente dal laboratorio bolognese; a Molinella nello stesso anno il dott. Domenico Gagliardi, medico, filantropo, e combattivo socialista, trattava e guariva con lo stesso siero un caso di tetano traumatico.

Non sempre però le cose filavano lisce, come accadde nell’agosto del 1894 per un caso di tetano in ospedale a Faenza, quando non fu possibile inviare il siero per l’assenza sia del Tizzoni sia della Cattani. Ne nacque una polemica sul settimanale “Il Lamone” a cui Giuseppina, con la franchezza tipica del suo carattere, rispose in modo assai circostanziato: «Noi non possiamo, in nostra assenza, lasciare ad altri l’incarico di spedire antitossina; perché, come abbiamo reso noto in una Memoria pubblicata nei Giornali Medici, da qualche tempo e per qualche tempo ancora, non concediamo la nostra antitossina se non dopo avere noi stessi esaminato l’infermo per cui ci è chiesta. È questa una dolorosa necessità (dolorosa non solo per chi chiede ma anche per noi) impostaci da un cumulo di difficoltà di varia natura che peraltro speriamo di riuscire a vincere fra non molto. Ma anche nelle condizioni presenti, se io fossi stata a Bologna, il malato di Faenza avrebbe potuto esser curato colla nostra antitossina. Perché, in vista della poca distanza, sarei accorsa subito a visitarlo e non aver mancato di concedere il siero antitetanico per la sua cura, qualora non l’avessi trovato già moribondo…».

Dalla tesi di dottorato in Oncologia e Patologia sperimentale (a.a. 2005- 2006) di Carla Cardano concernente la ricerca sulle tossine in Bologna a fine Ottocento, apprendiamo quanto laboriose furono le indagini condotte da Tizzoni e Cattani, con quali esperimenti sugli animali, fino alla messa a punto del siero antitetanico. Ricavato in un primo momento dal sangue del cane e del coniglio, cui più tardi si aggiunse, quale produttore, il cavallo, il siero fu impiegato sempre più, basti pensare al largo uso che se ne fece sui feriti della prima guerra mondiale.

  1. Giuseppina Cattani torna a Imola

Che cosa inducesse Giuseppina Cattani ad abbandonare nel 1897 Bologna e l’Università, proprio mentre la terapia alla cui invenzione aveva dato un contributo fondamentale si affermava, non sappiamo. Sui motivi del suo ritorno a Imola gli storici non concordano: Raffaele Gurrieri riferisce genericamente di «interessi di famiglia»; Nazario Galassi la dice «costretta per motivi di salute e familiari» e fa riferimento alla malattia che la dottoressa avrebbe già contratto; Annacarla Morandi invece ritiene che la malattia la colpisse più tardi: una malattia che le deturpava il volto e ne accentuava il carattere schivo.

Ma vanno considerati anche altri motivi. Il ruolo proposto a Giuseppina Cattani dalle autorità imolesi di dirigere il Gabinetto di radiologia e la sezione di anatomia patologica e batteriologia dell’Ospedale civile di Imola era prestigioso. In quel torno di tempo l’istituzione sotto l’impulso del repubblicano collettivista Luigi Sassi conosceva una felice fase di rinnovamento e di progresso tanto da diventare uno dei principali centri sanitari del Paese. Come scrive Annacarla Morandi, «gli stimoli derivanti dalla realtà innovativa di avanguardia dell’ospedale di Imola sono probabilmente le principali motivazioni che indussero Giuseppina Cattani a lasciare la carriera accademica. Inoltre, data l’impossibilità di avere una propria Cattedra, la Dottoressa sarebbe stata destinata ad essere sempre subalterna al prof. Tizzoni».

Tra Ottocento e Novecento tutto il quadro cittadino era in movimento, e il nuovo secolo imprimeva ottimismo e slancio all’opera dell’amministrazione. Imola diveniva quasi un modello. In omaggio alla modernità e all’igiene tra il 1905 e il 1906 a Imola venivano abbattute le mura che ormai, anziché proteggere la città, rendevano più buie e umide le povere abitazioni dei cosiddetti terragli; l’elettricità sia per l’illuminazione sia come forza motrice sostituiva l’uso del gas; le principali vie cittadine, polverose e fangose, venivano selciate, e infine era avviato alla soluzione il problema dell’acqua potabile. Quando tra il 1911 e il 1912 si arrivò al capolinea dell’annoso problema di dotare la città di Imola di un acquedotto, fu proprio Giuseppina Cattani a compiere l’analisi batteriologica dell’acqua di falda che avrebbe dovuto dissetare i suoi concittadini. Gli imolesi fino ad allora avevano fatto ricorso a pozzi talora inquinati dai liquami, data la carenza o l’insufficienza della rete fognaria.

In quegli anni la malattia che faceva soffrire la nostra dottoressa si era aggravata. All’origine del male, il suo stesso impegno di ricerca, forse per l’uso senza precauzioni di sostanze radioattive di cui, come medico patologo, studiava l’azione sulle cellule. Sugli ultimi tempi della sua attività professionale c’è la commossa testimonianza di quello che era stato un suo giovane collega, il medico ed intellettuale imolese Giuseppe Cita Mazzini (1873-1953): «La ricordo benissimo – scrisse attorno al 1945 – quando veniva puntualmente, ogni mattina, verso le dieci, in ospedale e il suo passo secco e duro si sentiva risuonar da lontano sotto gli archi dei portici e su per le scale. Veniva, sola, in silenzio e si metteva subito al lavoro nell’una o nell’altra di quelle cinque o sei camerette che lei stessa aveva fatto arredare e fornire di mobili e di apparecchi in modo da formare una piccola ma completa sezione per studi e ricerche. Benché l’ospedale non contasse allora tanti letti come adesso, pure ne aveva del materiale da studiare e degli esami da fare. Quando era di buon umore, e cioè quando si sentiva un po’ meglio in salute, fra un preparato o un’indagine e l’altra, amava intrattenersi con noi e, nella sua conversazione, al particolar interesse scientifico, si accompagnava sempre il riflesso della sua coltura umanistica che era vasta e profonda. In caso contrario, avevi del bello e del buono a cavarle una parola di bocca. E dire che, sempre franca ed aperta, era stata anche gaia ed allegra, amante della buona compagnia fino a essere parte attiva di una nostra Società Filodrammatica che diede rappresentazioni a scopo benefico ed ebbe vita più o meno continuativa ma ricca di operosità e di propositi. […] Era stata colpita da un male che non perdona, che la mortificava, che la faceva soffrire e le deturpava il viso che teneva più che poteva coperto di una fitta veletta». E ancora: «Da giovane fu internazionalista […]. A quel gruppo di malfattori – così erano chiamati allora gli internazionalisti – appartenne anche la studentessa Giuseppina Cattani. La quale, più ancora che di Costa, fu amica, direi quasi sorella, della giovane e bionda Anna Kulisciof [sic]quando fioriva, qui, in Imola, il suo idillio col nostro Andrea. E qui dopo tant’anni entrambe si rividero. Fu in occasione del settimo Congresso nazionale del Partito Socialista tenutosi, in teatro, nel settembre del 1902. La Kulisciof, in quei giorni, fu ospite della stessa casa della Cattani (la ca d’la Nigota) dove tante volte aveva dovuto nascondersi un tempo, per sottrarsi alle ricerche della polizia che andava sulle sue traccie».

Il 13 dicembre 1914 il settimanale socialista di Imola “la Lotta” diede brevemente notizia della morte di Giuseppina, per riportare la settimana dopo la bella memoria del suo compagno internazionalista Giovan Battista Lolli. L’anno successivo fu il professor Raffaele Gurrieri (1862-1944), docente universitario di medicina legale e uomo di sentimenti socialisti, a comporne un’agile biografia arricchita di una ricca bibliografia pubblicata nel Bollettino delle Scienze Mediche a cura della Società Medica Chirurgica di Bologna. Il Gurrieri era di poco più giovane di lei e doveva averla conosciuta di persona: «Essa era di un’energia e franchezza eccezionali nella vita e di una intelligenza veramente superiore, ma nello stesso tempo di una modestia sconfinata. Per queste sue doti e per la simpatia naturale che ispirava, essa ebbe l’amicizia tenace e perseverante delle più elevate personalità di quegli anni…».

In quello stesso torno di tempo, il 27 marzo 1915, sul The British Medical Journal compariva un necrologio:  Wie regret to annonce the death  of  Dr. GIUSEPPINA CATTANI… Ne diamo la traduzione integrale: «Siamo spiacenti di annunciare la morte della Dott.ssa Giuseppina Cattani, docente di patologia generale, prima all’Università di Torino, poi in quella di Bologna. Il suo nome è associato a quello di Tizzoni per gli studi sul tetano. Ella è stata anche autrice di numerosi saggi che contengono risultati di ricerche indipendenti. Il suo stato di salute le rese impossibile continuare la sua attività come docente universitaria, tuttavia continuò a dirigere i laboratori degli Ospedali Civili e l’istituto clinico della sua città natale, Imola».

Sulla figura di questa donna calò poi un lungo silenzio: la guerra, i mutamenti politici, il regime…  La salma della dottoressa venne addirittura traslata dal cimitero imolese a quello di Bagnara, cittadina in cui viveva la sorella. L’interesse verso la scienziata rinacque solo nel secondo Novecento per merito dello storico Nazario Galassi, studioso in particolare (ma non solo) delle istituzioni ospitaliere imolesi. Con l’inizio del nuovo secolo altri studi soprattutto di storiche attente all’universo femminile come Annacarla Morandi e Carla Cardano hanno indagato con ricchezza di dettagli la vicenda della Cattani. In questo risveglio di interesse, momento topico è l’anno 2002, quando venne dedicato a lei il Centro prelievi dell’AUSL di Imola e, per iniziativa dello stesso Galassi, le sue spoglie fecero ritorno solenne a Imola per essere tumulate nel famedio cittadino, dove è possibile ora portare quell’omaggio di fiori che l’antico compagno sollecitava per lei.

Nota bibliografica essenziale – Giovan Battista Lolli, La Professoressa Giuseppina Cattani e l’Internazionale, “La Lotta”, 20 dicembre 1914;  Raffaele Gurrieri, La dott.ssa Giuseppina Cattani, Società Medica Chirurgica di Bologna, Bollettino delle Scienze Mediche, Bologna 1915; Cita Mazzini, Imola d’una volta [1942-46], a cura di Carla Cacciari e Giuliana Zanelli, Imola 2003, Editrice La Mandragora, pp.429-435; Nazario Galassi, Figure e vicende di una città. vol II, pp.378-393, Imola 1986, Editrice Coop. Marabini;  Nazario Galassi, Giuseppina Cattani una vita per la scienza e l’umanità, Imola 2002; Nazario Galassi, La dedicazione a Giuseppina Cattani del Centro prelievi dell’AUSL di Imola, Imola 2002; Annacarla Morandi, Medichesse a Bologna: il caso di Giuseppina Cattani (1859-1914), «Pagine di vita e storia imolesi» n. 9, Imola 2003; Carla Cardano, Le ricerche sulle tossine svolte nella Patologia generale di Bologna dalla fine del XIX secolo a oggi, dottorato di ricerca Università degli studi di Bologna,  a.a. 2005/6, cfr. ivi  Le ricerche sul Clostridium tetani e sulla tossina tetanica, pp. 20-50.

Condividi questo contenuto...

Lascia un commento