di Sandro Moiso
Lev Tolstoj, Patriottismo o pace?, Mattioli 1885, 2023, pp. 128, euro 10,00
Ancora guerra. Ancora sofferenze immotivate, delle quali nessuno beneficia; ancora menzogne; ancora gente inebetita e inferocita (Ravvedetevi! – Lev Tostoj, 1904)
Il titolo di questa recensione ricalca il titolo del capolavoro maggiore di Lev Tolstoj (1828-1910), proprio per sottolineare come non possa esistere una linea intermedia tra la prima e la seconda per chi, davvero, intenda rifiutare i grandi macelli nazionalisti e imperialisti come modo per promuovere la seconda oppure per “difenderla”. Questo soprattutto alla luce del fatto che il grande autore russo, che proprio al tema della guerra dedicò alcune delle sue opere più importanti fin dai suoi esordi letterari, nei tre testi selezionati da Verdiana Neglia per il volumetto pubblicato da Mattioli, cerca di disvelare le menzogne del patriottismo, del difesismo e del pacifismo “armato” che servono solo e sempre a giustificare l’espansionismo imperiale, il revanscismo nazionalista e l’odio per un “nemico” spesso costruito a tavolino e servito bell’e pronto per l’immaginario collettivo e la sua manipolazione in chiave bellicista.
I tre testi: Ravvedetevi! (1904), Le due guerre (1898) e Patriottismo o pace? (1896) appartengono all’ultimo periodo della vita dello scrittore e si riferiscono a momenti ed episodi diversi. Il primo, che è anche il più recente, scritto in occasione dello scoppio del conflitto russo-giapponese; il secondo in occasione del conflitto ispano-americano che avrebbe portato all’espansione dell’imperialismo americano nel Mar dei Caraibi e nel Pacifico e, infine, il terzo, in occasione del conflitto che rischiò di esplodere tra Stati Uniti e Regno Unito a proposito dei confini del Venezuela nel 1895.
In tutti e tre i casi Tolstoj, nel manifestare il suo pacifismo integrale di stampo cristiano, rivolge la sua critica sia all’uso delle armi come strumento di risoluzione delle vertenza internazionali, sia, e forse soprattutto, alle mire imperiali ed espansionistiche che tutte quelle chiamate alla armi celavano dietro a roboanti discorsi anelanti alla libertà e alla giustizia oppure ad una pace “più giusta”.
Non fa sconti lo scrittore né all’imperialismo zarista né, tanto meno, a quello delle altre potenze principali dell’epoca, che da lì a poco, dopo la morte di Tolstoj, si sarebbero confrontate nell’immane carneficina della Prima guerra mondiale. Ma soprattutto non fa sconti agli intellettuali, ai pennivendoli, ai politici presunti “illuminati” che diffondono ed esaltano il verbo di una guerra cui loro, però, prendono parte soltanto a parole.
[…] come possono i cosiddetti uomini illuminati predicare la guerra, promuoverla, parteciparvi senza minimamente esporsi ai pericoli (è questa la cosa peggiore), fomentarla e mandarvi incontro i propri fratelli, infelici e ingannati? […] La maggior parte di loro ha scritto o discusso di questo argomento. […] Tutte queste persone illuminate sono consapevoli che l’armamento generale degli Stati l’uno contro l’altro conduce, senza fallo, a guerre interminabili, o alla bancarotta generale, o a entrambe le cose; sanno che, oltre allo spreco sciocco e insensato di miliardi – ossia di una grande quantità di risorse umane – per prepararsi al conflitto, periscono milioni di uomini energici e vigorosi nel momento della loro vita più adatto a svolgere un lavoro produttivo (le guerre del secolo scorso hanno portato a una perdita di quattordici milioni di uomini). […] Tutti sanno – non possono non saperlo – che le guerre suscitano nelle persone le passioni più depravate e animalesche, le corrompono, le brutalizzano. Tutti conoscono la natura poco convincente delle argomentazioni a favore della guerra […] ma all’improvviso scoppia una guerra e dimenticano ogni cosa. Coloro che fino a ieri sottolineavano la crudeltà, l’inutilità, la follia delle guerre, ora pensano, parlano e scrivono solo di come sconfiggere il maggior numero possibile di avversari, rovinare e distruggere le opere dell’ingegno umano e come fomentare il più possibile la misantropia delle persone pacifiche, innocue e laboriose che con il loro lavoro sfamano, vestono e sostengono proprio questi soggetti pseudo-illuminati, gli stessi che le costringono a commettere atti terribili1.
Non c’è una parola, tra quelle riportate, non un esempio che non sia direttamente riferibile alla guerra in corso in Ucraina e all’atteggiamento che governi, media e intellettuali di regime hanno assunto nei suoi confronti, da una parte e dall’altra dei due schieramenti. E questo rivela anche come l’attuale russofobia, sul lato occidentale e nelle istituzioni politiche e culturali nostrane, cerchi di cancellare contributi di una letteratura, quella russa dell’Ottocento e del Novecento, che forse più di tante altre ha ben conosciuto e combattuto l’ipocrisia del potere e la sua intrinseca violenza.
Non a caso, forse, la prefazione al testo è stata affidata a Paolo Nori, docente, traduttore dal russo, scrittore e saggista2 cui subito, all’inizio della guerra, nel marzo del 2022 fu impedito di tenere un corso su Fëdor M. Dostoevskij all’Università Bicocca di Milano. Eppure, eppure… l’Italia e l’Occidente vantano la superiorità morale del proprio sistema liberal-democratico rispetto al dispotico Putin, che diventa così esempio dell’illiberalità e della violenza di un intero popolo e di un’intera cultura. C’è forse qualcosa che è ancora necessario aggiungere?
Sì, forse proprio la risposta che lo stesso Nori ha dato ad un lettore che accusava Tolstoj di mettere sullo stesso piano aggressori e aggrediti: “Tolstoj lo faceva sempre, era un po’ un disgraziato”. Continuando poi con l’affermare:
E quando sempre in Ravvedetevi!, Tolstoj scrive: «Ieri è arrivata ala notizia dell’affondamento delle corazzate giapponesi e nelle cosiddette sfere altolocate della nobiltà russa, ricca e intelligente, senza alcun rimorso di coscienza, ci si è rallegrati per la fine di migliaia di vite umane» (p.99), a me viene in mente Kurt Vonnegut quando in Mattatoio n. 5 – il romanzo che ha dedicato al bombardamento di Dresda, del quale è stato involontariamente protagonista (era a Dresda, prigioniero dei tedeschi) – scrive: «Ho detto ai miei figli che non devono, in nessuna circostanza, partecipare ad un massacro, e che le notizie di massacri compiuti tra i nemici non devono riempirli di soddisfazione o di gioia»3.
Come sembra invece accadere, ancora oggi, nei salotti mediatici e politici e sulle prime pagine dei giornali e dei notiziari, dove la conta dei danni arrecati agli avversari sembra rasentare la necrofilia e la pornografia della morte. Continuando invece, ancora una volta da una parte e dall’altra, a trattare le azioni nemiche solo e sempre come specifici atti criminali oppure di terrorismo, nascondendo il “semplice” fatto che proprio la guerra di per sé già li comprende e produce entrambi. Così come pensava il sempre attuale, ammirevole, umanamente testardo e inamovibile Lev Nikolàevič Tolstòj.