*Articolo pubblicato su CADTM Italia
Il piano di solidarietà dell’Unione Europea di 1000 miliardi (?) nei confronti dei paesi più colpiti dall’epidemia di covid-19 è una ingannevole rappresentazione, funzionale ad una posta in gioco molto alta: fronteggiare la gravissima instabilità finanziaria, capace di investire la natura stessa dell’ unione monetaria, nell’interesse delle grandi oligarchie economico-finanziarie.
Persino Goldman Sachs tifa per l’UE e auspica che i paesi dell’eurozona trovino un accordo e si aspetta “che il programma di acquisti pandemici di emergenza della Bce contribuisca alla sostenibilità del debito”. Persino gli investitori di Citigroup invitano gli Stati europei alla solidarietà e dicono: «Prestiti senza condizioni o la Ue è a rischio».
Comunque li si guardi, i farmaci indicati per fronteggiare l’emergenza e la lunga crisi produttiva e sociale, che se farà seguito, allungheranno i tempi di sopravvivenza del malato, ma non aggrediranno la malattia (V. Giacchè).
Anzi, per molti aspetti il farmaco è letteralmente il veleno che in prospettiva fluirà nelle cellule dei malati: il debito. Ancora più debito.
Unicredit Research stima che l’Italia dovrà prevedere l’emissione di titoli di debito pubblico per 120-150 miliardi di euro da qui a fine anno.
Il Programma di acquisto di titoli (APP e PEPP) da parte della BCE per far fronte all’emergenza pandemica (66,5 mld nel mese di marzo), cui dovrebbero far seguito altri 750 miliardi entro la fine del 2020, è destinato all’acquisto sul mercato secondario, quindi da banche e fondi speculativi, di titoli del debito pubblico, e non già sul mercato primario, direttamente dagli Stati. Più debito e più speculazione finanziaria ai danni dei paesi più esposti.
Una bella boccata di ossigeno invece immessa nel circuito finanziario, che non metterà i paesi europei al riparo da vincoli, condizioni, obblighi. Lo chiarisce a scanso di equivoci Dombrovskis, vice-presidente della Commissione europea:
«Una volta che sarà finita la crisi sanitaria e la ripresa economica sarà avviata dovremo tenere conto della posizione di partenza per quanto concerne la politica di bilancio: è chiaro che dopo l’emergenza i Paesi avranno deficit e debito pubblico più alto”, ed ha aggiunto che gli Stati “devono tenere conto della sostenibilità di medio termine” delle finanze pubbliche.
Se attualmente le regole del Patto di stabilità e crescita sono sospese, non tarderà ad arrivare il conto del debito.
Il primo round degli accordi presi dai paesi dell’eurozona, presentato come parte di un grande piano solidale (Gentiloni, Gualtieri), sono in realtà dei bocconi avvelenati, che verranno fatti ingoiare ai solerti capi di stato e di governo dai burocrati di Bruxelles, quando i termini saranno definiti nei dettagli.
Ciò che si sa è che verrà erogato credito dal Mes per 240 miliardi senza condizionalità (ma dovremo verificare se sarà vero!) solo se destinato a spese mediche, per un importo massimo pari al 2% del PIL di ogni paese.
É sottinteso che sulla concessione di eventuali altri prestiti concessi dal MES, finalizzati alla ripresa economica, rimarrebbe una stretta condizionalità, presidiata dalla Troika, affinché non venga messa “a repentaglio la sostenibilità di bilancio” (A. Somma).
In ogni caso anche sui prestiti del Mes finalizzati alla sola ’emergenza sanitaria, il comunicato conclusivo dell’ultimo incontro dell’eurogruppo non lascia spazio a dubbi: “dopo, gli Stati restano impegnati a rafforzare i fondamentali economici, coerentemente con il quadro di sorveglianza fiscale europeo, inclusa la flessibilità” . Ancora debito ed austerità.
I 200 miliardi di finanziamenti messi a disposizione delle piccole e medie imprese dalla Banca europea per gli Investimenti sono assolutamente insufficienti e comunque i capitali prestati alle imprese, raccolti presso il libero mercato finanziario, saranno garantiti da un fondo costituito dagli stati di 25 miliardi.
Un palliativo saranno i 100 miliardi previsti dal programma Sure, destinato a sostenere la cassa integrazione, a fronte della gravissima crisi economica che sarà innescata dal coronavirus, e che è parte di una “crisi multidimensionale” del capitalismo (E. Toussaint), che già si appalesava nei numeri delle curve dei rendimenti, delle perdite bancarie, della caduta della produzione industriale e dei PIL . Anche in questo caso i paesi che si avvarranno del programma Sure dovranno fornire garanzie costituendo un fondo di 25 miliardi.
Debito e ulteriore finanziarizzazione dell’economia: questa è la via maestra seguita dall’UE, che prolungherà la vita del malato, ma non ne garantirà la sopravvivenza, essendo pericolosamente costretto ad incedere, consolidandolo, su un terreno minato da 200.000 miliardi di dollari di debito, pari a tre volte il valore del Pil globale, dentro il quale ci sono valori gonfiati, tassi di interesse virtuali, capitale fittizio, crediti deteriorati, prodotti finanziari spazzatura, indicibili speculazioni parassitarie. Altro non è dato.
I paesi europei più indebitati saranno maggiormente esposti ai tentacoli della speculazione finanziaria, che trarrà più alti tassi di rendita dall’incremento di debito e dalla nuova morsa in cui saranno strette le popolazioni.
La verità è che mantenere gli stati indebitati garantisce un’ importantissima forma di valorizzazione e di estrazione del capitale finanziario.
Basterebbe, se davvero l’UE volesse fornire forme di solidale sostegno economico, che alla luce dell’emergenza sanitaria, assolutamente eccezionale, e della crisi economica conseguente, che stanno colpendo i paesi, fosse riconosciuto loro di sospendere il pagamento del debito pubblico o quantomeno fosse accordata una moratoria sugli interessi sul debito (E. Toussaint). Solo una moratoria sugli interessi per un paio di anni permetterebbe all’Italia di non aumentare ulteriormente il suo debito.
Il debito peraltro non è solo danaro da restituire, ma un rapporto di potere tra i più forti e i più deboli, la cui funzione è quella di disciplinare i più deboli e farne docile strumento da convertire agli interessi dominanti. Di “virtuoso” in tutto questo non c’è proprio nulla, né i bilanci cosiddetti sostenibili, né gli arbitrari vincoli dei trattati europei.
Il debito è anche una forma di governance, una immediata tecnologia di governo, in grado di integrare la funzione di controllo sociale operata dallo Stato nella sua forma neoliberale (Lazzaratto).
Debito e speculazione finanziaria detteranno la futura agenda economica e politica dei paesi europei.
E se oggi molti tra i liberisti più convinti (ad es. Mario Draghi) all’improvviso invocano l’intervento degli Stati, come traghettatori verso la sponda dell’uscita dalla crisi e, quasi illuminati sulla via di Damasco, sembrerebbero convertiti al tanto aborrito interventismo statale, in realtà programmano la definitiva erosione dei poteri pubblici, più propriamente la fine del potere pubblico, nel ruolo delineato dalla Costituzioni del secondo dopoguerra.
Gli stati indebitati, nella nuova variante proposta da Draghi, diventano apparati al servizio degli interessi dell’oligarchia economico-finanziaria. Devono servire ad assorbire nei loro bilanci le perdite del settore privato, aumentando in modo permanente il debito pubblico, cancellare i debiti privati, addirittura facendosi carico delle garanzie da offrire in caso di inadempienza dei privati.
Di fronte all’implosione di un sistema economico globale basato su sfruttamento estremo e finanza volatile (D. Harvey), il classico laissez faire-laissez passer cede postazioni ad una variante del paradigma neoliberista.
La nuova teorizzazione, che fa capolino, non è “più mercato e meno stato “(formula ipocrita, mai realmente messa in pratica), ma più Stato in funzione del mercato.