di Fabio Ciabatti
Alberto Toscano, Late Fascism: Race, Capitalism and the Politics of Crisis, Verso, London-New York 2023, € 22,36.
Il fascismo contemporaneo può ancora rappresentare una concreta minaccia dal momento che si presenta privo di alcuni degli elementi essenziali che ne hanno determinato l’affermazione negli anni Venti e Trenta del secolo scorso? Senza un movimento di massa, una spinta utopistica per quanto pervertita e un incombente pericolo rivoluzionario cui contrapporsi, può di nuovo sovvertire l’ordine liberale e democratico?
In effetti, sostiene Alberto Toscano nel suo libro Late Fascism, le soluzioni elaborate dai movimenti di Mussolini e di Hitler appaiono “fuori tempo” dato il loro intimo legame con la crisi capitalistica successiva alla Prima guerra mondiale, con l’era del lavoro manuale di massa, della coscrizione universale maschile in vista della guerra totale e dell’imperialismo esplicitamente razzista. Possiamo allora dormire sonni sereni, fiduciosi nel carattere straordinario dei regimi fascisti?
Non proprio, sostiene sempre Toscano, perché il quadro cambia se abbandoniamo una concettualizzazione meramente analogica del fascismo. In altri termini, se lasciamo da parte l’idea che per parlare di questo fenomeno politico la cosa essenziale sia raffrontare gli epigoni contemporanei con il loro modello originale, stilando una sorta di checklist dei sintomi in grado di diagnosticare lo stato di avanzamento della malattia.
Abbandonare il piano analogico significa concepire il fascismo come un fenomeno di lunga durata e storicamente mutevole. Vuol dire intenderlo come una dinamica che precede la sua stessa denominazione, sempre strettamente legata ai prerequisiti della dominazione capitalistica, anch’essa diversificata nel tempo. Utilizzando la definizione di W. E. B. Du Bois, si può parlare di “controrivoluzione della proprietà”.
Sviluppando questo approccio, Toscano mette in luce quattro dimensioni del fascismo. In primo luogo, bisogna riconoscere che le pratiche e le ideologie che si sono cristallizzate tra le due guerre mondiali sono state anticipate e preparate dall’espropriazione e dallo sfruttamento delle “razze minori senza legge”, perpetrati attraverso il colonialismo, la schiavitù e il capitalismo razziale intra-europeo. Una sorta di “fascismo senza fascismo” che ha contraddistinto l’espansione imperialistica su scala mondiale.
In secondo luogo, i sistemi politici considerati liberaldemocratici possono ospitare al loro interno istituzioni che operano come regimi di dominio e terrore per ampi settori della loro popolazione, soprattutto nei confronti dei soggetti razzializzati, come ha messo bene in evidenza il pensiero nero radicale negli Stati Uniti (George Jackson e Angela Davis sono alcuni tra gli autori citati da Toscano). Occorre dunque superare l’idea che si possano proiettare univocamente gli idealtipi sulla storia: il liberalismo, la socialdemocrazia, il neoliberismo e lo stesso fascismo non sono ordini politici che operano in spazi e tempi mutuamente esclusivi, ma ideologie e pratiche, anche istituzionali, che possono coesistere e intrecciarsi.
In terzo luogo, il fascismo si fonda su una controviolenza preventiva, su un desiderio di rinascita etno-nazionalista alimentato dal fantasma di un’imminente e potenzialmente catastrofica minaccia di natura culturale, demografica ed esistenziale. Il panico epocale generato dalla “marea crescente di colore” e dalla “rivoluzione mondiale di colore”, che ha favorito l’ascesa del fascismo dopo la Prima guerra mondiale, si è mutato nelle narrazioni tossiche sulla sostituzione etnica e sul suicidio culturale che sono oggi condivise sia dai mass shooter sia da molti rispettabili politici. Paure cui si aggiunge una sorta di “gender panic”, derivante da un presunto disordine sessuale figlio del femminismo, funzionale a un tentativo di restaurazione dell’autorità patriarcale. Questa tendenza reazionaria può risultare tanto più efficace quanto più è capace di offrire anche alle donne, ovviamente solo a quelle bianche, una pseudo-spiegazione della loro infelicità e un’arena affettiva per esprimere la loro malintesa rabbia, dando luogo, tra l’altro, a una forma “anti-femminismo femminile” che ha come bersaglio preferito il femminismo neoliberale, facilmente criticato per il suo carattere elitario ma pretestuosamente identificato con il femminismo tour court.
In quarto luogo, il fascismo richiede la produzione di soggettività che, di certo, prevedono obbedienza a un potere statale dispotico, ma attingono anche a un’idea sui generis di libertà e di uguaglianza. La partecipazione allo squadrismo fascista o alle SS naziste ha infatti concesso a un gran numero di individui il potere di uccidere, di violentare e di derubare il proprio vicino. Si tratta, in breve, di una reinvenzione della logica coloniale della piccola sovranità, di una “liberalizzazione” e “privatizzazione” del monopolio della violenza, sicuramente circoscritte, ma molto reale. Allo stesso tempo il fascismo promuove un “egualitarismo repressivo”, basato su un’identità nella sottomissione e una fraternità nell’odio che, ovviamente, non ha carattere universalistico ma esclusivistico, essendo riservato a coloro che appartengono alla razza e alla nazione eletta.
Parlando di libertà e uguaglianza fascista si può comprendere, secondo Toscano, come la rinascita contemporanea dell’estrema destra non si basa sul rovesciamento dell’individualismo competitivo di stampo neoliberale, ma su un suo particolare compimento. L’autore ci ricorda che, storicamente, il fascismo non nasce con l’intenzione totalitaria di fondere politica ed economia, ma come un “virulento antistatalismo guidato dallo stato”, finalizzato a risolvere la crisi postbellica attraverso la restaurazione dell’egemonia liberale sul terreno economico. Tornando ai nostri giorni, vediamo come si facciano sempre più porosi i confini tra la concezione neoliberista della libertà (libertà di mercato e di possedere, assenza di interferenze con la sovranità individuale) e quella fascista (libertà di dominare e di governare). Una convergenza resa possibile dalla condivisione di un immaginario incentrato sulla competizione e sulla sopravvivenza del più forte, e sull’avversione nei confronti della solidarietà, della cura e della vulnerabilità. Il neoliberismo, in breve, deve essere autoritario e populista perché non può essere autenticamente democratico e popolare, preparando così il terreno al tardo fascismo.
Ma cosa dire dell’iperindividualismo contemporaneo che sembra segnare uno scarto decisivo rispetto alle masse compatte mobilitate dal fascismo storico? In realtà le cose sono ben più complesse. Seguendo Adorno, Toscano sostiene che, anche nei movimenti tra le due guerre, gli individui non si identificano realmente con i rispettivi leader, ma partecipano alle loro performance, mettendo in scena un’entusiastica adesione alla causa collettiva. Fermandosi anche per un secondo, l’intera performance è a rischio di andare in pezzi lasciando gli individui nel panico.
Utilizzando le categorie di Sartre, si può anche sostenere che i movimenti fascisti, pur agendo realmente, non si trasformano mai in un gruppo in fusione, rimanendo sempre allo status di massa eterodiretta, dispersa e connotata dalla serialità. Il fatto che per Sartre proprio la serialità sia una determinazione cruciale per la costituzione della sovranità statuale moderna suggerisce come i confini tra l’eterodirezione fascista e quella non fascista potrebbero essere più porosi di quanto pretenderebbe il buon senso liberale. Anche se, aggiunge Toscano, il fascismo eccelle nella manipolazione delle serialità generate dalla vita sociale capitalista, con la sua capacità di plasmare pseudo-unità e false totalità attraverso discorsi di supremazia razziale, etno-nazionalista e religiosa.
Il carattere per certi versi farsesco dell’assalto al Campidoglio da parte dei sostenitori di Donald Trump nel 2021 non deve trarre in inganno. Anche la farsa è una forma di performance che, al pari delle messe in scena più seriose, è in grado di tenere insieme differenti e incompatibili immaginari autoritari, coinvolgendo una composizione sociale e di classe quanto mai eterogenea. I molteplici vettori di comunicazione e di aggregazione che oggi contraddistinguono l’estrema destra americana (e non solo), amplificano il carattere “pluralistico” e contraddittorio del fascismo tradizionale. Ma questa è tutt’altro che una debolezza, sostiene Toscano, come l’approccio razionalistico della sinistra sembra spesso ritenere.
Questo perché il “tempo per il fascismo” è il tempo della crisi, nella sua dimensione oggettivamente socioeconomica. La sfida per ogni risoluzione fascista della crisi è di realizzare una mediazione tra due tipi di temporalità divergenti: da una parte, il tempo del risentimento e del revanchismo (il tempo dell’identità e della razza), dall’altra quello dell’accumulazione (il tempo del valore). O, meglio ancora, la vera sfida è di subordinare il primo tipo di temporalità al secondo. La soluzione viene allora trovata attingendo a un archivio disordinato di immaginari ed esperienze sedimentate nel tempo grazie al quale il futuribile e l’arcaico, il nuovo e la ripetizione, la rivoluzione e il ritorno all’origine, la decisione e il destino possono convivere in una miscela instabile ed esplosiva.
Tutto ciò richiama la dimensione della “non-contemporaneità” che Bloch, citato da Toscano, ha per primo messo in luce sottolineando la presenza nella Germania degli anni Trenta di strati sociali fuori sincrono rispetto ai ritmi dell’accumulazione capitalistica (contadini, piccolo borghesi, aristocratici, sottoproletari ecc.). Strati sociali cui appartengono fantasie irrealizzate di una vita migliore, memorie di modi di vita precapitalistici, desideri improduttivi e in eccesso che sono stati deviati e irreggimentati dal fascismo. Allo stesso tempo, prosegue Bloch, abbiamo a che fare con frammenti di un immaginario che possono rivelarsi rivoluzionari qualora riescano entrare in risonanza con la contraddizione “sincronica”, quella tra capitale e lavoro.
Ma nelle società dei nostri giorni, si chiede Toscano, possiamo ancora parlare di non-contemporaneità? Il capitalismo attuale, con la sua capacità senza precedenti di modellare e omogeneizzare i desideri e la vita quotidiana, soprattutto sotto l’apparenza di differenza, scelta e libertà, ha portato con sé il prosciugamento delle differenze culturali e temporali dall’esperienza vissuta, insieme a tutte le loro potenzialità utopiche. Insomma, secondo l’autore di Late Fascism, non ci sarebbe più alcun passato da salvare. Quantomeno nulla di antico. Quando Trump parla di fare di nuovo grande l’America, infatti, non fa riferimento ad alcunché di arcaico, ma a un fordismo post-bellico con tratti fortemente idealizzati, soprattutto per quanto riguarda il benessere diffuso e il compromesso patriottico tra grande capitale e lavoro.
Eppure, possiamo commentare, la sussunzione di modi di vita, culture e tradizioni non capitalistiche sotto il segno della mercificazione universale, non significa necessariamente la scomparsa di tutto ciò che viene dal passato e/o dal mondo non occidentale. Il capitale ha interesse a distruggere solo ciò che è incompatibile con le leggi della sua valorizzazione. Tutto il resto lo può rifunzionalizzare, mettere a valore o lasciar vivacchiare ai suoi margini. Il passato può sopravvivere come preferenza individuale per il consumo di merci e valori vintage, privato della sua profondità storica. Potremmo allora ipotizzare che il postmoderno, a modo suo, generalizzi il rapporto con la storia proprio della cultura di destra per la quale, sostiene Furio Jesi citato da Toscano, “il passato è una sorta di pappa omogeneizzata che si può modellare e mantenere in forma nel modo più utile”. La non-contemporaneità è dunque salvata, ma al tempo stesso superata al punto di essere resa difficilmente riconoscibile.
Similmente deformati, secondo Toscano, appaiono i lineamenti della classe operaia cui si appella il tardo fascismo, poco o nulla definita dal suo rapporto con i mezzi di produzione. Il suo tratto caratteristico è invece quello di essere di pelle bianca e di genere maschile. La connotazione razziale (e di genere) riempie una nozione politicamente vuota o spettrale della classe operaia permettendo a una soggettività pseudo-collettiva di aggregarsi per mezzo di un investimento emotivo caratterizzato da una rancorosa volontà di escludere l’alterità più che da un sentimento di vicinanza con il proprio simile. Per questo, a differenza di quello che pensa un certo populismo di sinistra a rischio di colorarsi di tinte rossobrune,
non esiste alcun percorso che conduca dalla falsa totalità di una classe razzializzata ed eterodiretta a una rinascita della politica di classe, non esiste alcun modo per trasformare le statistiche elettorali o gli studi mal progettati sul “soggetto populista” e sugli “uomini e donne dimenticati”, in punti di partenza per ripensare una sfida al capitale o per analizzare e mettere in discussione i fondamenti stessi del discorso fascista.1
Questo pallido simulacro del proletariato è solo un ostacolo. Ma ciò non significa buttarsi dalla parte opposta per contrastare le tendenze autoritarie del nostro periodo, annacquando l’antifascismo in un “fronte (im)popolare con liberali e conservatori”. Anche il neoliberismo presuntamente progressista, quello che sta alla base della maggior parte delle denunce tradizionali del fascismo, è contraddistinto dalla continua produzione di disuguaglianze ed esclusioni infiocchettate da impegni formali e stereotipati a favore dei diritti, della diversità culturali e delle differenze di genere. Facendo causa comune con esso, ammonisce Toscano, ci si allea con la causa per scongiurarne gli effetti. Di conseguenza, riecheggiando le parole del francofortese Max Horkheimer, non si può che giungere a una conclusione:
Chi non è disposto a parlare di anticapitalismo dovrebbe anche tacere sull’antifascismo. Quest’ultimo, inteso in senso ampio, non è solo una questione di resistenza al peggio, ma sarà sempre inseparabile dalla costruzione collettiva di modi di vivere che possono annullare le narrazioni letali di identità, gerarchia e dominio che la crisi capitalista ripropone con così cupa regolarità.2
In estrema sintesi, il fascismo di cui ci parla Alberto Toscano non è l’alterità mostruosa che si oppone al capitalismo, come vorrebbe il pensiero liberale che spesso immagina l’affermazione di questo altro da sé come un evento storico aberrante ed eccezionale. E’ piuttosto il suo lato oscuro, il suo doppio che vive costantemente ai margini (interni ed esterni, sociali e geopolitici) di quello che la cattiva coscienza liberale percepisce come il suo mondo ordinario (che è normalmente assai più limitato dell’intera realtà). Un lato oscuro che è pronto a proiettare la sua fetida ombra sull’intera società quando erompe il tempo della crisi.
I margini in cui allignano le tenebre, aggiungiamo da parte nostra, possono anche essere concepiti, con l’aiuto di Marx, come ciò che si trova al limite dell’arco visivo dell’ideologia dominante. Quest’ultima fissa di preferenza il suo sguardo sulla sfera della circolazione delle merci, vero Eden dei diritti dell’uomo dove regnano libertà e uguaglianza per tutti i possessori di merci e, per estensione, per tutti i cittadini. Da questo punto di vista, ciò che rimane ai margini è, paradossalmente, il cuore di tenebra del mondo capitalistico, dove domina tutt’altra logica. Nel “segreto laboratorio laboratorio della produzione”, infatti,
il capitale formula come privato legislatore e arbitrariamente la sua autocrazia sugli operai, prescindendo da quella divisione dei poteri tanto cara alla borghesia e da quel sistema rappresentativo che le è ancor più caro.3
Ed è proprio questo dispotismo, connaturato al rapporto tra capitale e lavoro nella sfera della produzione, che tende a prevalere anche nell’ambito politico, investendo le relazioni tra governanti e governati anche nel centro dell’impero, quando la silenziosa coazione dei rapporti economici non è più sufficiente ad assicurare la riproduzione del sistema capitalistico, cioè in tempi di crisi. Tempi che, oggi come in passato, ci portano verso scenari bellici sempre più allargati, lasciando spazi di libertà sempre più ristretti per chiunque non si voglia schierare tra le file delle armate patrie.