Il G7 deve decrescere

G7

Introduzione di Federico Arcuri di Associazione Decrescita

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Riportiamo qui un testo scritto da attivistu di Ultima Generazione e Debito per il Clima, due ambienti di lotta in cui l’orizzonte politico della decrescita sta diventando sempre più importante per organizzare una via d’uscita praticabile dal capitalismo patriarcale e coloniale. Il testo è stato scritto per l’assemblea di Verona del 14 marzo, quando nella città si teneva la riunione del G7. Per quanto sicuramente il testo non rispecchi un punto di vista ufficiale dei movimenti in considerazione, e sia apparso solo su dei volantini a Verona, pensiamo che possa costituire un punto di partenza interessante per creare alleanze con il movimento della decrescita e formare un fronte unico anti-capitalista. L’ingresso della decrescita in movimenti militanti per lo più giovanili è un’evoluzione alla quale dobbiamo dare la giusta importanza e supporto.

“Voi 7, noi 7 miliardi

Siamo qui oggi anche per sederci insieme in assemblea e discutere insieme le nostre risposte a queste domande.

Una, di base.

Per quali motivi gli eventi come questo non rappresentano la popolazione? 

E altre quattro che riflettono le nostre richieste.

  1. Industria, intelligenza artificiale, armi: quali scelte del G7 e quali esempi attuali e storici mi portano a non fidarmi di chi è là dentro? Quali sono le alternative a questo governo?
  2. Cancellazione del debito del Sud Globale: che cosa cambierebbe? Come può cambiare l’economia ed insieme ad essa la democrazia? 
  3. Cosa significa per me decrescita e che esempi ne conosco? A cosa porta la logica della crescita? 
  4. Che cos’è il tecno-ottimismo, in cosa lo vedo? Che alternative si possono mettere in atto? 

Questi temi si intrecciano in una giornata in cui il nostro filo conduttore sono le responsabilità del G7 verso la Palestina, che vogliamo qui oggi denunciare con forza nella speranza di attivare emotivamente e praticamente sempre più persone al nostro fianco.

“La Palestina contiene un ampio potenziale per la colonizzazione di cui gli arabi non hanno necessità né sono in grado di sfruttare,” queste le parole di uno dei padri fondatori di Israele e primo capo del governo, David Ben Gurion a suo figlio Amos nel 1937. 

Partiamo allora dal popolo palestinese, dalla sua vita, i suoi diritti, la sua dignità, la sua cultura, i suoi valori. Partiamo dalla Palestina che oggi è devastata dalle bombe, ma già lo era ieri e l’altroieri, tornando a ricordare le 15.000 persone palestinesi morte nei massacri etnici israeliani del 1948.

Partiamo dall’emergenza sanitaria di Gaza sotto regime di occupazione. Partiamo dalle risorse depredate, dai villaggi che sono stati fatti letteralmente cancellare, dal territorio naturale divelto, 800.000 ulivi sradicati per fare spazio alle rinnovabili di una sostenibilità fasulla, temporanea e che crede nel progresso tecnologico come soluzione a tutto. 

Partiamo dal governo di Israele, visto come la maggior democrazia del Medio Oriente, mentre incarcera uomini e donne che si rifiutano di prestare servizio militare, reprime con brutalità israeliane ed israeliani che manifestano per le sue “indelicate” scelte politiche. Un Paese i cui ministri, senza nessuna vergogna, parlano di sterminare tutti i palestinesi fino all’ultimo. Un governo sionista, il cui esercito è sostenuto da moltissime delle maggiori multinazionali al mondo, da Carrefour a McDonald’s, dalla Siemens alla Marks’n’Spensers. Un governo che non ha perso un secondo per cominciare ad appropriarsi del gas naturale sulla costa Palestinese in accordo con aziende petrolifere tra cui la nostra amata Eni, greenwasher preferita di Sanremo e del nostro Stato.

È questa la precisa volontà del governo italiano: non solo di perpetrare il genocidio, ma anche di guadagnarci sopra, rimarcando le perfette logiche del sistema capitalistico secondo cui la vita vale meno del profitto.

Sono queste l’industria e l’intelligenza artificiale, è questa la maggiore democrazia del Medio Oriente, è questa la presunzione di uno sviluppo sostenibile e di un ottimismo tecnologico che profumano solo di carne bruciata.

È per questo che parlare di crescita ci fa schifo, è per questo che la decrescita non è solo un termine da persone naif. Ciò che è un mito è quello che, grazie alle tecnologie, possa avvenire una separazione tra la curva della crescita economica e quella del suo impiego materiale. La crescita infinita non è possibile

Non possiamo riciclare la materia all’infinito e nel mentre continuare ad impattare gli ecosistemi. E se speriamo nella fusione nucleare sul lungo termine dobbiamo aprire gli occhi oggi e guardare alla siccità in Sicilia, ai paesi improvvisamente bloccati dalla neve per giorni, alle temperature degli oceani, alla perdita di biodiversità, la desertificazione, la cementificazione… le guerre per le risorse.

La mancanza d’acqua sta già creando disagi a centinaia di migliaia di persone solo in Italia. Ma quale crescita, ma quale produttività, cari ministri? Noi dobbiamo pensare alle politiche agricole, alle pratiche di rigenerazione del suolo e dei corsi d’acqua, alle infrastrutture e agli acquedotti abbandonati a se stessi. Mentre voi pensate a costruire nuovi centri commerciali spacciandoli per poli della cultura e dell’istruzione, green. E i larici abbattuti lasciano spazio alle olimpiadi sulle Alpi senza più neve: che ci manca non tanto per sciare, quanto per avere di che irrigare.

Decrescita non significa andare a vivere tutte e tutti negli ecovillaggi. Ha il volto di politiche d’intervento sul territorio consapevoli. Le sue mani sono gli incentivi alle pratiche economiche cooperative, alle esperienze d’impresa eco-sociale collettiva. La reggono i sistemi bancari etici, la percorrono le monete locali alternative. La sua pressione si misura con indicatori diversi dal P.I.L., basati sulla qualità della vita reale. Nei suoi polmoni c’è una democrazia ambiziosa, nuova, attenta ai margini, strutturata, cittadina, pronta a digerire i tossici interessi del profitto.

Ai metodi di democrazia antiquati, in giacca e cravatta, oligarchici, ai loschi ed ipocriti affari di guerra e petrolio, si accompagna l’idea di una supremazia tecno-ottimista, in cui l’intelligenza artificiale e la tecnologia servono a portarci nello spazio, sulla luna, e a selezionare i cosiddetti “power targets” (edifici residenziali e infrastrutture palestinesi) con il sistema artificiale Gospel.

Oltre al danno, la beffa.

Voi G7, prendete qui delle decisioni escludendo il resto del mondo – spacciandole per decisioni nell’interesse di tutti – il Sud globale vi paga ogni anno cifre esorbitanti in Debito estero, ma chi deve a chi in realtà? 

Il sistema del Debito serve solo a garantire la continuazione dello sfruttamento coloniale. 

La vostra industria e tecnologia, la vostra “crescita verde” si basa ancora una volta su questo sfruttamento, a quella che era estrazione di combustibili fossili ora si aggiunge quella del litio e del coltan, e i paesi dove questi vengono estratti anche se ricchissimi in risorse rimangono i più poveri del mondo. Noi non ci crediamo, questa non è la nostra idea di transizione.

È tramite il Debito che i paesi sono costretti a togliere fondi alla popolazione, alla sanità, l’infrastruttura, l’adattamento alla crisi climatica e usarli per rimborsare il Debito e finanziare progetti di estrazione, che vanno solo ad aggravare le condizioni della gente, senza lasciar loro nulla del profitto di quell’estrazione. Perché continuano a pagare questo Debito quando è il Nord Globale, specialmente il G7, ad avere un Debito Climatico molto più grande (65 volte!) verso il Sud Globale? 

Chiediamo la cancellazione del Debito totale perché tutti i Paesi possano effettuare una transizione autodeterminata e libera dalla feroce appropriazione di risorse che da 5 secoli finanzia il Nord Globale. 

Chiediamo che le intenzioni e gli investimenti dei governi si discostino sempre più dal riarmo, un Paese dietro l’altro, e si esprimano in maniera chiara e consapevole, decidendo di porre fine al genocidio del popolo palestinese.

Chiediamo di smettere di parlare di crescita e di imparare dalle esperienze di decrescita, di incentivarle, di ristrutturare l’industria e i suoi quadri di funzionamento, perché ci possano portare verso una transizione che non lascia a casa nessun lavoratore e perché le tecnologie siano tarate sui bisogni del territorio e non su quelli del capitale. Le politiche di esenzione dalle tasse come quella recente argentina potranno servirci da modello ed aiutarci a lasciare spazio a progetti di riconversione come quello della GKN con le cargo-bike ed i pannelli solari, a progetti di cooperativa economica consapevole e delicata, che coinvolga le persone migranti anziché rinchiuderle in CPR dove i suicidi sono all’ordine del giorno.

Ci consola solo il fatto che voi siete 7 e noi siamo 7 miliardi.

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