Il mondo in attesa del Vertice Johannesburg di BRICS (e della prossima crisi bancaria USA)

di Giuseppe Masala per l’AntiDiplomatico

Tutto il mondo diplomatico ed economico-finanziario sembra trattenere il fiato in attesa spasmodica del prossimo vertice dei paesi del BRICS di Johannesburg. Questo vale in particolar modo per i paesi occidentali che – completamente tagliati fuori dalle scelte e incapaci di influire – stanno tentando in tutti i modi di influenzare indirettamente le scelte di questa organizzazione informale che sempre di più sembra pesare nello scacchiere mondiale grazie a imponenti risorse economiche e finanziarie oltre che energetiche, militari e demografiche.

Certamente i temi in agenda nella riunione del BRICS che più stanno a cuore al blocco occidentale (“l’occidente allargato” come lo chiamano i diplomatici russi) è quello dell’allargamento dell’organizzazione a nuovi paesi e la creazione di una nuova unità di conto che dovrebbe sostituire il dollaro come moneta standard negli scambi internazionali in via principale tra i paesi appartenenti al BRICS ma aperta anche agli altri paesi che la vorranno utilizzare.

Certamente tra i paesi che hanno chiesto di aderire all’organizzazione abbiamo: Bielorussia, l’Iran, l’Arabia Saudita, l’Algeria e gli Emirati Arabi Uniti, per citare quelli dal maggior peso nello scacchiere mondiale. Un allargamento che certamente porrà problemi di governance per l’organizzazione ma che è anche denso di opportunità strategiche. In particolare grazie a colossi energetici come Iran, Algeria e Arabia Saudita che se sommati alla Russia consentono al BRICS di disporre un asset strategico come quello energetico da una posizione di “quasi monopolio”. 

Non rimane che da attendere – sotto questo aspetto – i risultati del vertice di Johannesburg ricordando che il Brasile peraltro spinge per l’accettazione della candidatura dell’Argentina, paese che però a breve avrà le elezioni presidenziali e dove sta emergendo il candidato filoamericano e autoproclamato “anarcocapitalista” Javier Milei che vorrebbe addirittura dare corso legale al dollaro americano in Argentina trasformando di fatto il paese in una sorta di protettorato di Washington (più di quanto già non lo sia ora).

L’altro tema fondamentale del vertice di Johannesburg sarà l’implementazione della cosiddetta unità di conto per gli scambi internazionali dei paesi BRICS. Le voci che si rincorrono sono tantissime, alcuni parlano di unità di conto agganciata al valore dell’oro ma quella che appare la scelta più probabile è quella della costituzione dell’unità di conto sulla base di un paniere di monete “pesate” in base al Pil dei singoli paesi aderenti. Ovviamente le monete utilizzate nel paniere saranno le famose R5 (Rupia, Reail, Rublo, Renminbi e Rand), ovvero le monete dei paesi aderenti al BRICS che per una coincidenza iniziano tutte per R.

Certamente qualcosa succederà, basti pensare infatti che per la prima volta, il Renminbi ha superato il dollaro USA nelle transazioni bilaterali della Cina nell’ultimo trimestre anche perchè a pesare è stato soprattutto l’aumento degli scambi sino-russi. Precisamente nell’ultimo trimestre, i pagamenti internazionali denominati in Renminbi sono cresciuti dell’11% nell’anno a $ 1,51 trilioni, mentre i pagamenti in dollari si sono ridotti del 14% a $ 1,4 trilioni. Questo è stato il primo trimestre dal 2010 in cui la valuta cinese ha superato il dollaro USA (1).

Un’altra notizia importante è che India ed Emirati Arabi Uniti hanno effettuato il primo acquisto di petrolio in valute nazionali. Il meccanismo utilizzato per il pagamento è quello noto come  LCS (Local currency Settlement) in vigore fra i due Paesi dal 15 luglio, dove operatori possono scegliere la valuta di pagamento, se Dirham degli Emirato o Rupie indiane. Il saldo in eccedenza nelle valute locali può essere utilizzato per investire in attività in valuta locale come obbligazioni societarie, titoli di Stato, compravendita di titoli. Un meccanismo semplice ed intelligente che aiuta a non creare squilibri finanziari pericolosi tra i due paesi. 

In generale questi sono chiari segni di una stanchezza diffusa a livello mondiale sull’utilizzo del dollaro americano come moneta standard degli scambi internazionali perché ormai questa divisa rappresenta un paese con un debito estero virtualmente impagabile, con un sistema produttivo totalmente depauperato a causa delle delocalizzazioni selvagge con la finalità di abbattere i costi ambientali, del lavoro e delle tasse. Un paese – gli USA – che ormai vive di finanza, ovvero della capacità di contrarre nuovi debiti con il resto del mondo. Cosa fattibile certamente, ma solo fino a quando il paese indebitato non ha rivali militari, tecnologici e diplomatici. Una situazione che per gli USA si è realizzata dalla caduta del Muro di Berlino fino alla crisi finanziaria del 2008.

Ma ora le cose sono cambiate con l’emergere di nuove realtà quali la Cina ormai alla pari nel cruciale settore della ricerca e della tecnologia e la Russia, gigante energetico e potenza militare di primissimo livello. Una diffusa stanchezza per il Dollaro che ormai sta diventando una vera e propria aperta sfiducia tra i grandi creditori degli Stati Uniti. Si può affermare questo verificando il livello degli investimenti in titoli di stato USA di paesi come la Cina e l’Arabia Saudita. Per quanto riguarda la Cina possiamo vedere che Pechino ha ridotto la partecipazione agli acquisti di debito statale USA di quasi 500 miliardi di dollari rispetto ai massimi riportandola al livello del 2010.

(Figura 1: andamento storico degli acquisti di Treasury USA da parte della Cina)

Non meglio va la situazione per quanto riguarda l’Arabia Saudita che ha ridotto l’acquisto dei titoli USA riportandoli ai livelli del 2016. Rispetto ai massimi del 2020 i sauditi hanno ridotto le proprie posizioni creditorie su Washington di quasi il 50%. Una vera e propria mozione di sfiducia, tenuto anche conto che Riyad è da sempre la colonna portante del sistema di alleanze di Washington nel Medio Oriente oltre che cardine fondamentale del potere del dollaro dal 1971 con la nascita del cosiddetto petrodollaro ovvero l’obbligo di acquistare il petrolio saudita in dollari che ha permesso agli USA di mantenere la sua moneta al vertice mondiale anche dopo l’abbandono del Tallone Aureo.

(Figura 2: andamento degli acquisti di Treasury USA da parte dell’Arabia Saudita)

Chiaramente con simili premesse non può che attivarsi immediatamente il meccanismo di mercato tipico di quando diminuisce la domanda di qualunque cosa: abbassare il prezzo. Che nello specifico dei titoli di stato significa aumentare i tassi di interesse offerti sul mercato. Cosa che si è immediatamente verificata per quanto riguarda i Treasury USA sia a 5 anni, che a 10 anni che a 30 anni.


(Figura 3: Andamento tassi dei Treasury USA a 5, 10 e 30 anni)

A peggiorare la situazione del Dollaro americano peraltro vi è anche il susseguirsi delle notizie secondo cui le principali banche statali cinesi sono impegnate a vendere dollari USA per acquistare Renminbi nei mercati valutari spot onshore e offshore. A rilanciare la notizia vi è anche la Reuters certamente non un agenzia accusabile di avversare gli USA e l’Occidente (2). Dunque è evidente come l’aumento dei tassi d’interesse dei titoli di stato USA non stia riportando verso i Treasury gli investitori internazionali come i cinesi e conseguentemente l’unico modo per reperire le risorse finanziarie per sottoscrivere i titoli USA è quella che coloro che detengono le obbligazioni bancarie (di banche USA) le vendano per acquistare Treasury,

E a questo punto le banche private USA che si vedono fuoriuscire risorse importanti dovranno affrontare una crisi che potrebbe essere fatale per le banche peggio gestite. Sarebbe la continuazione di ciò che stava avvenendo questa primavera con il fallimento di banche regionali importantissime come la Silicon Valley Bank. Una situazione che la FED è riuscita a tamponare con il solito metodo dei REPO (Pronti contro termine in italiano) ovvero sia, acquistare titoli di stato USA  (o altri titoli dichiarati “eligibili”) dalle banche e concedere loro la liquidità necessaria. Chiaro però che questa situazione non può andare avanti all’infinito, anche perché il peccato originale è quella enorme posizione finanziaria netta (NIIP) passiva degli USA che espongono il paese a ciò che decidono i creditori internazionali (a partire da Cina e Arabia Saudita).  Situazione questa temuta anche dalle agenzie di rating USA che come Moody’s hanno già declassato le banche commerciali americane o si apprestano a farlo come Fitch (3).

Una situazione non facile che costringerà gli americani a rispondere in qualche modo, certamente continuando nella strategia di aggressione all’Europa e al suo sistema produttivo che vogliono trasferire in blocco in USA sia grazie al fatto che hanno creato una crisi (quella ucraina) che ci penalizza dal punto di vista energetico e commerciale sia perché hanno introdotto l’Inflation Reduction Act che garantisce enormi fondi alle aziende che costruiscono stabilimenti green in USA. Ma qualora questo non basti potremmo vedere aumentare l’aggressività militare di Washington magari nel Golfo Persico o direttamente contro la Cina sfruttando la crisi latente che coinvolge l’isola cinese secessionista di Taiwan.

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NOTE

(1) NikkeiAsia, Yuan exceeds dollar in China’s bilateral trade for first time, 25 Luglio 2023

(2) Reuters, China’s state banks seen selling dollars for yuan in London and New York hours, 17 Agosto 2023     

(3) CNBC, Fitch warns it may be forced to downgrade dozens of banks, including JPMorgan Chase, 15 Agosto 2023

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