I tumultuosi eventi che hanno scosso il suolo britannico quest’estate sono stati impressionanti, ingenti gruppi di rabbiosi individui sono scesi nelle strade di molte città britanniche – tra cui Southport, Leeds, Liverpool, Manchester e non solo – e hanno manifestato violentemente contro gli immigrati del Paese, denunciando ancora una volta come l’Inghilterra, come spesso si dice anche per altri Paesi europei, è stata travolta dall’incontrollata e incontrollabile minaccia dell’immigrazione; in particolare, la minaccia dell’immigrato maschio, musulmano, non-bianco.
Le recenti proteste violente sono state collegate all’estrema destra, alimentate da fake news di cronaca nera diffuse rapidamente sui media. Questo ha scatenato un’escalation di movimenti razzisti e xenofobi a livello nazionale, guidati da influencer politici che sfruttano certe notizie per incitare l’odio verso gli “stranieri”.
Il fatto di cronaca scatenante è stato un gravissimo attacco tramite accoltellamento che ha visto vittime tre bambini di una scuola di danza di Southport, nel Merseyside, nel Regno Unito, a cui è seguito un’immediata diffusione online da parte di account di estrema destra di false informazioni riguardo l’esecutore di questo crimine violento, individuandolo senza alcuna prova fondante come un uomo adulto, musulmano, rifugiato o richiedente asilo. Le folle si sono scatenate, così, nel nome della difesa della propria nazione andando a colpire moschee e centri di accoglienza per richiedenti asilo, per poi scoprire pochi giorni dopo che la profilazione iniziale del colpevole era completamente erronea.
Le tre vittime simboleggiano la popolazione indifesa e innocente, che, in una narrazione che accomuna tutte le destre, andrebbe protetta e rivendicata. Questa protezione non è diretta contro un singolo individuo, ma contro un nemico più ampio: lo straniero, l’Altro, rappresentato emblematicamente dall’uomo musulmano immigrato. In questo contesto, emerge la necessità di tutelare i bambini e le donne, visti come le parti “vulnerabili” della nazione, dalla minaccia violenta.
Gli attacchi a Colonia del Capodanno 2015-2016 costituiscono un esempio chiaro e noto dell’eco mediatico e presa sull’opinione pubblica che questo tipo di interpretazioni possono avere. A seguito di quella notte furono denunciati 1210 episodi di violenza sulle donne, perpetrati da grandi gruppi di uomini nel centro della città di Colonia, per la maggior parte identificati in uomini di colore, nord-africani, immigrati di vario tipo. In seguito a queste denunce, apparse necessario farsi delle domande: com’è possibile che una città multiculturale come Colonia, esempio del tanto nominato “melting-pot” di culture ed etnie, ha potuto essere teatro di uno scenario così tetro? Hanno allora ragione i partiti di estrema destra come AFD (Alternativa Per la Germania) o l’organizzazione di estrema destra PEGIDA (Europei patrioti contro l’islamizzazione dell’Occidente) a condannare questa onda anomala di “immigrati musulmani” che prendono il controllo delle città baluardo della civiltà europea e abusano delle “nostre” donne?
Come spiega la sociologa Sara Farris, i partiti di estrema destra fondano il loro pensiero su un nazionalismo basato su Volk e Kultur (etnia e cultura), promuovendo un’idea di nazione che è e deve essere apparentemente omogenea sulla dimensione religiosa, culturale ed etnico-razziale; oltre a ciò, è interessante sottolineare come per questi la nazione è incarnata in un’iconografia femminile di madre, generatrice, guardiana della tradizione, legittimando da una parte un’idea di origine comune e appartenenza di sangue che corrisponda alla nazionalità, dall’altra investendo e relegando la donna di un ruolo: quello di riproduzione biologica della nazione. Le donne sono così investite di una forte simbologia, la loro importanza è metaforica e stabilita in base ad una soggettività e ruolo sociale subordinato alle funzioni del corpo femminile, non un’importanza individuale, perché sono comunque relegate ai margini “del sistema di governo” (Kandiyoti, 1991).
Partire da questa visione ci aiuta a capire meglio il posto che trovano i valori femministi in un pensiero di estrema destra, la sopracitata Sara Farris parla a tal proposito di femonazionalismo proprio per sviscerare come i movimenti nazionalisti sventolino la bandiera dei diritti delle donne non perché ci credano o riconoscano alle donne un ruolo equo a quello degli uomini nella loro idea di ordine sociale, ma come strumento per demonizzare gli uomini immigrati. Attraverso quella che è stata definita come razzializzazione del sessismo, le donne sono appunto madri o future tali che devono essere protette dalla minaccia degli uomini stranieri, la loro sessualità e cultura bestiale che li porta a commettere atti violenti contro di esse. La cultura dello straniero viene vista come primitiva e arretrata, in contrasto con quella europea, considerata un modello di progresso. Tuttavia, senza entrare nel pensiero post-coloniale che lega questa visione alla storia coloniale europea, basta guardare i dati: in Regno Unito, Germania e Italia avvengono quotidianamente atti di violenza contro le donne anche da parte di uomini nativi. Questi comportamenti fanno quindi parte anche della “cultura europea”, non sono estranei. Ma quando dobbiamo parlare di violenza sulle donne, la narrazione mediatica prende accenti diversi a seconda del soggetto colpevole di queste violenze: se questo è un uomo europeo, cristiano, bianco, sarà un caso singolo, un’eccezione, un momento di non lucidità; se è un uomo nero, musulmano, quello costituirà in quel momento l’incarnazione della cultura deviante e patriarcale dell’intera collettività di cui fa parte con la sua origine nazionale o la religione in cui crede. Il sessismo e la struttura patriarcale quindi si costituiscono in questa narrazione come insiti nelle collettività non occidentali.
In questa stessa narrazione, inoltre, le stesse donne migranti o razzializzate, invece, sono viste come vittime da salvare dall’uomo migrante, da assimilare nella nostra società; quindi, sono viste anch’esse attraverso una subordinazione di genere e una classificazione di valore attraverso le loro funzioni biologiche e quelle stereotipicamente ascritte (es. l’ambito domestico, di care-taker, genitoriale).
Il femonazionalismo è oggi rappresentato da figure politiche influenti come Marine Le Pen in Francia, Alice Weidel in Germania e Giorgia Meloni in Italia. Durante la sua ultima campagna elettorale, Meloni ha pubblicato sui social un video di un uomo richiedente asilo che stupra una donna. Questo gesto, che spettacolarizza la violenza, mira a demonizzare gli uomini immigrati. La difesa dei diritti delle donne diventa così un’opportunità per rafforzare le campagne razziste e islamofobe del partito Fratelli d’Italia e attrarre nuovi elettori, così come quando Le Pen denuncia i quartieri parigini popolati da immigrati come pericolosi per le donne, insinuando che il sessismo sia un problema delle “altre” collettività.
Le migrazioni nel contesto italiano hanno preso una connotazione emergenziale sin dai primi flussi migratori di arrivo degli anni ’90, questa connotazione ha così caratterizzato sia il policy making a riguardo che la sua ricezione pubblica. Come spiega il sociologo Maurizio Ambrosini, questo inquadramento cognitivo emergenziale delle migrazioni assume connotazioni esasperate e ansiogene, che alimenta una visione distorta dei numeri, della provenienza, delle ragioni dell’ingresso delle persone che arrivano nel nostro Paese, dando così spazio alla proliferazione di reazioni ostili e paranoidi in cui gli immigrati sono additati come responsabili dei problemi del Paese. La rappresentazione del fenomeno migratorio è ormai quella di un fenomeno esogeno, che si abbatte sul Paese dall’esterno, al di fuori dal nostro controllo. Questo inquadramento cognitivo dell’immigrazione come minaccia è anche stato rafforzato dalla concomitanza degli attacchi terroristici di matrice islamista, che hanno influenzato irreversibilmente la narrazione mediatica e l’immaginario pubblico.
Una più attenta analisi dei dati che abbiamo sui flussi migratori che hanno l’Italia come Paese di destinazione o di ricezione però ci mostrerà come l’immigrazione in Italia è numericamente stazionaria da almeno cinque anni; l’immigrazione è prevalentemente europea, femminile e proveniente da paesi di tradizione cristiana. Questo ci permette così di scardinare, immediatamente, l’immaginario popolare del tumultuoso fenomeno migratorio che viene dall’Africa e dal Medio Oriente di uomini musulmani.
Il multiculturalismo, quindi, sembra forse l’ultimo dei nostri problemi per quanto riguarda la salvaguardia dell’incolumità delle donne nella nostra società, sembrerebbe piuttosto che il problema possa essere ricondotto ad una radicata subordinazione di genere che permea il pensiero dell’uomo in diversi contesti culturali, quanto piuttosto questi eventi di cronaca che abbiamo preso ad esempio ci svelano diverse sfaccettature di uno stesso disagio sentito a livello sistemico. La realtà che ci circonda quindi necessita un’attenta lettura sociale e culturale, che non si fermi a risposte semplicistiche che ci portano ad individuare un nemico comune su cui riversare i nostri timori. Le manifestazioni esplicitamente razziste e antislamiche inglesi di quest’estate ci hanno mostrato il forte disagio sociale sentito dalle classi operaie e più povere di questo Paese, disagio che non aspetta altro che trovare un capro espiatorio contro cui riversarsi; il malcontento, però, dovrebbe ritrovare le sue radici altrove ed essere un’occasione di rivisitazione storica del passato coloniale e imperialista inglese che influenza tutt’ora la sua identità e struttura. Questo aspetto è fondamentale perché, come accennato prima, l’ombra del pensiero colonialista si estende ancora sopra la concezione europea di cultura, nazione, alterità, ma si perde sempre di vista nel dibattito pubblico come fattore portante.
Tanto quanto ai fatti di Colonia, si evince, usando le parole di Erika Bernacchi, che «la sfida più grande nel raggiungimento di un progetto femminista interculturale non sta nelle differenze culturali, ma nelle asimmetrie strutturali fra donne» (Bernacchi, 2009). Un approccio intersezionale femminista mostra come vari individui subiscano livelli diversi di oppressione e stigmatizzazione in base alle proprie caratteristiche. Ci aiuta a capire chi ha potere sociale e chi no, come evidenziato da Bernacchi: ad esempio, c’è una differenza tra una donna bianca, cristiana, europea con certi privilegi e una donna migrante, non bianca, musulmana, percepita come vittima della sua cultura. La violenza di genere è un problema sistemico, strutturale, che valica le barriere culturali, e che non può diventare la priorità dei partiti politici e dei media solo quando la violenza è ad opera di un uomo non bianco, straniero, musulmano, e solo quando colpisce donne bianche, cristiane, borghesi.
Le donne non sono da proteggere in quanto depositarie della collettività nazionale, in quanto madri, dalla cupa minaccia migrante che ci sta invadendo, gli uomini devono essere protagonisti di un progetto educativo che li porti a stimare le donne come eque compartecipanti della società, allontanandosi una volta per tutte da una visione della cultura che vede l’Europa e l’Occidente come baluardo della parità di genere, in contrapposizione ad un “Altro” che manca dei nostri valori e che li mette a repentaglio.
Soprattutto dal momento che i dati aggiornati al 1° settembre 2024 del report sulle attività criminali in Italia del Ministero dell’Interno segnalano che sono già avvenuti 65 femminicidi dall’inizio dell’anno.
Bibliografia
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Dossier Viminale 2024: sono già 65 i femminicidi da inizio anno | Il Bo Live UniPD.
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* Questo articolo è tratto da un paper scritto per il corso di “Differenze, Alterità e Riconoscimento”, all’interno del corso di Laurea Magistrale “Pluralismo Culturale, Mutamento Sociale e Migrazioni” di UNIPD