Giovedì 23 febbraio il CSO Pedro di Padova ha ospitato l’incontro “Il popolo Ezida: una storia di resistenza, liberazione a autogoverno”, con Zerocalcare, autore di No Sleep Till Shengal, e con Rojbîn Berîtan e Chiara Cruciati, autrici de La Montagna Sola.
Modera l’incontro Anna Irma Battino di Ya Basta! Êdî Bese!, associazione che ha curato e organizzato la serata e che da anni porta avanti centinaia di progetti di internazionalismo, volti a sostenere le comunità resistenti di diversi Paesi nel mondo, dall’Argentina al Brasile, dalle comunità zapatiste fino a Kobane e alla Palestina, passando per l’altra sponda del Mediterraneo, tra Libia e Tunisia.
Le due opere presentate sono accomunate dall’essere storie di viaggio e di incontro con una popolazione dalla storia millenaria, quella ezida, abitante la regione del nord dell’Iraq, al confine tra Siria e Turchia, in cui si stende la vasta piana di Ninive, al centro della quale sorge la montagna da cui i due libri prendono nome, Shengal.
Queste zone sono conosciute a livello internazionale soprattutto per il massacro avvenuto ad opera dell’Isis nel 2014, un vero e proprio genocidio, che fa parte dei ben settantaquattro ferman, che il popolo Ezida ha sofferto nel corso della sua vita. Meno noti sono, invece, a livello internazionale, la storia millenaria di questo popolo, la sua cultura e soprattutto il suo credo.
L’approfondimento della serata del 23 febbraio ci porta quindi in contatto con diverse sfaccettature meno note riguardanti questo popolo, e soprattutto ci porta alla scoperta delle forme di autogoverno che esso si è dato, a seguito del genocidio di nove anni fa, dettate da un nuovo paradigma sociale, ispirato al confederalismo democratico. Un sistema talmente rivoluzionario da essere attaccato su più fronti e da più attori. Non è, infatti, solo Daesh il nemico. In quell’area i giocatori sono molti e potenti: c’è il nazionalismo curdo filoccidentale di Barzani, in stretta alleanza con Israele, con cui vanta un partenariato strategico di prima classe; le milizie sciite filo iraniane, che sono da sempre una mina vagante; la guerra più o meno sottotraccia che viene condotta dagli USA e dai suoi alleati all’Iran; la Russia, che manda elicotteri e droni a sorvolare i confini; la Turchia, che vuole distruggere il PKK e ha mire espansionistiche su tutta la regione.
Il dibattito comincia, infatti, sottolineando le grandi ambiguità dell’Occidente nei confronti del genocidio del 2014, a partire da quelle dell’Italia dell’allora Presidente del Consiglio Matteo Renzi, che il 20 agosto di quell’anno dedicò il proprio primo viaggio da Presidente di turno del Consiglio Europeo in Iraq, per incontrare Mas’ud Barzani, promettendo armi italiane per aiutare chi stava resistendo a Daesh. Lo stesso Barzani che consegnò però poi gli Ezidi nelle mani dello Stato Islamico, mentre l’unico corridoio umanitario fu aperto da quella che è considerato da UE e USA come un’organizzazione terroristica, ovvero il PKK. Le armi promesse da Renzi «ai curdi» furono sostanzialmente inviate ai curdi “sbagliati”: non a chi resisteva contro Daesh e salvava migliaia di persone da un genocidio, ossia le forze di autodifesa del PKK, ma a chi gli aveva aperto letteralmente la strada, i peshmerga addestrati anche dall’esercito italiano.
A seguito di questi avvenimenti, il popolo ezida si è stabilito e si è trovato isolato sulla montagna di Shengal. Qui ha portato con sé una storia che vede secoli di resistenze ai fondamentalismi islamici delle realtà confinanti, che hanno ordinato spesso persecuzioni contro di essi perché considerati separatisti, eretici e finanche adoratori del diavolo.
Rojbîn Berîtan e Chiara Cruciati sottolineano come gli Ezidi costituiscano una realtà distante non solo geograficamente: non si tratta infatti solamente di un popolo escluso e isolato, ma che si autoesclude anche culturalmente, con una storia priva di testi scritti, ma tramandata per lo più oralmente, di difficile comprensione se non si assume una prospettiva locale. La loro forma di resistenza non solo preserva infatti la sopravvivenza stessa di un popolo, ma ne preserva prima di tutto la sua cultura. Michele Rech aggiunge poi come l’identità ezida sia inscindibile dai massacri che ne hanno segnato l’esistenza, ritornando sempre nei discorsi la ricorrenza dei traumi collettivi.
Un tema toccato nel corso dell’incontro è quello delle donne, del massacro che hanno subito, della loro schiavitù con Daesh, ma anche delle donne come protagoniste di qualcosa di nuovo e di importante. Shengal si trova infatti nel nord-ovest dell’Iraq, dove storicamente è nato lo Stato Nazione, che ha portato con sé il sistema patriarcale ed il monoteismo. La cultura ezida si discosta da tali principi, dando vita, sulle montagne dell’Iraq, come in Kurdistan, ad un nuovo paradigma, ad una ribellione al regime, che intona lo slogan “Jin jiyan azadi”, ovvero “donna, vita, libertà”, in cui soggiace il significato per cui la società non può essere libera se non lo è la donna. La donna è la prima nazione schiavizzata, questo è uno dei punti focali del femminismo curdo, promosso dal PKK e da Abdullah Öcalan. Come dimostrato dai rapimenti operati da Daesh e dalla vendita delle donne ezide come schiave sessuali a seguito del genocidio del 2014, la donna rappresenta un bottino di guerra, con l’obbiettivo di allontanare quanti più ezidi dalla loro comunità e disperdere, di conseguenza, l’identità di questo popolo.
Zerocalcare passa quindi a raccontare la propria esperienza personale, nel corso del viaggio da lui eseguito tra il maggio e il luglio 2021 a Shengal. Viaggio che, come raccontato nel suo ultimo fumetto, è durato molto più del previsto a causa delle numerose interruzioni, e dei veri e propri arresti ai checkpoint che si trovano sulla strada verso il nord Iraq: a causa di questo, il contatto effettivo avuto dall’autore con le popolazioni locali è stato piuttosto ridotto. Anche per questo motivo, l’autore vede No Sleep til Shengal e La Montagna Sola come due libri inscindibili e complementari, volutamente pubblicati in tempi ravvicinati: dove il libro di Michele è un diario di viaggio, quello di Berîtan e Cruciati rappresenta un necessario approfondimento dei riferimenti culturali e storici che per forza di cose non sono trattati in maniera estesa nel fumetto. Zerocalcare stesso conferma di essersi lungamente confrontato con le autrici nelle fasi di scrittura del proprio libro, per il timore di scadere nella propaganda e in un racconto ideologico, trovando tuttavia confermato quanto a lui apparso palese durante il viaggio, in particolare, tornando al discorso relativo al ruolo della donna, quanto sia reale in quei territori il motto “donna, vita, libertà”: se prima di arrivare a Shengal, nel nord dell’Iraq, difficilmente era possibile incontrare donne all’esterno della propria abitazione o non accompagnate, tra gli Ezidi era chiaro che le donne fossero parte integrante della vita sociale.
La parte successiva dell’incontro verte attorno al confronto tra l’esperienza del confederalismo democratico ezida e quello raccontato da Zerocalcare nella sua opera forse più nota, Kobane Calling, altro diario di viaggio, in questo caso in Rojava, nel Kurdistan siriano.
I due modelli sono necessariamente differenti, sostengono dal palco, in quanto il confederalismo democratico è un sistema politico-sociale che si presta alle esigenze della comunità che lo “sfrutta”.
Il progetto ezida nasce a seguito del massacro del 2014 ed i primi quattro anni successivi sono stati completamente dedicati alla liberazione del territorio. La rivoluzione è forse un progetto lontano, anche perché, rispetto ai curdi, gli Ezidi si sono maggiormente isolati dal punto di vista culturale, ed è meno primario l’aspetto politico rispetto all’esperienza curda.
Gli Ezidi hanno tuttavia riscoperto nel confederalismo democratico un modello di società che vede la centralità della donna e un modello assembleare nella presa delle decisioni. Questo sistema ha cercato di sopperire e di sopravvivere alla mancanza di aiuti internazionali: Shengal non gode di alcun aiuto internazionale dal 2017, ovvero dalla liberazione dallo Stato Islamico, non è supportata economicamente dallo Stato iracheno, non è salvaguardata dalle leggi internazionali, la coalizione internazionale anti-Isis ha ricoperto un ruolo di supporto solo fino alla fine dei bombardamenti, il territorio è devastato e parte della popolazione si trova ancora all’interno dei campi profughi. A questo sia aggiungono i bombardamenti mirati ad opera della Turchia, secondo esercito NATO. Vi è insomma un’estrema difficoltà nel ricostruire un territorio che porta i segni del recente genocidio e della guerra.
Lo sguardo di Zerocalcare nel raccontare questi luoghi è meno meravigliato rispetto a quanto vissuto in Rojava, ed è anzi caratterizzato da un tono più cupo e drammatico. Tra il 2014 e il 2015, l’attenzione internazionale rispetto a quanto succedeva in Kurdistan era molto maggiore rispetto ad oggi: l’Isis aveva compiuto atti di terrorismo in Occidente, si poteva scorgere un coinvolgimento collettivo, uno slancio di speranza rispetto all’esperienza curda.
Ad oggi, sostiene Michele, le “riserve emotive” sono dirette verso altre guerre, a noi più vicine, ed il coinvolgimento rispetto agli avvenimenti nel nord dell’Iraq è minimo. Si scorgono molti meno spazi di dialogo per raccontare quello che sta succedendo a Nord dell’Iraq e c’è una maggiore difficoltà nel ritrovare empatia nei confronti di questi avvenimenti.
Tuttavia, nonostante un certo grado di cupezza che si riflette nell’ultima opera dell’autore, Zerocalcare ci tiene a sottolineare che il fascino che lo ha portato ad interessarsi al popolo curdo e a quello ezida non risiede nella guerra o nella resistenza, ma piuttosto nell’aspetto costruttivo, di creazione di nuove realtà sociali possibili.
A conclusione dell’incontro, è ancor più evidente quello che è il ruolo fondamentale dell’arte, che è poi l’obiettivo che si sono Zerocalcare, Chiara Cruciati e Rojbîn Berîtan, con i due libri presentati nella serata: portare a conoscenza di un pubblico il più ampio possibile l’esperienza del popolo ezida dell’Iraq del nord, diffonderne i modelli alternativi di società nella regione, e mantenere alta l’attenzione, perché è dove si spengono i riflettori che avvengono i massacri. Un internazionalismo, insomma, che non si fermi alla solidarietà, ma evidenzi modi diversi ma comuni di costruire mondi diversi, lontani da logiche di prevaricazione e estrattivismo.
In questi libri c’è tutto questo e molto altro ancora: comprarlo, leggerlo, regalarlo è un atto di resistenza.