“Il secolo della Turchia”: anatomia di un’autocrazia che conserva se stessa

La Turchia si è lasciata alle spalle una delle elezioni più dure della sua storia. Hanno votato 53 milioni 841 persone su 69 milioni 197miladi  votanti. Mentre Kemal Kılıçdaroğlu ha ricevuto il 47,82% dei voti, Erdoğan ha ricevuto il 52,18% dei voti, garantendosi di rimanere al potere per almeno altri 5 anni, che si aggiungono ai 20 già passati al governo del Paese.

Nel marzo 2023, il Confederazione dei sindacati turchi (Türk-İş) ha determinato il limite di fame in Turchia di una famiglia di 4 persone a 10.135,50 lire e la soglia di povertà a 33.014,66 lire. La maggior parte delle famiglie turche vive con un salario minimo di 8.506,80 lire. In altre parole, sta lottando per una vita anche al di sotto del limite della fame. Mentre nel 2017 1 € valeva 3,7 lire, oggi ne vale 21,53. Secondo i dati dell’ITO (la Camera di Commercio di Istanbul), l’inflazione ha raggiunto il 70,58%. Le riserve totali della Banca centrale della Repubblica di Turchia (TCMB) sono diminuite la scorsa settimana da 3 miliardi e 537 milioni di dollari a 101 miliardi e 590 milioni. Le riserve nette sono scese di -115,3 milioni di dollari e hanno un saldo negativo per la prima volta dal febbraio 2002.

Allora perché vince Erdoğan, che è responsabile di tutto questo disastro, che non è stato in grado neppure di distribuire mascherine durante la pandemia e tende durante il terremoto? Forse perché la medicina per la malattia dell’autoritarismo viene assunta a stomaco pieno, le masse affamate non riescono a curarsi.

Una delle ragioni è che, appena Erdoğan è entrato in carica nel 2012, ha trasformato il sistema educativo in modo da garantire la perpetuazione del suo potere. Ha aumentato il numero delle scuole Imamhatip che forniscono istruzione religiosa, scuole private e università appartenenti a comunità e sette religiose a lui affiliate. Ha aperto la strada ai figli delle famiglie a basso reddito, che non potevano accedere all’università con i propri mezzi, per frequentare i dormitori studenteschi delle comunità religiose e delle sette che fornivano servizi gratuiti o a basso costo. Inoltre, ha utilizzato il Ministero della Gioventù e dello Sport – che organizza campi, attività nel tempo libero e corsi di formazione per i giovani – per instillare la sua ideologia nei giovani e nei bambini. Di conseguenza, ci ritroviamo masse di giovani che sono cresciute subendo un imprinting nazionalista e religioso. È cosi che forse “il Sultano” si immagina “il secolo della Turchia”, per usare l’espressione da lui utilizzata domenica scorsa per commentare la vittoria elettorale.

Per l’ideologia politico-islamista che costituisce la base elettorale di Erdoğan, il ritorno dello Stato da radicato impero imperialista a repubblica è ancora un trauma storico. Nel solco di questo trauma la Turchia si è sempre più polarizzata: laico – religioso, destra – sinistra, curdo – turco, alevita – sunnita. Il linguaggio discriminatorio usato da Erdoğan durante la sua propaganda elettorale ha ulteriormente approfondito questa polarizzazione.

Erdoğan ha creato nemici immaginari in patria e all’estero che non vogliono che la Turchia avanzi. Ha instaurato un clima di terrore, sostenendo che il paese, la religione e i valori della famiglia fossero minacciati, e ha dichiarato stati di emergenza infiniti per mantenere questo clima. Ha utilizzato tutte le risorse pubbliche, il personale pubblico e i media come strumento per diffondere la sua propaganda. Un cantante in minigonna, un omosessuale in un Pride Parade, una firma per la pace, la lettura di un giornale, anche atti simbolici di solidarietà vengono  bollati come “filo-terrorismo”. Come se non bastasse, ha ingannato le masse pubblicando un falso video in cui sostiene Kılıçdaroğlu il capo di una “organizzazione terroristica”.

Dal punto di vista estero, come ha fatto con la crisi dei migranti durante la guerra siriana, ha trasformato l’adesione alla NATO di Svezia e Finlandia di alcuni mesi fa in un’opportunità politica e si è presentato come un potente leader mondiale, proponendosi come mediatore nel conflitto in Ucraina. E il popolo si è aggrappato a questo leader autoritario, che ha promesso protezione e stabilità in questa situazione molto difficile, sia interna che internazionale.

La Turchia ha perso una grande opportunità il 28 maggio. Purtroppo appare già chiaro, anche in virtù della composizione partitica che sostiene Erdoğan , che i prossimi anni segneranno un ulteriore arretramento dei diritti: ci sarà ancora più repressione nelle università, nelle fabbriche, nei territori curdi, ci saranno ancora più arresti illegali e arbitrari, nomine antidemocratiche di amministratori locali, omicidi di donne e stupri di bambini nelle sette religiose.

Probabilmente tutto questo non poteva essere spazzato via con le elezioni, perché la battaglia contro l’autocrazia e per la democrazia è così complessa e faticosa che non può essere passare solo dalle urne, ogni 5 anni. Per essere realmente efficace e costitutiva di un nuovo ordine politico la battaglia dovrà essere ogni giorno e in ogni dove.

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