di Gioacchino Toni
Sarah Gainsforth, Oltre il turismo. Esiste un turismo sostenibile?, Eris, Torino 2020, pp. 64, € 6,00
«Dal canto suo il turismo è eterotopico: genera i propri luoghi, che adatta ai propri fini […] Per diventare turisticamente compatibile, una realtà deve prima estirpare i modi di vita tradizionali in cui affonda le proprie radici» (Rodolphe Christin)
Nel corso degli ultimi decenni sono diverse le città e le zone paesaggistiche che in ogni parte del mondo sono soggette a processi di trasformazione profonda determinati dal turismo di massa. Espulsione dai centri storici degli abitanti economicamente più svantaggiati e delle attività commerciali tradizionali sostituiti rispettivamente da ondate di turisti a cui vengono destinati gli alloggi e da infrastrutture commerciali ad essi dedicate, abnorme concentrazione di popolazione in spazi ridotti (overtourism), aumento dell’inquinamento, edificazione di opere di forte impatto urbanistico-ambientale realizzate al solo scopo di attrarre visitatori ad eventi di breve durata, cancellazione di quell’identità storica, culturale e paesaggistica che erano alla base dell’attrattività delle località. Insomma, il turismo di massa sta letteralmente distruggendo l’ecosistema urbano e naturale di molte zone del pianeta.
Un esempio su tutti. In seguito alla fortunata serie televisiva Game of Thrones, la città di Dubrovnik (Kings Landing, nella fiction) si è vista letteralmente invadere dai turisti: l’80% del milione di visitatori giunti in città nel 2016 è arrivato sul posto con enormi navi da crociera a gruppi di migliaia di passeggeri per volta. Se si sta diffondendo una certa sensibilizzazione – si pensi a Venezia – circa l’impatto delle grandi navi sull’ecosistema, non deve essere sottostimato l’impatto provocato sulle località dallo sbarco della marea umana da esse trasportata. Anche i voli low cost contribuiscono all’overtourism e in alcuni casi nei confronti dei medesimi luoghi messi a dura prova dalle grandi navi.
Dopo aver analizzato il fenomeno Airbnb, vera e propria piattaforma di gentrificazione digitale che sta riplasmando il volto delle città turisticamente più attrattive1[su Carmilla], con un suo recente libro, la ricercatrice indipendente e giornalista freelance Sarah Gainsforth, Oltre il turismo. Esiste un turismo sostenibile? (Eris, 2020), affronta di petto gli effetti del turismo di massa contemporaneo sulle città e sull’ambiente naturale.
Dopo aver ricostruito quella trasformazione del viaggio per pochi in turismo di massa che Rodolphe Christin2[su Carmilla] ha sintetizzato in maniera efficace affermando che il turista, nato come sperimentatore esistenziale, si è via via convertito in un consumatore del mondo, Gainsforth si preoccupa di evidenziare l’incidenza che su tale processo hanno avuto lo sviluppo dell’economia, le politiche urbanistiche e la cultura, per poi terminare il volume con una riflessione sulla distruttività di questo sistema turistico giungendo a chiedendosi se un altro turismo, sostenibile, sia, oltre che auspicabile, possibile.
Per quanto riguarda il turismo urbano, Gainsforth ricorda come questo sia cresciuto velocemente e in maniera spropositata anche a causa dell’incremento dell’offerta di alloggi turistici a prezzi (inizialmente) convenienti proposta da alcune piattaforme digitali che nel giro di pochi anni hanno trasformato la pratica di condivisione degli alloggi in un business che sottrae le abitazioni ai residenti stabili in favore di turisti di passaggio.
Il turismo di massa ha inoltre contribuito enormemente a rendere le città un po’ tutte uguali; essendosi l’economia locale specializzata in un unico settore, quello turistico, sono state le città ad adeguarsi ai turisti e non l’inverso. Per tentare di arginare l’overtourism si sono mosse alcune amministrazioni comunali attivando meccanismi di regolamentazione del mercato degli affitti di breve durata e si sono sviluppate mobilitazioni dal basso (come nel caso di Barcellona).
Se fenomeni come l’overtourism e la turistificazione dei centri storici sono fenomeni recenti, questi si sono però innestati su processi già in corso da tempo in diverse città e per comprendere come ciò sia potuto avvenire è indispensabile, sostiene Gainsforth, ricostruire i motivi per cui il turismo è diventato un settore portante dell’economia urbana in diverse città.
Secondo la studiosa uno spartiacque importante in tal senso è rappresentato dalla fine degli anni Settanta, quando il consolidato legame tra industrializzazione e urbanizzazione è entrato in crisi e la città si è avviata a trasformarsi da luogo di produzione a centro di servizi. A partire da allora diverse città hanno investito il loro futuro economico sull’innovazione tecnologica e culturale mentre in contemporanea si provvedeva a smantellare il welfare sull’onda della riduzione della pressione fiscale su profitti e rendite, della deregolamentazione dei flussi di capitale e della liberalizzazione del commercio. In tale contesto il settore pubblico ha via via abbandonato il suo storico ruolo di erogatore di servizi trasformandosi in committente di servizi erogati da privati.
Il passaggio da un’economia industriale a una del terziario ha comportato l’abbandono di numerose aree urbane che, da qualche tempo a questa parte, sono state destinate ai nuovi settori economici trainanti, tra cui la stessa produzione culturale: eccoci allora alla stagione dei grandi eventi, dagli Expo ai mega-eventi sportivi, con annessi fenomeni di gentrificazione e trasformazioni urbanistiche in nome del turismo come risorsa, moltiplicatore di lavoro e di ricchezza.
La contraddizione è questa: se le politiche urbane contemporanee sarebbero chiamate a sanare le diseguaglianze e ridurre le dinamiche di esclusione sociale prodotte da un’economia finanziaria, della rendita, i progetti di rigenerazione urbana sono inscritti nello stesso sistema economico che dovrebbero correggere. Per questo il termine “rigenerazione urbana” si riduce spesso a un’etichetta “etica” appiccicata a speculazioni immobiliari private, e il termine “valorizzazione”, tanto ricorrente in queste operazioni, indica non un generico miglioramento di un immobile o di un quartiere, ma la creazione di una rendita. Il turismo è una delle principali strategie di promozione di quartieri, luoghi trattati come prodotti, come brand per attirare capitali privati ed è il pretesto che giustifica la “valorizzazione” immobiliare e finanziaria della città. (p. 17)
Oltre a mostrare i disastri determinati dal turismo come pratica di consumismo di massa, il volume di Sarah Gainsforth ha il merito di invitare a ripensare il turismo a partire da una nuova prospettiva, da un’ecologia popolare.