In Bangladesh la premier Sheikh Hasina si è dimessa, quasi 300 morti nelle proteste antigovernative

Riceviamo e pubblichiamo questo contributo che ci arriva dal Bangladesh in forma anonima per ragioni di sicurezza.

Nel mondo, ogni giorno, ogni ora, ogni secondo, è in atto una piccola o grande rivoluzione.

I giornali parlano spesso di proteste studentesche, nell’ultimo anno la stessa Italia è stata teatro di numerose piazze, la stampa internazionale però sembra essere molto chiara nella scelta di quali sono i paesi dei quali vale la pena parlare. 

Il Bangladesh, per esempio, sembra non interessare così tanto, un paese troppo del terzo mondo a cui dedicare spazio nei quotidiani. 

Sono quasi trecento, secondo i dati ufficiali, le persone rimaste uccise nelle proteste in corso da settimane in Bangladesh; diverse centinaia ferite e oltre mille gli arresti. Un lento massacro che sta togliendo al paese i propri giovani, che si sentono sempre più distanti da un governo che, come unica risposta al dissenso, reprime. 

Gli studenti stanno scendendo in piazza, ormai da inizio luglio. Siamo a un mese di lotta. 

All’inizio la richiesta era di una riscrittura della legge che regolava il sistema che assegna gli impieghi nel settore pubblico, riservato ai familiari dei reduci della guerra di indipendenza dal Pakistan del 1971, ritenuto da molti discriminatorio, in un paese dove i posti di lavoro pubblici sono pochi ma capaci di garantire una vita dignitosa a un’intera famiglia.

Ciò che era iniziata come una protesta pacifica partita dai campus universitari del paese si sta però traducendo in una rivolta popolare anti-governativa che sta sfociando in episodi di violenza e disordine pubblico non indifferenti. 

Sono ore di angoscia quelle che stanno vivendo le persone del Bangladesh, se non per sé stesse, per i propri cari.

La speranza, rimanendo attaccati al telefono, è che non abbiano già tolto la connessione in quella determinata area e che il proprio figlio possa rispondere alla chiamata pronunciano quelle fatidiche parole: “Sto bene”. 

Coloro che vivono in città universitarie, escono di casa con il terrore, sperando di non incontrare il poliziotto sbagliato. Milizie ovunque, controlli a tappeto anche entrando nelle case di soppiatto. Spari ai dissidenti politici più noti. 

Folle di studenti che chiedono solo quella tanto agognata libertà, vite che non sembrano interessare così tanto allo Stato. 

Oggi però, 5 agosto, dopo settimane di proteste, il silenzio è stato rotto. La primo ministro Sheikh Hasina, senza rilasciare alcuna dichiarazione, ha lasciato il paese dimettendosi.

La notizia non ha tardato ad arrivare in tutte le tv nazionali, nelle quali il comandante delle forze armate ha dichiarato che il potere rimarrà in mano alle milizie fino a che non verrà creato un governo tecnico per garantire al paese di continuare a vivere. 

Le strade sono piene di persone che festeggiano, che urlano di gioia in nome di una dittatura apparentemente finita, che desiderano nient’altro che vivere in pace ma la situazione politica interna è più instabile di ciò che sembri. 

Il partito che ora prenderà il potere avrà l’arduo compito di provare a ristabilire l’ordine e garantire sicurezza a un popolo che da anni viveva in un’autentica situazione di autoritarismo, un’impresa tutt’altro che semplice. È pronto il Bangladesh adesso alla sfida più grande? Quella di creare quella desiderata democrazia?

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