
Le proteste in Serbia contro la corruzione del governo, scaturite dalla cosiddetta “tragedia di Novi Sad”, hanno raggiunto numeri straordinari. Lo scorso venerdì 24 gennaio, manifestazioni di massa si sono svolte simultaneamente a Belgrado, Novi Sad, Niš, Kragujevac e in molte altre città, radunando complessivamente, secondo alcune stime, quasi un milione di persone.
L’ondata di indignazione popolare ha avuto come detonatore il crollo della tettoia della stazione ferroviaria di Novi Sad, recentemente ricostruita, che ha causato la morte di 14 persone e il ferimento di oltre 30, tre delle quali ancora in condizioni critiche. Il tentativo del governo e dei partiti al potere di insabbiare le indagini ha ulteriormente alimentato la rabbia della popolazione. Dallo scorso novembre, la mobilitazione ha continuato a crescere, trasformandosi in un vasto movimento di protesta che denuncia non solo questo tragico evento, ma anche il più ampio sistema di corruzione e malaffare che permea le istituzioni del Paese.
Ne abbiamo parlato con Jelena Lalatovic, attivista sebra, Phd presso la Facoltà di Filologia di Belgrado, oggi ricercatrice in campo di storia letterale e collaboratrice con alcune delle maggiori università di Milano.
Quali sono i motivi per cui l’attuale protesta in Serbia ha sortito un’importante partecipazione? Quali sono le rivendicazioni delle persone?
Ciò che sta accadendo in Serbia dal novembre 2024 assume i contorni di un vasto movimento popolare, la cui complessità rende difficile una narrazione esaustiva senza un preciso ordine cronologico.
Tutto ha avuto inizio il 1° novembre, quando il crollo del tetto di una piattaforma a Novi Sad ha causato la morte di 15 persone. In risposta, i cittadini hanno iniziato a organizzare blocchi stradali simbolici: 15 minuti di silenzio collettivo, in memoria delle vittime. Questo gesto ha rapidamente assunto una dimensione più ampia, dando origine a proteste di massa e a una dura repressione statale, caratterizzata da arresti arbitrari e violenze della polizia. Lo slogan iniziale, rivolto al governo, era chiaro e accusatorio: “Le vostre mani sono insanguinate”.
A seguito di queste mobilitazioni, la Facoltà di Arti Drammatiche di Belgrado ha dichiarato un blocco, innescando un effetto domino che ha portato alla chiusura di oltre l’80% delle facoltà in sei delle principali università del Paese.
I primi a sostenere gli studenti sono stati gli agricoltori, seguiti dagli insegnanti e dagli avvocati, e ora sempre più lavoratori, in particolare operatori sanitari ed educatori della prima infanzia, si stanno organizzando per supportare questo movimento e avanzare le proprie richieste. Ad esempio, gli studenti della Facoltà di Farmacia di Belgrado e i farmacisti stanno organizzando assemblee per fermare la privatizzazione delle farmacie che sono ancora di proprietà pubblica.
Il 24 gennaio si è tenuto uno sciopero generale che, più che una semplice astensione dal lavoro, ha rappresentato una vasta e determinata espressione di disobbedienza civile. La mobilitazione ha coinvolto numerosi settori, tra cui l’istruzione universitaria e secondaria, il settore IT, i piccoli imprenditori e, in alcuni casi, anche gli operatori sanitari. Nei giorni successivi, gli insegnanti della scuola materna di Čačak, in Serbia, hanno aderito alla protesta con uno sciopero di un giorno, manifestando la loro solidarietà con il movimento studentesco.
La principale richiesta del movimento è la pubblicazione integrale della documentazione relativa alla ricostruzione del tetto della piattaforma crollata, uno dei progetti di punta del Partito Progressista Serbo, attualmente al governo. Sebbene la retorica del movimento si fondi sull’anticorruzione come minimo comun denominatore, la sua portata e la sua struttura organizzativa si spingono ben oltre. Il nodo centrale della protesta risiede nel fatto che la corruzione politica si è radicata profondamente nella gestione del bene pubblico, trasformandosi in un sistematico saccheggio delle risorse. In un paese impoverito e segnato da profonde ferite come la Serbia, ciò si traduce in un costo altissimo per le classi più vulnerabili, che spesso pagano con la propria vita.
Ciò che colpisce maggiormente è la diffusione capillare delle proteste: almeno una manifestazione si è svolta in ogni municipalità serba, un evento senza precedenti nella storia del Paese. Inoltre, il movimento non è circoscritto a Belgrado, ma ha assunto una dimensione multifocale, coinvolgendo tutte le principali città – da Novi Sad a Niš, da Kragujevac a Čačak e Užice – dando vita a una mobilitazione di portata straordinaria.
Puoi farci alcuni esempi del carattere sociale di questa protesta?
Il movimento studentesco, almeno ufficialmente, non consente la partecipazione di gruppi organizzati, come partiti di opposizione e ONG, con i loro simboli. Tuttavia, i sindacati sono sempre accolti con le loro bandiere e loghi. Durante il blocco di 24 ore di uno dei più grandi incroci di Belgrado, gli studenti hanno dato il benvenuto con entusiasmo alla colonna di minatori, segnando un momento di forte solidarietà.
Le rivendicazioni studentesche e la loro ferma adesione ai principi democratici fondamentali hanno contribuito a liberare lo spazio politico dalla paura e dall’apatia, sentimenti radicati nel clientelismo, nella povertà e nel controllo esercitato dal partito al governo sui luoghi di lavoro. Questo nuovo clima appare senza dubbio favorevole al rafforzamento del movimento sindacale.
Tra gli eventi di maggiore impatto sociale, spicca l’organizzazione della piattaforma delle scuole in sciopero. Gli studenti delle scuole superiori hanno scelto di interrompere le lezioni in segno di solidarietà con gli universitari e, a seguire, anche gli insegnanti hanno deciso di aderire alla protesta, ponendo l’attenzione sulle condizioni critiche in cui operano. Emblematico è il caso del salario medio nelle scuole elementari e superiori, che resta al di sotto dei 900 euro, nonostante l’attuale livello di inflazione.
Lo Stato ha tentato di reprimere lo sciopero con metodi coercitivi, tra cui intimidazioni e minacce di licenziamento. Tuttavia, in risposta, studenti e genitori si sono organizzati in una vera e propria comunità di sostegno, dimostrando che la resistenza collettiva può opporsi con determinazione alle pressioni dall’alto.
Cosa pensi delle accuse secondo cui questa protesta sarebbe eterodiretta dall’Occidente e quindi una sorta di “rivoluzione colorata”?
Il regime serbo ha ottenuto il sostegno pubblico dei leader dell’UE, così come di Mosca, Pechino e Washington. La Germania, interessata a sfruttare i giacimenti di litio in Serbia, non esita a sostenere, finanziare e agevolare il governo in carica.
A conferma di ciò, i media occidentali hanno ignorato per quasi tre mesi il più grande movimento di protesta nella storia recente della Serbia. Per comprendere la portata delle mobilitazioni, basta un confronto: nel 2000, quando Milošević perse il potere, circa 80.000 persone scesero in piazza a Belgrado; negli ultimi mesi, le proteste hanno visto la partecipazione di un numero compreso tra 110.000 e 200.000 manifestanti.
Le proteste e l’organizzazione popolare si stanno diffondendo in ogni municipalità e città del paese. Di fronte a questi numeri, le solite etichette imposte dal regime risultano ancor più sterili. Nel frattempo, le autorità hanno ostacolato l’accesso degli ispettori nelle scuole e intimidito gli insegnanti, nel tentativo di soffocare il dissenso.
Pensi che quest’ultima protesta raccolga le eredità delle passate proteste in Serbia degli ultimi anni? Cosa ha di nuovo?
Negli ultimi cinque anni, ci sono state proteste contro il coprifuoco e la brutalità della polizia durante il Covid (qui un’intervista per Globalproject). Poi, l’evento sociale più significativo è stato l’opposizione all’arrivo della famigerata compagnia Rio Tinto, che voleva aprire una miniera nella zona più fertile della Serbia (qui un’ intervista per Globalproject). Inoltre, il paese affronta gravi problemi ambientali perché lo Stato consente agli investitori stranieri di inquinare praticamente senza conseguenze.
Queste proteste hanno molto in comune con l’attivismo ambientale, perché denunciano con forza la necessità di ritenere il governo responsabile delle proprie azioni. Nel nostro contesto, il rispetto della legge si scontra direttamente con accordi finanziari che ne ostacolano l’applicazione.
A uno sguardo superficiale, questo movimento potrebbe sembrare politicamente debole. Eppure, è innegabile che sia la più grande mobilitazione di massa dalla Seconda Guerra Mondiale. Il suo successo più significativo è aver infranto le barriere ideologiche, portando la maggioranza a unirsi su rivendicazioni che riguardano la vita di tutti.
Le parole d’ordine, la retorica e le strategie degli studenti non puntano alla radicalizzazione, ma alla costruzione di un consenso solido. Ed è proprio questa capacità che rende il movimento un fenomeno senza precedenti nella storia recente.