[È in uscita per Nero Editions il nuovo libro del nostro amico, collaboratore e compagno di strada Mariano Tomatis, scrittore, illusionista e storico del mentalismo. Chi segue le mosse di noialtri, il flusso di questo blog e il lavoro della Wu Ming Foundation tutta troverà in Incantagioni un tesoro di riferimenti, approfondimenti e tributi all’opera comune, a cominciare da – anzi, a terminare con – un lungo spin-off de La Q di Qomplotto di Wu Ming 1. Abbiamo chiesto a Mariano di scrivere una presentazione ad hoc per lettrici e lettori di Giap. Eccola qui, buona lettura. WM]
di Mariano Tomatis
Il 13 dicembre 1844 Jane Baillie Welsh racconta allo zio un tipico pomeriggio mesmerico: durante il the offerto dalla signora Buller, la scrittrice assiste a una seduta di magnetismo animale.
Proposta come forma di intrattenimento, la dimostrazione vede all’opera un uomo che fissa in modo severo una donna. Il magnetizzatore è un tipo brutale e grossolano con «occhi scuri da animale». La destinataria dello sguardo ipnotico è la signorina Bölte; incapace di opporre resistenza, cade in stato di sonnambulismo, assumendo il pallore e la rigidità del cadavere.
Davanti ai segni di sofferenza di quell’esile creatura, Jane Welsh prova pietà e prende parola. Quello squilibrio di potere può – anzi, deve essere messo in discussione: non c’è nulla di “naturale” in quella dinamica di predominio, frutto com’è del patto consensuale tra due individui.
«– […] Lei voleva essere magnetizzata; io dubito che chiunque possa essere ridotta a quello stato senza che lo acconsenta in prima persona. Mi piacerebbe che qualcuno provasse a magnetizzare me!
– Crede che non ne sarei in grado? – chiede l’uomo con uno sguardo pieno di disprezzo.
– Proprio così. La sfido!
– Vorreste darmi la vostra mano, “signorina”?
– Oh, ma certamente – e gli allungo la mano, piena di fiducia nella mia forza di volontà e un sorriso sdegnato.
La scrittrice non sa di correre un certo rischio. Gli ipnotisti teatrali hanno a disposizione molte tecniche per far perdere i sensi a chi, tra il pubblico, rifiuta il ruolo della vittima docile e taciturna. Lo sguardo ipnotico non c’entra niente: i manuali del famigerato Dr. Q documentano la pressione da esercitare su diversi punti del corpo per bloccare il flusso sanguigno verso il cervello e provocare uno svenimento. Come quando si nasconde una carta dietro la mano, quelle micro-aggressioni restano nell’ombra: l’ipnotista che sa gestire la misdirection può esercitare tali violenze in piena luce e davanti al pubblico, usando uno stimolo meccanico per alimentare l’illusione di una supremazia psichica; scegliendo quella strada, il magnetizzatore impiega in modo consapevole strumenti potenzialmente fatali.
Purtroppo per Jane Welsh, l’uomo ha davvero in serbo per lei qualcosa del genere: un generatore elettrico con cui dare la scossa tramite una stretta di mano.
«Lo guardo negli occhi con tono di sfida, come per dirgli… dovete imparare a parlare un buon inglese prima di provocare alcunché su una donna come me – e mentre mi passano per la testa pensieri del genere, all’improvviso… flash! Sento una scossa dalla testa ai piedi, forte quasi quanto quella che avevo preso tempo prima sfiorando una sfera galvanica. Ho la prontezza di spirito di continuare a fissarlo negli occhi, come se non avessi sentito nulla, e lui mi lascia la mano con lo sguardo infuriato, dicendo: – Ho capito che siete un soggetto difficile, ma se mi fosse concesso abbastanza tempo, potrei mesmerizzare voi come ho sempre fatto con tutte.»
L’autrice scozzese capisce che la questione del consenso è più scivolosa di quanto credesse: come ha sperimentato su di sé con orrore, opporsi mentalmente all’abuso non basta per mettersi in salvo, quando la sproporzione delle forze è resa più drammatica dall’impiego di armi invisibili. Insieme al marito, l’autore scozzese Thomas Carlyle, Jane Welsh si allontana con un ghigno: la sua resistenza «ha completamente distrutto la pretesa superiorità morale e intellettuale di quell’uomo – perché egli può dirsi superiore a me soltanto nella sua forza animale.»
A riferire l’episodio è Alison Winter, autrice dello studio più lucido e approfondito sul mesmerismo inglese in epoca vittoriana: Mesmerized. Powers of Mind in Victorian Britain (University of Chicago Press, 1998). La testimonianza di Jane Welsh ha tanto più valore per la sua rarità: magnetizzatori e illusionisti psichici hanno scritto migliaia di pagine per raccontare le proprie imprese, mentre la voce delle sonnambule che hanno diviso con loro il palcoscenico è sempre stata silenziata. Ignorare il punto di vista di quelle donne era considerato normale: la loro disposizione all’obbedienza e alla sottomissione ne certificava la minorità mentale, e gli unici a poter teorizzare sull’argomento e darne relazioni accurate erano gli ipnotisti maschi.
Essendo una scrittrice, Jane Welsh era stata in grado di raccontarsi, benché solo in una lettera privata poi finita negli archivi di famiglia. Ci sarebbe voluta Alison Winter per ritrovarla e rimetterla al centro della scena, restituendo voce a una figura dimenticata che offre – sulle scene mesmeriche – un prezioso punto di vista complementare.
Il 9 agosto 2014 era stato Jason Salavon a segnalarmi Mesmerized nel più improbabile dei luoghi: la mensa aziendale di Google a Mountain View. Colpito dal lightning talk di cinque minuti che avevo appena presentato (The Shortest and Funniest Mesmeric Act Ever, «la seduta mesmerica più breve e divertente di sempre»), l’artista e matematico di Chicago mi aveva suggerito la lettura di Alison Winter. Gli studi dell’accademica statunitense gli sembravano l’approdo perfetto per chi come me aveva illustrato il mesmerismo a partire dai lavori dello storico Robert Darnton ed era intrigato dai suoi risvolti politici. Quella mattina, infatti, avevo proposto un gioco di prestigio ispirato a L’armata dei sonnambuli di Wu Ming, tra le risate del pubblico e di un sornione Larry Page in ciabatte hawaiane.
A quasi otto anni da quei giorni, ricordo bene gli argomenti con cui due amici avevano vinto le mie perplessità, invitandomi ad accettare l’invito in California giunto da O’Reilly Media: Giuliano Santoro mi aveva suggerito di attraversare gli edifici del Googleplex indossando le lenti critiche offerte da Dave Eggers nel romanzo distopico Il cerchio (2013); Wu Ming 1 mi aveva incaricato di raccontare – al mio ritorno – vibrazioni e risonanze dell’esperienza nei circuiti della Wu Ming Foundation.
Quel pranzo con Jason Salavon aveva fatto cadere la prima tessera di un domino che, in una catena ininterrotta, si sarebbe portata dietro letture, incontri, microfilm, traduzioni, pubblicazioni, seminari, discussioni, scansioni, viaggi, fotocopie, interviste, pomeriggi in biblioteca e lunghe sessioni di scrittura.
Pubblicato da Nero Editions, il mio libro Incantagioni. Storie di veggenti, sibille, sonnambule e altre fantasmagoriche liberazioni (2022) porta a compimento il percorso avviato in quei giorni, tirando i fili di quelle “vibrazioni e risonanze” che nel corso degli anni si sono rivelate più fertili.
Se riapro la mia copia di Mesmerized, trovo a pagina 129 un cerchio a matita intorno alla parola flash! e in margine un punto esclamativo: è il codice con cui tengo traccia dei punti che intendo sviluppare nelle mie ricerche. Ad attrarmi, nelle scene mesmeriche, è soprattutto la compattezza: in questo caso, la vicenda dura il tempo di una scossa e coinvolge solo due o tre persone – ma quando si avvicina la lente di ingrandimento, la questione rivela la sua natura frattale; quel microcosmo, che intreccia scienza, ciarlataneria e paranormale, presenta – in uno spazio ridottissimo – le stesse dinamiche di potere, abuso e sopraffazione del mondo in generale. E se è angosciante inoltrarsi in quei gangli, che a qualsiasi scala di ingrandimento si rivelano innervati di sessismo, classismo, razzismo e specismo, voci come quelle di Jane Welsh aprono nell’oscurità oasi di ribellione, esperienze di resistenza e spazi di diserzione.
Nel 2013 avevo dedicato il documentario Donne a metà alla violenza simbolica esercitata sul corpo femminile durante gli spettacoli di illusionismo. Negli anni successivi, addentrarmi nelle scene mesmeriche mi avrebbe messo di fronte a un catalogo di orrori del tutto in continuità con quelle pratiche. Figure fiere e ribelli come Jane Welsh mi hanno indicato un modo diverso di raccontare la donna nel mondo della magia – non più vittima sotto la lama di una sega ma ribalda oppositrice di quel sistema di abusi.
Ispirato dal lavoro di ricerca di Alison Winter, ho diretto le mie attenzioni sulle aree geografiche che mi sono più familiari – tra il Piemonte e la Francia del sud. Il piccolo esercito di veggenti e sibille che ho identificato tra Sette- e Ottocento (una vera e propria armata delle sonnambule) è formato da donne che hanno ribaltato attivamente il tavolo, usando il potere della magia e le tecniche del mentalismo nella chiave di un originale femminismo psichico.
Giap è il posto giusto dove aprire la scatola e mostrare gli ingredienti del libro per i quali sono in debito con la Wu Ming Foundation.
◧ La forma antologica di Incantagioni riflette quella della serie di articoli WuMingWood, proposta dal collettivo su GQ Italia nel 2009; da me scoperta in occasione di un concerto del gruppo musicale Wu Ming Contingent, la raccolta di brevi biografie maschili aveva ispirato ulteriori contributi dedicati a figure femminili – tra cui Violet Gibson (la donna che tentò di uccidere Mussolini) e Anita Malavasi (la partigiana dal nome di battaglia Laila).
◨ I contributi di Selene Pascarella sulla tossicità di tante cronache giudiziarie sono stati fondamentali per raccontare Sibille le cui imprese criminali ricordano quelle di Wanna Marchi; intervenendo in prima persona nel libro, la giornalista e autrice di Tabloid inferno (2016) mi invita a scegliere con attenzione le parole: prendersi cura del linguaggio è una forma di ecologia di cui la cronaca giudiziaria (e i libri di debunking sul mondo dell’occulto) hanno enorme bisogno. Facendo notare il surplus di violenza sessista che si scatena sulle donne da parte della stampa, siano esse sul banco degli imputati o vittime, Selene spiega:
«non servono manette più strette o manganelli più minacciosi per proteggere le donne dagli uomini che le odiano. Eliminare l’odio […] dal modo in cui le raccontiamo, è un primo gigantesco passo in grado di fare la differenza.»
◩ Benedetta Pierfederici e Franco Berteni, membri del gruppo di lavoro Nicoletta Bourbaki, hanno percorso un tratto di strada con me, aiutandomi a stanare i diavoli nascosti nei dettagli, confermandomi che il lavoro di decolonializzazione del linguaggio non ha potenzialmente fine ma porta alla luce tesori sempre nuovi; Filo Sottile e le sue proposte musicali punk – spiazzanti e commoventi, epiche e urticanti – hanno fornito a queste pagine una bussola sicura, tanto più preziosa nei periodici momenti di difficoltà e scoramento. Grazie a Benedetta, Franco e Filo ho potuto correggere il tiro in diversi passaggi – e ogni scivolata residua è da imputarsi soltanto a me.
◪ La ricerca di un equilibrio tra incanto e critica, nella ricostruzione delle storie, è in continuità con un discorso che trova su Giap uno spazio di sperimentazione permanente: la pubblicazione de La Q di Qomplotto. QAnon e dintorni: come le fantasie di complotto difendono il sistema (Alegre 2021) di Wu Ming 1 ha segnato, lungo questo percorso, un’occasione importante per fare il punto e tirare le fila. Scritto da una prospettiva apertamente materialista, Incantagioni svela senza scrupoli i trucchi, le ciarlatanerie e le gherminelle, evidenziando le palmari bugie pronunciate dalle sue protagoniste – ma senza mai usarle come randelli né istituire processi a loro carico; assai più interessanti sono le evidenze che il debunking scientifico fu sistematicamente usato per reprimerle, dimenticarle – e in alcuni casi, annientarle fisicamente.
Chi segue Giap almeno dal 2015 individuerà la prosecuzione di un discorso aperto nel post La «neutralità» che difende Golia. Scienza, feticismo dei “fatti” e rimozione del conflitto: Incantagioni mantiene aperta quella ferita, portando nuove evidenze alle questioni sollevate in quella sede e a lungo discusse. Ciò viene alla luce soprattutto nel sesto capitolo, ambientato a Orléans, la cui vicenda si innesta – in modi inaspettati – in quel groviglio di ipotesi di complotto tardo ottocentesche che confluiranno in QAnon. Nell’ultima parte del libro, una lunga telefonata con Wu Ming 1 mi dà l’occasione di isolarne gli elementi, riflettere a due voci sulle loro ripercussioni tossiche – interne ed esterne alle vicende delle mie sonnambule – e mettere a frutto le modalità di analisi e gli approcci proposti ne La Q di Qomplotto.
⬒ L’omaggio al libro di Wu Ming 1 si sviluppa su più livelli, a partire dal coinvolgimento dell’autore nella conversazione sulla genealogia di QAnon – specchio del suo incontro con Belbo e Diotallevi nella seconda parte, «QAnon: filamenti di genoma transatlantico, collected from good authorities.» Affascinato dall’idea di pubblicare in un volume a parte il corposo indice dei nomi – L’elenco telefonico de La Q di Qomplotto è un opuscoletto della collana “Fotocopie” realizzato dalla libreria Modo Infoshop di Bologna – ho realizzato Incantagioni – Il dossier, un secondo libro che porta a 500 le pagine complessive del lavoro.
L’autoproduzione integra il volume principale con l’indice dei nomi, un ricco apparato iconografico e una nutrita collezione di fonti primarie, articoli d’epoca e assolute rarità. Il risultato è uno scrapbook dal gusto ottocentesco, un bootleg che idealmente prolunga il piacere (e le incazzature e le sorprese) di Incantagioni ben oltre la sua ultima pagina.
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Il calendario delle presentazioni di Incantagioni è qui.
Il 20 luglio 2022 Mariano Tomatis e Wu Ming 1 dialogheranno su Incantagioni e su molto altro, in triangolazione con Loredana Lipperini, al Festival Elba Book, Rio nell’Elba, dettagli qui.
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Come spiegato nell’ultimo aggiornamento complessivo (ne faremo un altro a giugno), in questa fase Giap funziona “col motore al minimo”. Soprattutto, mancano le energie per gestire lo spazio commenti. Ecco perché sotto i nuovi post mettiamo il “lucchetto”. Ce ne scusiamo, purtroppo va così.